In questi giorni si sente spesso parlare di “PIL criminale” e di come questo, secondo la Commissione Europea (in particolare secondo l’Eurostat), debba essere conteggiato dagli istituti statistici europei ai fini del calcolo del Prodotto Interno Lordo dei vari stati.
Nonostante possa sembrare facile comprendere l’argomento e dare un giudizio a riguardo, non è affatto così: ideologicamente, chi avalla questa proposta sostiene che, essendo il PIL un indicatore riferito alla produzione di beni e servizi in un paese, sia ragionevole pensare che la produzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti o lo sfruttamento della prostituzione debbano essere considerate nel calcolo del suddetto.
Anche analizzando la proposta in un senso più pratico e meno ideologico, si può intuire che ci sono dei vantaggi molto concreti nell’applicazione di questo criterio. Primo fra tutti (e forse unico degno di nota) è l’inevitabile aumento del PIL che si verificherà in seguito a questo nuovo metodo; infatti, inserendo nuove attività da calcolare nell’indicatore, esso non può far altro che aumentare. Con una crescita così repentina del PIL, prevista per quando la normativa entrerà in vigore, lo stato, qualora lo consentano le politiche governative, potrà avere accesso ad ingenti opportunità di investimento di denaro pubblico, pur rispettando i vincoli imposti dal Fiscal Compact e dagli altri trattati internazionali riguardanti (anche) l’espansione del debito pubblico. Tuttavia, l’applicazione di questa misura potrebbe non portare solo vantaggi: permettere che le attività illecite vengano incluse nella rilevazione del Prodotto Interno Lordo significa ammettere che queste attività ILLEGALI portino un benessere alla popolazione, e quindi allo stato.
Se però decidiamo di confidare nella veridicità di questa affermazione ci troviamo ad affrontare un paradosso: perchè è illegale qualcosa che porta benessere alla popolazione? E perchè le forze dell’ordine e la magistratura dovrebbero battersi per contrastare determinate attività, facendo di conseguenza deprimere il PIL? Economicamente parlando, è illogico, infatti, che lo stato contrasti una qualunque forma di miglioramento del benessere della società.
Partendo dalla presa di coscienza di questa contraddizione tecnica, si intuisce quale sia la probabile causa del fatto che una proposta del genere sia stata discussa ai tavoli della Commissione Europea: la necessità degli stati europei di aumentare il PIL per far fronte ad un’ulteriore espansione del debito pubblico, ma senza far aumentare il rapporto debito/PIL,ed evitando, in questo modo, di contravvenire alle normative imposte dai trattati internazionali e dall’Unione Europea. In sintesi, un semplice “trucco contabile”. Di fatto, all’interno dell’economia reale cambierebbe ben poco.
Ciò che influenzerebbe per davvero l’economia in modo sano, sarebbe un’eventuale legalizzazione di alcune attività oggi illegali e molto redditizie, come la produzione e distribuzione delle droghe leggere e la gestione delle “case chiuse”, con conseguente regolamentazione della prostituzione. In tal caso la differenza sarebbe evidente: infatti, in un contesto di legalità, tali attività sarebbero disciplinate, produrrebbero ricchezza reale per le casse pubbliche, e diminuirebbero gli ingenti guadagni della criminalità organizzata derivanti da queste. Se poi ciò non dovesse bastare, l’Unione Europea si potrebbe attivare diplomaticamente per aprire un dibattito fra i vari stati firmatari del Fiscal Compact e di accordi simili, al fine di modificare le clausole restrittive sull’espansione del debito, e permettere ai governi di effettuare nuovi e più consistenti investimenti pubblici.
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