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Breve analisi sulla protesta del liceo Francesco Cecioni

Ho fatto passare un po’ di tempo prima di scrivere questo articolo perché ho voluto riflettere molto e evitare di parlare a sproposito come invece ho visto fare dalla maggior parte delle persone.
A Livorno il liceo Francesco Cecioni si ritrova a combattere una battaglia.
Ma quale?

C’è chi dice che la Provincia voglia abolire completamente l’indirizzo socio-pedagogico e l’indirizzo di scienze applicate trasferendo da metà anno tutti gli studenti al liceo scientifico Federigo Enriques e al polo scolastico ISIS Niccolini-Palli.
C’è chi dice che la Provincia voglia semplicemente chiudere le iscrizioni dal prossimo anno a questi due indirizzi.
C’è chi dice che gli studenti cambierebbero semplicemente struttura ma continuerebbero ad avere gli stessi professori.
C’è chi dice che tutti i professori perderebbero il posto di lavoro.
Insomma, la confusione regna sovrana.
Quel che è certo è che il liceo Cecioni ospita 1700 studenti e questo implica un problema di sicurezza.
Proprio perché la confusione regna sovrana, non mi pronuncerò su cosa sia giusto o cosa non sia giusto fare, ma vorrei prendere in considerazione e analizzare le modalità di protesta che sono state utilizzate e la nascita di queste.

Mi ha stupita come un intero liceo si sia indignato così tanto e si sia mobilitato solo nel momento in cui è stato colpito esso stesso.
Mi spiego meglio: il liceo Cecioni è uno dei licei meno attivi sul piano sociale.
L’ autogestione del Cecioni è nota per essere una delle meno serie e per aver ospitato ogni anno al suo interno corsi come “Il gioco della banana” o “uomini e donne”. Badate bene, non lo dico per sparare giudizi infondati, se non fossi certa di ciò che scrivo non starei nemmeno a dirvelo.
La partecipazione degli studenti del Cecioni alle manifestazioni e alle iniziative studentesche è quasi inesistente.

In questa vicenda si rivede nel piccolo ciò che accade in tutta Italia: si è affermato un becero individualismo che porta le persone a pensare solamente a sé stesse.
Perché questi studenti si sono mobilitati solamente quando i danni sarebbero andati a colpire loro in prima persona?
Perché, dall’altra parte, non si sono battuti per i diritti e per le rivendicazioni di tutte le altre scuole?
Questo sta succedendo in Italia: ognuno pensa per sé.
Vedo molte persone chiedersi il perché in Italia non sia scoppiata una rivoluzione negli ultimi anni, o perché i numeri di presenze alle manifestazioni non aumentino, anzi.
La risposta è l’individualismo.
Ce ne freghiamo se gli altri vengono licenziati, sfruttati, se le altre scuole cadono a pezzi.
Se abbiamo ancora la minestra in tavola la sera, un lavoro e una scuola che non crolla allora va tutto bene.
Per non parlare dei vergognosi cori contro le altre scuole, altro microesempio di ciò che accade nella nostra nazione: pur di brillare si schiaccia gli altri, pur di vivere si uccide gli altri.
E così, finisce che gli studenti del Cecioni non solo alzano i pugni quando in verità guardano solo a sé stessi, non solo chiedono aiuto per protestare ma si trovano anche a cercare di affondare il più possibile le altre scuole con cori come “Chi non salta è dell’ Enriques” e “Palli merda”.

Che la causa del Cecioni sia giusta o meno, le modalità di protesta non le ho apprezzate.
Automaticamente, per me, gli studenti sono passati dalla parte del torto.
In più ho poco tollerato cori come “Tra denunce e occupazioni se ci chiedono perché, pugno chiuso e io rispondo che la scuola è tutta per me” cantati con il pugno alzato. La scuola è tutta per voi solo quando vi pare.

Il pugno lo potrete alzare solo quando vi accorgerete di non riuscire a stare bene quando accanto a voi c’è qualcuno che sta male.

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