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María de Buenos Aires, una danza dell’anima

Ricorre quest’anno il centenario dalla nascita dell’artista italo-argentino Astor Piazzolla, lo straordinario musicista che ha dato vita al “Nuevo Tango”, uno stile unico frutto della contaminazione tra la musica popolare argentina e le influenze jazz unite a dissonanze contemporanee. Una ricorrenza importante che la Fondazione Teatro Goldoni ha omaggiato con una nuova produzione della sua Opera tango María de Buenos Aires, presentata nei giorni 25, 26 e 27 giugno all’interno della Stagione Lirica 2021.

 

Tango Operita

Maria de Buenos Aires è una donna affascinata dal tango, uccisa e colpita da una maledizione, ogni notte rinasce per tornare a morire all’alba: questa è la leggenda narrata nella tango operita scritta dal poeta Horacio Ferrer e musicata da Astor Piazzolla. Si tratta di una composizione divisa in due parti di otto quadri ciascuna, unica del suo genere nel panorama artistico del musicista, che unisce elementi originali e innovativi, grazie all’introduzione di nuovi strumenti come la batteria, le percussioni e la chitarra elettrica.

Venne rappresentata per la prima volta al Teatro Colón di Buenos Aires nel 1968. Interprete e musa ispiratrice di Piazzolla fu Milva, la cantate italiana che ha dato più volte voce al centrale e difficile ruolo di Maria. Se ne ripropone di seguito una sua perfetta e travolgente interpretazione del celebre brano Yo soy Maria eseguita nel 2005. https://www.youtube.com/watch?v=ds5b8ZJeWK4

La storia scritta da Ferrer è surreale e visionaria, che gioca su dualismi quali sacro e profano, amore e morte, dove la femminilità e la donna sono poste al centro della vicenda.

Una trama leggendaria che ha come scenario una vera e tormentata Buenos Aires in piena crisi economica e psicologica dopo la caduta del governo populista e autoritario di Juan Domingo Perón.

Yo soy Maria

María, interpretata impeccabilmente da Arianna Manganello, è una sorta di Carmen postmoderna, nata un giorno che dio era ubriaco. È un’operaia corrotta dal fascino del tango e del Bandoneon, vittima dell’odio sociale, ma anche l’incarnazione di una città che sa sempre rinascere dalle sue ceneri alla conquista della propria libertà.

In questa nuova produzione Maria è rappresentata come una donna alla ricerca di sé stessa, forte e audace ma allo stesso tempo fragile e sofferente, in cerca di una carezza umana. Come una novella resurrezione cristologica, ogni notte torna in vita, ma è condannata a un inferno terreno fatto di prostituzione, assassini, ladri, spiriti. Al contempo è anche una Mater Dei, una Madonna profana, che partorisce una novella Maria, simbolo di una nuova e libera Buenos Aires. Solo nel finale arriverà una sorta di glorificazione della protagonista, che si autoproclamerà anima stessa del tango e di Buenos Aires, in un’identificazione totale e intima con le radici profonde di una terra, di una danza e di una città.

Toccanti sono stati gli ultimi due quadri nei quali si sono susseguite immagini e volti di tante donne di ogni età in cerca di riscatto mentre Maria, scesa in platea, invitava le donne del pubblico ad alzarsi. Come una voce corale, noi siamo le donne partorite da Maria, siamo “gocce dello stesso pianto”, Yo soy Maria.

Due coscienze maschili hanno abilmente affiancato la protagonista, Giacomo Medici nel perfetto ruolo del cantante gaucesco e Gianluca Ferrato, magnifico attore nel doppio ruolo del Duende e dello Spirito, filo conduttore, attore e spettatore nel racconto della vita di María.

La scenografia di Flavia Ruggeri, semplice e scarna, è stata funzionale per la messa in scena, una bara aperta in primo piano, alcune sedie, un tavolo/leggio per il magistrale direttore d’orchestra Igor Zobin e una toeletta per i cambi d’abito di Maria. D’impatto è stata la presenza degli undici strumentisti disposti all’interno di una impalcatura, che hanno occupato gran parte della scena, come veri e propri co-protagonisti dell’opera.

Una Maria sicuramente più “asciugata” dell’originale, anche nel cast, ma che non ha perso il suo fascino colto e popolare ma allo stesso tempo raffinato e viscerale.

La danza è qui una danza dell’anima come spiega il regista Alessio Pizzech:

“non è un tango danzato; se tutte le Maríe hanno la danza, noi abbiamo scelto di farlo senza perché è un tango dell’anima, un tango interiore che sta dentro l’essere umano”.

Così Maria de Buenos Aires è tutto questo e altro ancora, è unione di tradizione e innovazione, un monumento al tango, quello che, come dice Piazzolla, “… se lleva dentro de la piel”, come una forma d’intramontabile amore.

Dolore, tormenti, sogni, fantasia, tutta la povera e malinconica vita argentina in due ore di spettacolo toccante, che ha lasciato un segno profondo nel pubblico, il quale gli ha tributato prolungati e sonori applausi.

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