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Modigliani a Livorno, la mostra che vuole ripagare il torto

Dal nostro lettore Jacopo Suggi

 

Nella città labronica si è inaugurata con grande entusiasmo la mostra Modigliani e l’Avventura di Montparnasse – Capolavori dalla collezione Netter e Alexandre che resterà aperta fino al 16 febbraio 2020 , organizzata per celebrare il centenario della morte del pittore livornese, nella sale dove da poco più di un anno trovava posto la collezione del giovane Museo della Città, attualmente disallestita per far posto alla grande mostra. La  rassegna arrivata a Livorno porta in uno dei quartieri più caratteristici della città alcuni grandi capolavori del pittore livornese, che raggiunse la tanto agognata “pienezza” a seguito delle sue lunghe ricerche dopo il trasferimento a Parigi.

 

Il clima che ha accompagnato la preparazione della mostra è stato quello tipico dei grandi eventi: l’eccitata convinzione di prender parte ad un avvenimento storico, che promette di spingere la sonnolenta cittadina portuale al centro del palcoscenico internazionale dell’arte  almeno per tre mesi, mista alla tensione di una città che non è avvezza a confrontarsi con questi eventi. Ma se la sfida non può dichiararsi conclusa e vinta, tre mesi di mostra sono lunghi, si può almeno constatare con sollievo che seppur ci sia ancora qualcosa da migliorare nella gestione degli spazi, tutto funziona e anzi, appare tutto così bello.

Soltanto nei primi giorni di settembre era trapelata la fumosa ipotesi da parte della nuova amministrazione del Comune di Livorno di organizzare una grande mostra per l’anniversario dei 100 anni dalla scomparsa del grande concittadino. Sembrava tutto così improbabile, e tutti sappiamo che dopo i bizzarri eventi del 1984, allora organizzati per il centenario dalla nascita con ambigue retrospettive e il dragaggio del Fosso Reale, (culminato nella ben nota beffa delle teste di Modigliani), Livorno ha sviluppato un certo imbarazzo a parlare del pittore. Comunque le esigue disponibilità di una dimessa città portuale non hanno mai permesso di sognare e sperare tanto. Poi il sogno prende consistenza il 16 settembre, il sindaco Luca Salvetti insieme all’assessore alla Cultura Simone Lenzi siglano un contratto con l’Istituto Restellini di Parigi rappresentato dal fondatore Marc Restellini, forse il massimo esperto di Modigliani. Con lui arriva la collezione “Jonas Netter che l’Istituto gestisce. Una collezione che contiene un nutrito nucleo di opere di Amedeo Modigliani, oltre quelle di alcuni dei più celebri artisti attivi a Parigi nei primi decenni del XX secolo e talvolta frettolosamente racchiusi nella debole definizione di École de Paris. Dieci giorni dopo circa, arriva anche la conferma di quanto Restellini aveva cautamente ipotizzato: l’arrivo anche di una dozzina di disegni della collezione Paul Alexandre con le ricerche del giovane Amedeo Modigliani,  e l’entusiasmo sale alle stelle. Ma dal giorno dopo, la situazione diventa nuovamente tesa, polemiche in consiglio comunale sulle grandi somme destinate alla mostra e il poco tempo a disposizione per organizzarla, a cui poi seguono di giorno in giorno rincorse a progetti, interventi strutturali, e bandi aperti alle associazioni e alla città per partecipare a vario titolo a un evento che, secondo le parole del sindaco, deve diventare una sorta di “Olimpiade per Livorno”. La città si tira a lucido, la piazza del Luogo Pio viene ripensata (almeno per il tempo della durata della mostra), tolti i posti auto che di fatto la rendevano un grande parcheggio fra due splendide chiese settecentesche in uno degli angoli più pittoreschi del quartiere la Venezia. Un  arco accoglie il visitatore davanti la struttura del Museo della città, in parte ospitato in antichi magazzini dell’olio di età medicea e parte in una chiesa; un museo che per l’occasione si è rifatto totalmente il look. I tempi schizofrenici non ostacolano però l’apertura della mostra, che si apre così ai visitatori.

 

Gli spazi del museo della città allestiti da Luigi Cupellini sono modulati attraverso accese cromie, giallo, verde, blu, che individuano e raccolgono diversi artisti attivi a Parigi e di cui l’avveduto Jonas Netter seppe cogliere la genialità, quando la critica gli era ancora ostile. Artisti maledetti, sono stati talvolta appellati anche in varie mostre, ma ciò che realmente gli connotò è il rifiuto delle regole imposte dal vivere borghese, che è tipico di questa generazione, e che invece è estraneo a un movimento di estrazione più elevata come è stato invece quello degli Impressionisti – non a caso interessati a scene di vita mondana e di sociabilità borghese-. Molti di loro arrivarono a Parigi senza un soldo come Soutine, o possono vantare vite considerate “borderline” come Suzanne Valadon, che fu prostituta, pittrice, modella, amante di molti pittori, fra cui uomini ben più grandi quando era giovane e invece interessata a compagni più giovani quando ormai arrivata alla tarda età. Tale libertà nei costumi, indotta dall’idiosincrasia per i modelli di vita borghese, certamente fu accompagnata dal particolare momento storico, in cui altre grandi forze spiegavano allora le loro ali, come gli ideali anarchici e socialisti, e che partorirono esperimenti come quello della Rue Delta, esperimento di comune artistica, patrocinato da Alexandre che comprò delle strutture dismesse per insediarvi gli alloggi e gli studi di artisti, fra cui Modigliani, che qui conobbe Brancusi. Se diversa è la generazione di artisti, diversa è anche quella di collezionisti, Zborowski, Jonas Netter, Paul Guillaume, Paul Alexandre non hanno le mastodontiche disponibilità di collezionisti come Rockfeller, Ščukin, Morozov e nemmeno la spregiudicatezza di Paul Durand-Ruel; non hanno gallerie dove esporre e dove ricevere esponenti della buona borghesia, ma sono marchand in chambres, ricevono in casa, e spesso non acquistano per speculazione ma solo per passione. Si trovano anche ad essere derisi, perché acquistano opere di artisti ignorati e emarginati. Jonas Netter ha un’anima popolare, pur venendo dalla buona borghesia, affine alla poetica di questi cantori dei bassifondi, della vita bohemienne, più che collezionista ne diventa protettore e amico, come con Maurice Utrillo di cui paga regolarmente le spese mediche e di internamento. Nelle sale sono disposti gli artisti che Jonas Netter amò, molti legati a tendenze espressionistiche e fauve prima e sempre più interessati al primitivismo, di cui Modigliani seppe ritagliarsi una poetica tutta personale.

 

Suzanne Valadon è rappresentata da un cospicuo nucleo di opere, fra cui alcuni splendidi nudi, in cui l’audacia dei colori coniugata a un trattamento dei volumi sensibilissimo ricorda il ritmo di Matisse. Poi i paesaggi del figlio, Maurice Utrillo con i suoi scorci di Montmatre, di cui sa cogliere l’anima più intima, dipinti  che spesso includono gesso e colla e la cui intrinseca vitalità stupisce se si pensa che spesso son tradotti da cartoline. A seguire Andrè Derain, pittore influenzato prima dalle poetiche fauve e successivamente dalla riscoperta dell’arte africana che convive con la lezione di Paul Cézanne e non ultima quella di Van Gogh. Accanto a lui Moïse Kisling pittore in cui le ricerche fauve si fanno più intime e psicologiche e che fu l’autore della maschera funebre di Modigliani. La mostra poi conduce a un lungo corridoio nei toni del celeste chiaro, che funge da cannocchiale su quello che si presenta a prima vista come il sancta sanctorum della mostra, la stanza dedicata ad Amedeo Modigliani, dove il quadro Filette en bleu appare come il tesoro più prezioso. L’allestimento sembra voler riecheggiare i tenui toni della veste della piccola, ma prima dei dipinti, ecco i disegni di Modigliani.

Questi mostrano in particolare la ricerca di Amedeo Modigliani pochi anni dopo il suo trasferimento a Parigi, quando è ospite della Rue Delta e Paul Alexandre è il suo principale mecenate. La ricerca della purezza della linea evidente in alcuni disegni di donna, si fa carico successivamente di una problematica tesa all’evocazione di volumi con mezzi ridotti, in un approccio che riecheggia la scultura, e infatti si concentra sullo studio di cariatidi, carico di simbologie e propedeutico al progetto di un tempio della voluttà, di cui l’influenza dell’arte totale promossa da Richard Wagner sembre evidente. Emblematico del continuo influenzarsi nell’arte di Modigliani fra disegno e scultura, le cariatidi diventano una sintesi delle sue ricerche e influenze, una continuità che va dalle civiltà arcaiche, africane, oceaniche, cicladiche e egiziane, passando poi per l’arte classica, fino alle influenze dei primitivi toscani. Modigliani seppe mettere a frutto apporti diversi coniugandoli grazie alla sua straordinaria sensibilità. Già nei disegni si vede lo sviluppo di alcuni caratteri più tipici dell’arte di Modigliani, come la ieraticità dei soggetti che assumono una valenza totemica, la sintesi dei dettagli anatomici, che vengono enfatizzati, con gli occhi che sebbene spesso vuoti, fungono da cardine della composizione. Elementi che ricorrono nei dipinti più tardi, qui rappresentati da 9 oli della collezione Netter, dove vengono però impiegati per eternare i propri affetti, la compagna, il mercante Zborowski, l’amico Soutine. La stanza che raccoglie questi dipinti si pone come apice della mostra, scelta tutta curatoriale, poiché Netter non prediligeva un artista ad un altro, eppure la grandiosità di Modigliani ai nostri occhi sembra palese, pur nel confronto con artisti di tale levatura, grazie al suo sviluppo di una poetica così densa di riferimenti eppure così eccezionalmente originale. Poco lontano dai dipinti di Modigliani, è posto quello di Jeanne Hébuterne, compagna devota fino all’estremo sacrifizio come cita l’epitaffio della tomba al Père Laschaise, ma anche la prima e unica allieva diretta di Modigliani. Il quadro dipinto su entrambi i versi presenta Adamo ed Eva davanti all’albero, quasi a voler raccontare il loro rapporto, nato nel peccato: l’incontro fra una ragazza minorenne cristiana e un pittore ebreo ben più grande di lei. Non distanti le opere di Chaim Soutine che in vita gli fu molto amico, salvo rinnegarlo da morto, e che mostrano una ricerca completamente diversa, più inquieta e torbida e meno meditata ma più immediata.

Maurice De Valminck, Hayden, Krémègne, Kikoine e altri bravi pittori completano la rassegna, dimostrando ancora una volta l’alta qualità della collezione Netter.

 

La mostra fruibile in ordine cronologico ma anche per nuclei tematici come il paesaggio e il ritratto, è una straordinaria esposizione di capolavori, dove Modigliani viene rappresentato da alcuni dei suoi lavori meglio riusciti. La mostra rinuncia a proporsi come una retrospettiva dell’opera completa di Modigliani, qui sono infatti raccolte solo alcune delle opere concepite in Francia, e non sono esplicati gli esordi del pittore, per altro difficilmente ricostruibili poiché rappresentati da pochissimi lavori di sicura autografia. Il progetto curatoriale non prevede di includere le opere custodite nel Museo Civico di Livorno, una tavoletta con un paesaggio di non ben chiare inclinazioni macchiaiole, e due disegni di cui uno tratteggiato su una tovaglietta e secondo alcune testimonianze realizzato durante un successivo soggiorno a Livorno. La mostra non vuole proporre alcuna nuova lettura dell’opera del pittore livornese, ma si limita a mettere in mostra alcuni dei suoi brani più alti e emblematici, accompagnandoli con una ricca rassegna di grandissimi artisti. Eppure nonostante l’esposizione di Livorno non porti con sé nuovi studi o nuove letture, si pone come un evento riuscitissimo. Perchè? L’impresa di proporre una mostra più vasta sarebbe stata certamente impossibile per le fragili disponibilità del Comune di Livorno e per il tempo a disposizione, e avrebbe potuto dar adito a dubbi, come peraltro accaduto alla mostra a Pisa a Palazzo Blu, accostando a Modigliani opere di cui la paternità è ancora discussa. Invece si è voluto esporre solo opere di certa autografia e di altissima qualità, anche per allontanare ogni sospetto, che negli ultimi tempi ha colpito tutte le esposizioni di Modigliani, e l’unione di opere dalla collezione Netter con quelle di Alexandre ha comunque qualcosa di straordinario. L’importanza simbolica di cui si fa carico questa mostra, non è solo quella di garantire le celebrazioni di un centenario  che si ponga come un appuntamento sicuro dopo tante mostre ambigue, ma assume un ulteriore e ben più fondamentale valore, una sorta di storico risarcimento, diremo fra Livorno e Amedeo Modigliani, ma che si potrebbe allargare a tutta l’Italia, che non si è poi mai dimostrata molto interessata alla sua valorizzazione. Una prima pietra, che sebbene accompagnata da leciti dubbi (come quelli mossi da Marilena Pirelli in un articolo su “Il Sole 24 ore), potrebbe in futuro dar vita al proposito di un grande centro studi sulla figura di Modigliani.  Un progetto di cui si deve iniziare a parlare fin da subito, e che necessariamente coinvolga Livorno come peraltro avrebbe voluto la figlia Jeanne, che possa contribuire allo studio e alla ricerca intorno alla figura di Modigliani, e il suo complesso, ma per questo non meno interessante, rapporto con l’Italia e le sue tradizioni figurative.

 

 

 

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