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Recensione di Stoker (2013)

Recensione di Stoker 

Il 2013 è sicuramente un anno da ricordare per il vasto universo cinematografico. Al di là delle numerose pellicole made in U.S.A. uscite (o che dovranno ancora uscire in questi ultimi 2 mesi) è bene segnare questa particolare annata per l’arrivo, dalla Sud Corea, del regista Park Chan- wook ed il suo debutto in terra straniera. Per chi non ne fosse al corrente, dietro a la trilogia della vendetta, iniziata nel 2002 con Mr. Vendetta, portata avanti con l’ormai celebre OldBoy (2003) e conclusasi nel 2005 con Lady Vendetta c’è il volto, ed a maggior ragione il talento, di quest’uomo nato a Seul nel 1963. Dopo aver partecipato a numerosi concorsi, durante la sua carriera, tra cui citiamo il Festival di Berlino, La Mostra Cinematografica di Venezia ed il Festival di Cannes, Chan-wook viene “finalmente” preso in seria considerazione a Hollywood e già dal 2011 iniziano i preparativi per la realizzazione di Stoker. La pellicola vede alla sceneggiatura Wentworth Miller (Prison Break) qui sotto lo pseudonimo di Ted Foulke e nel casting vengono coinvolti la diva Nicole Kidman (Moulin Rouge!; The Hours), l’inglese Matthew Goode (Macht Point) e la giovane Mia Wasikowska (Alice in Wonderland; Jane Eyre). Sebbene, già da queste poche premesse, la validità del film sembra essere scontata, noi di Uninfonews.it abbiamo deciso di recensire la nuova pellicola del regista Coreano e cercheremo di analizzare meglio nel dettaglio i vari elementi di cui è composto Stoker, non senza, nel caso, muovere qualche critica. Se siete curiosi di sapere cosa davvero pensiamo di questo lungometraggio o siete semplicemente fan del regista, vi consigliamo di continuare la lettura dell’articolo. Buon Proseguimento!

India Stoker (Wasikowska), una giovane sensibile e introversa, perde il padre in un incidente d’auto. Dopo la morte, suo zio Charlie (Goode) si trasferisce a vivere da lei e da sua madre, una donna psicologicamente instabile. Subito, dopo il suo arrivo, India inizia a sospettare che quest’uomo, affascinante e misterioso, abbia delle oscure ragioni per vivere con loro. Ma invece di esserne turbata, resta sempre più incantata da lui…

Al di là del genere di appartenenza, dell’atmosfera e dai risvolti della vicenda narrata, Stoker è principalmente un film che descrive il lento cammino della protagonista nella ricerca di una sua identità. Non è affatto casuale, dunque, l’elemento che solo in apparenza può sembrare scontato e privo di valore, ovvero il diciottesimo compleanno della giovane India; questi è la molla che darà inizio a tutta una serie di eventi portati, in un certo senso, sempre più al limite e che arriveranno a far capire alla ragazza chi sia davvero, portandola a lasciarsi alle spalle gli anni dell’adolescenza e facendole varcare la soglia della maturità. E’, tuttavia, un film che nella seconda parte soffre un po’ troppo dei limiti imposti (quasi sicuramente) dalla produzione, che non permettono al regista di concludere la storia nel modo migliore, ma costringendo quest’ultimo a tirare le fila del tutto in un modo troppo ordinario (e meno ispirato) che rimane straordinario solo sotto l’aspetto tecnico. In un certo senso, Stoker è vittima non dell’incapacità del film-maker, ma delle barriere creative di chi l’ha prodotto.  Eppure qualsiasi cosa si può dire di questo lungometraggio eccetto il fatto che sia brutto o mal riuscito, tutt’altro! Fa, tuttavia, storcere il naso il fatto che Chan-wook si sia nella parte finale, forse, un po’ troppo riservato o frenato, non riuscendo ad eguagliare alcuni dei momenti visti nella prima ora del film. Per quanto riguarda la regia è impossibile non innamorarsi dello stile del Sud Coreano, sempre molto preciso, attento, curato e incredibilmente elegante. Ci sono numerose inquadrature di rara bellezza, momenti ricchi di silenzi amalgamate a sequenze piene di suspance e in un certo senso, lo si può far notare senza troppo problemi, Stoker vive anche degli echi di alcuni film di Hitchcock, pur riuscendo, comunque, ad avere una propria e ben delineata personalità. E’ impossibile non apprezzare i tanti giochi di luce ed ombre più volte qui proposti nei 108 minuti complessivi, o non rimanere stupiti da alcune immagini, come ad esempio l’aver fatto diventare (in una sola inquadratura) i capelli della Kidman dei sottili fili d’erba o l’aver creato, da delle lettere messe alla rinfusa, in maniera perfetta i lineamenti del viso della Wasikowska. Potremmo stare ad ore a parlare della tecnica di Chan-wook ed offrirvi numerosi episodi che ne costellano la pellicola eppure, tra tutte le scene girate, la sequenza dove India e suo zio Charlie suonano al piano forte assieme rappresenta, senza ombra di dubbio, la più bella realizzata. E’, come già accennato, una regia attenta e che non offre mai nulla al caso, capace di portare avanti un film non solo al livello estetico, ma principalmente attraverso l’uso di metafore, come ad esempio quella delle scarpe, che le vengono fatte come regalo di compleanno fin dalla nascita e che qui, in modo anche abbastanza esplicito, rappresentano la crescita della protagonista. Proprio su di lei si è fatto il lavoro più grande e meglio riuscito di tutta la produzione e tanta fatica è stata ben ripagata anche sul piano recitativo dalla talentuosa australiana Mia Wasikowska. India è senza ombra di dubbio un personaggio interessante, sopratutto perché, al di là delle sue scelte che la porteranno a essere un preciso tipo di donna, figlia dell’ambiente in cui vive e delle persone con cui (non) ha passato la sua gioventù; ella incarna l’essere umano in un momento chiave e essenziale nella sua formazione, quando cerca di capire chi sia davvero. Il tutto ruota attorno a lei ed al rapporto con lo zio Charlie, un uomo inquietante e sinistro da cui la ragazza è attratta. Il regista di Oldboy riesce, nella prima parte, magistralmente a mettere assieme l’inquietudine ed il thriller senza porre alcun freno alla sua creatività, ma aumentando sempre più la posta in gioco e non puntando sul fattore sorpresa, almeno non apparentemente, per concentrarsi essenzialmente su l’aspetto psicologico della figlia, della madre e dello zio.

Tutto questo è accompagnato anche da un ottimo cast, che vede Mia Wasikowska perfetta nell’interpretare la tanto fredda quanto introversa India, grazia anche a quel suo particolare fascino, qui specchio dei dissidi e dubbi interiori che attanagliano la protagonista. La Kidman ritorna, dopo anni di peformance non proprio esaltanti, ad interpretare un ruolo che le calza a pennello ed è difficile, in alcuni momenti, rubarle la scena o l’attenzione, in fondo perché, ammettiamolo pure apertamente, veder recitare una diva come lei fa sempre piacere non solo per via del suo fascino, ma anche per il talento; tuttavia, sebbene quest’ultima non riesca ad arrivare al massimo e ad eguagliare i film del passato, la sua performance è ottima. Matthew Goode sparisce un po’ di fronte alle due donne, però è convincente, specialmente nel finale, dove deve mettere a nudo la vera indole di Charlie ed i suoi reali propositi. Tra gli attori chiamati ad interpretare ruoli minori ricordiamo Jacki Weaver (vista di recente ne Il Lato Positivo). La fotografia è semplicemente straordinaria ed è forse una delle più belle viste negli ultimi anni, così come le scenografie, che riescono a dare il giusto tono di tormento che accompagna la vicenda in ogni momento senza mai, però, essere troppo sopra le righe o abusata. La colonna sonora è altrettanto convincente, complice la collaborazione del compositore Philip Glass.

Stoker, il cui titolo è un omaggio al creatore di Dracula, è un thriller ben fatto, diretto ed interpretato. In alcuni momenti il film pare ricollegarsi non solo metaforicamente, ma anche esteticamente al noto romanzo da cui prende il nome dell’autore, grazie a delle sfumature gotiche e alla grande inquietudine quasi irreale (ma mai banale) che si respira. E’ un film che se fosse stato girato da un regista qualunque sarebbe stato quasi sicuramente rovinato e che grazie alla bravura e al talento di Chan-wook riesce ad arrivare ad una eleganza e sicurezza nella messa in scena davvero di ottimo livello, eppure, al contrario di una prima parte molto ispirata e tecnicamente straordinaria con trovate ed inquadrature eccezionali, il film nel finale riserva qualche debolezza e appare leggermente sottotono, anche se ciò non porta a rovinare il prodotto nel complesso, ma comunque queste sono lacune che è bene notare a malincuore e rappresentano, probabilmente, i limiti imposti al Sud Coreano dalla casa produttrice chiamata in causa e dalla sceneggiatura. Il nostro augurio è quello che il regista possa aver capito che l’America, forse, non è ancora pronta al suo tipo di cinema e questo problema lo vediamo anche per altre produzioni a Hollywood dove molto spesso si mettono in luce i contrasti tra chi finanzia i lungometraggi e chi li realizza. Grazie ad un ottima fotografia, scenografie e un cast che funziona in ogni momento egregiamente, Stoker si fa portavoce di raccontare il passaggio dall’adolescenza all’età adulta attraverso immagini forti e di insolita bellezza, riuscendo a brillare di luce propria e a non apparire mai come un prodotto derivato, mischiando vari temi e non allontanandosi mai dal genere di appartenenza (il thriller). Per questo e per quanto già detto, consigliamo questo film caldamente.

Claudio Fedele

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4
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