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Il teatro romano di Benevento

In questo mio primo lavoro ho intenzione di inaugurare una serie di articoli dedicati alla mia città natale, Benevento.

Prima centro Sannita con il nome di Maloentum, poi, dopo anni di faticose battaglie, tra cui si annovera una delle peggiori sconfitte dell’esercito romano presso le Forche Caudine nel 321 a.C, la città divenne Romana e  il nome venne cambiato in Beneventum, “buon evento”, avendo, i romani mal interpretato il toponimo originario di origine sabellica.

Durante la dominazione romana la città divenne una delle più importanti, arricchita da numerose opere pubbliche, di cui la più importante rimane sicuramente la Via Appia che attraversava la città, diretta poi verso Brindisi, e monumenti, che le valse la definizione di “Gemella di Roma Imperiale” da parte di Orazio.

 

Ed è proprio di uno di questi monumenti che oggi voglio parlare: il teatro romano.

Fu costruito ai tempi di Traiano, tra il 98 e il 117 d.C, ma fu inaugurato con Adriano nel 126 d.C e ristrutturato, con anche un ingrandimento, da Caracalla tra il 200 e il 210 d.C, restauro testimoniato da alcune epigrafi. Da scavi recenti risulta che il teatro è stato costruito sui resti di un edificio anteriore, distrutto probabilmente da un’alluvione risalente agli inizi del I secolo d.C.

Era orientato a nord-ovest e posto in prossimità del cardus maximus, una delle vie principali degli impianti urbanistici romani e la sua capienza è stata calcolata a circa 10000 spettatori, un numero davvero notevole.

Veduta di parte della cavea del teatro

La struttura è in opera cementizia, sostanzialmente formata da malta (calce più sabbia o pozzolana) e piccole pietre grezze o frantumate, con paramento di pietra calcarea nella parte ricurva e di laterizi nel resto della struttura.

La cavea, ovvero il luogo dove prendeva posto il pubblico, aveva un diametro di circa 98 m e come tutti i teatri romani era semicircolare e costruita su sostruzioni (e non “scavata” sulle pendici di un’altura, come invece erano costruiti i teatri greci) e si sviluppava su tre ordini, rispettivamente tuscanico, ionico e corinzio, di cui però oggi rimane solo quello inferiore,  costituito da venticinque arcate sorrette da pilastri con semicolonne tuscaniche. La ghiera dell’arco era inquadrata da una cornice e decorata nella chiave da busti, per quanto riguarda l’ordine inferiore, e, probabilmente, da maschere in quelli superiori.

La cavea era divisa in due settori e sovrastata da una galleria, la cui parete interna era decorata da nicchie: la funzione di questa galleria, era di intrattenere il pubblico durante le pause degli spettacoli, permettendogli di passeggiare e, perché no, scambiare qualche parola mentre si ammiravano le statue poste nelle apposite nicchie.

Le gradinate erano rivestite di lastre di marmo, che non solo rendevano molto più sontuoso l’edificio, ma avevano anche un effetto acusticamente riflettente, che è stato provato anche dall’analisi delle elaborazioni ottenute costruendo un modello numerico, che ha tenuto conto delle misure del teatro, comparate anche con quelle di edifici analoghi, e che ha messo in luce lo spettacolare effetto riverberante del teatro.

Alla base delle gradinate si trova uno spazio semicircolare, l’orchestra, che nel teatro greco era destinata al coro e alle danze, mentre in quello romano diventa o una platea per spettatori di riguardo, oppure, e così è nel caso di Benevento, un semplice spazio di disimpegno che separa il pubblico dal luogo ove si svolge lo spettacolo, il pulpitum, un palco, quasi sempre di legno, alle cui spalle sorge una struttura architettonica chiamata frons scenae, un fondale spesso sontuoso e molto decorato che doveva fungere da sfondo neutro per ogni tipo di rappresentazione e l’ambientazione poteva talvolta essere suggerita dall’aggiunta di pannelli dipinti, le scenografie; il pulpitum del teatro di Benevento aveva una decorazione marmorea alla base che lo separava nettamente dall’orchestra con uno stacco ben visibile, oltre che fortemente decorativo.

La frons scenae aveva tre aperture, tre porte, la centrale, detta regia, era più grande e inquadrata da due laterali più piccole, hospitalia,  e fungevano talvolta da ingresso monumentale per gli artisti, fattore testimoniato, tra le altre cose, dalla presenza di tre scalinate che, da un piano inferiore, conducevano alla frons scenae, e da frammenti di colonne e trabeazioni. La scena era decorata esternamente da tre nicchie, due minori e una maggiore, che ospitavano statue, molto probabilmente dei famosi gladiatori sanniti e nella parte interna da due nicchie e doveva essere sormontata da una sorta di tettoia che aumentava l’effetto riverberante del suono.

Le versurae. Nella porzione inferiore del paramento sono ancora visibili i marmi decorativi.

 

I personaggi delle rappresentazioni facevano il loro ingresso da due ali laterali, chiamate versurae: si tratta di due ambienti in cui gli attori si preparavano, indossando i costumi teatrali e le maschere e da cui, poi, potevano direttamente accedere sul palcoscenico. Nell’edificio beneventano le versurae avevano decorazioni pavimentali a mosaico e le pareti erano adorne di marmi policromi, marmi che dovevano  ornare anche gran parte del teatro, con un effetto coloristico assolutamente fastoso

L’accesso al teatro del pubblico, invece, avveniva mediante un viale, decorato da mascheroni teatrali in marmo, che riproducevano, in dimensioni enormi, le maschere che venivano utilizzate dagli attori sul palco: queste erano uno strumento dalla duplice utilità, in primis permettevano di cogliere un’espressione fissata e invariabile anche a coloro che sedevano distanti dalla scena, ai quali i tratti della mimica facciale dell’attore sarebbero senz’altro sfuggiti (talvolta la distanza delle file più lontane arrivava anche a 20m e più) e infatti proprio per rendere più vivo il personaggio, l’attore era solito usare una mimica corporale molto accentuata, per controbilanciare anche alla fissità espressi va che rischiava di creare la maschera; d’altro canto il suo uso era dettato da necessità foniche, in quanto il cavo creato da questa ampliava l’emissione vocale.

La galleria esterna che conduce ai vari accessi alle gradinate

Il viale conduce poi alla galleria ad arcate che gira tutto intorno alla cavea, la quale si mette in comunicazione con le gradinate mediante scalinate d’accesso, da cui il pubblico poteva entrare e prendere posto.

Nella zona circostante il teatro gli scavi archeologici hanno messo in luce una zona adibita con molta probabilità a scuola di ballo e teatro, a riunire le associazioni di attori e a fabbrica di strumenti musicali e macchine da scena, una testimonianza vivace della vita quotidiana degli “addetti ai lavori”, di tutto il grande apparato che stava dietro alla più importante attività ricreativa del popolo romano, aperta non solo alle classi patrizie, ma anche alle classi meno abbienti plebee, con una sorta di “democrazia del divertimento” che portava a sospendere qualsiasi attività lavorativa durante le recite.

 

Ma  a che spettacoli assistevano i cittadini romani? E chi era ammesso a teatro? E soprattutto, quando si andava a teatro?

 

Per rispondere a questa domanda non basterebbe lo spazio di un articolo e bisognerebbe coinvolgere numerosi campi di studio; per tale motivo si rende necessaria una sintesi, sicuramente non esauriente, dell’argomento.

Per un cittadino romano recarsi a teatro di mattina, assistere ad uno spettacolo , sedere insieme a  migliaia di concittadini in una cornice, quale quella dei teatri romani in pietra, architettonicamente suggestiva e lussuosa nella sua quotidiana magnificenza, era un’esperienza di festa molto sentita.

Tanto più che l’ingresso era gratuito per tutti – liberi e schiavi, uomini e donne, vecchi e bambini – ma era necessario una specie di “permesso d’ingresso”, in genere una tavoletta d’osso per controllare il numero degli spettatori e condurli ognuno al posto loro assegnato. Sì perché, nonostante che l’accesso fosse libero a tutti, persino agli schiavi non veniva mai negato, e nonostante la capienza enorme di questi edifici, l’ordine sociale fortemente gerarchico della società imperiale romana non si perdeva nemmeno a teatro e nemmeno in quelle giornate, quali erano quelle degli spettacoli, di assoluta festa e gioia, perciò la distribuzione dei posti era rigidamente scandita da una legge che assegnava un settore del teatro ad ogni classe sociale. E così i comodi sedili, talvolta veri e propri scranni marmorei sovente coperti da cuscini, posti nella cavea e nelle prime file, erano riservati ai senatori; seguivano le file per i cavalieri, in genere quattordici; le ultime file delle gradinate andavano alla popolazione; infine in cima, più in alto e più lontano dalla scena, stavano le donne con i bambini e gli schiavi.

Gli spettatori risentivano sicuramente delle condizioni climatiche, svolgendosi gli spettacoli nel periodo fra aprile e ottobre: perciò, per alleviare la calura creata dal sole che picchiava nell’imbuto della cavea, si utilizzavano pioggerelle artificiali, talvolta di acqua di rose e zafferano, che dovevano coprire i cattivi odori dovuti  al sudore del pubblico. In epoca imperiale, inoltre, vennero utilizzati dei tendoni di lino o cotone a copertura degli edifici teatrali, che venivano montati con manovre tutt’altro che semplici e per le quali erano spesso utilizzati uomini della marina, avvezzi a manovrare le vele delle navi.

 

Le recite avvenivano in occasione di alcune feste pubbliche, il cui momento saliente era rappresentato proprio dagli spettacoli teatrali, dedicate a numerose divinità (Ludi saeculares, Ludi Apollinares, solo per citare alcuni dei più antichi).

Gli spettacoli teatrali rappresentavano sicuramente uno dei maggiori momenti di aggregazione e di condivisione di momenti , in una società, come quella romana, assai gerarchizzata.

Purtroppo non ci resta che la fantasia per immaginare come i cittadini, patrizi o plebei che fossero, si commuovessero e piangessero assistendo ad una fabula cothurnata ( trageda latina di argomento greco, che spesso riadattava testi greci per il pubblico romano e prende il nome dal cothurno, la calzatura indossata dagli attori)o ad una fabula praetexta (tragedia di argomento latino che prendeva spunto sovente da momenti del mito e dalle leggende sulla storia di Roma e il cui nome si deve alla toga praetexta orlata di porpora che indossavano senatori e personaggi in vista); oppure come tutti insieme ridessero di una fabula palliata (commedia  latina di argomento greco, che prendeva il nome dal pallio, il tipico mantello indossato sopra la tunica) o di una fabula togata (ovvero la commedia ambientata a Roma o comunque in ambiente romano e che prendeva il nome dalla toga, il caratteristico indumento romano).

 

Il declino, l’abbandono e la rinascita

Mascheroni marmorei riutilizzati in alcuni edifici della città.

Destino comune a molte città e molti monumenti del mondo romano, con le invasioni barbariche e la conseguente lotta per la sopravvivenza delle popolazioni locali, unite al Cristianesimo che considerava l’arte del teatro come blasfema, il teatro romano di Benevento venne abbandonato e sulle sue strutture sorsero delle abitazioni e ancora oggi è circondato dal quartiere medievale del Triggio. Terremoti, alluvioni e incuria portarono al suo degrado; i materiali costruttivi furono spesso riutilizzati nelle costruzioni medievali, soprattutto i pregiati marmi che lo adornavano. Testimonianza evidente di ciò si ha girando per i vicoli medievali della città, dove, nei muri o al posto dei capitelli delle colonne, si possono vedere i tipici mascheroni teatrali che dovevano decorare le arcate esterne della struttura o il viale d’ingresso.

Panoramica del teatro; si nota la chiesa di Santa Maria della Verità e il circostante quartiere Triggio
La chiesa di Santa Maria della Verità che riutilizza parte della struttura

La famiglia Mappa lo utilizzò come deposito, dato che era proprietaria di un palazzo nelle vicinanze, mentre alla fine del 1700 parte della cavea fu occupata dalla piccola, ma bellissima chiesa di Santa Maria della Verità, e tutt’ora l’edificio sacro esercita la sua funzione parrocchiale in una posizione molto suggestiva, da una parte affacciata sulle mura longobarde e il quartiere medievale, dall’altra sul millenario edificio teatrale.

La “rinascita” del teatro si deve ai  beneventani  Almerico Meomartini, che nel 1890 fece i primi rilievi e iniziò i primi scavi nella zona, e Alfredo Zazo, che nel 1935 diede un forte impulso per il completamento della campagna scavi e per la ricostruzione: a questi due sanniti si deve il forte impegno per la restituzione alla pubblica fruizione di un maestoso monumento, diventato oggi uno dei simboli della Benevento romana all’apice della sua ricchezza in età imperiale.

Tutt’oggi è sede di numerosi eventi culturali, primo fra tutti “Città spettacolo”, che ha luogo nel mese di settembre e vede numerosi artisti impegnati in spettacoli di prosa, musica, danza, incontri, convegni ed eventi, in una suggestiva cornice creata dalla notte, quando la luce della luna e delle stelle si incontra e si fonde con quella, che mai si spegne, della storia millenaria de nostro Paese.  

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