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Della Cina, dell’apparenza e del consumismo come religione di stato

Foto di Pechino, Xi’an e Shangai.

Piazza Tienamen, Pechino

Questo è un articolo scritto di pancia mettendo insieme molte riflessioni e viaggi di amici. Mentre l’occidente era occupato a gestire crisi sociali ed economiche un nuovo gigante nasceva in Oriente al pari passo dei BRICS: la Cina. Un gigante che spesso abbiamo ignorato nel nuovo scenario internazionale. Ma la Cina non è stata seduta a guardare l’Occidente immobile indebolirsi da solo. In meno di venti anni Shangai, Pechino, Xiang sono divenute i nuovi centri finanziari e consumistici del pianeta. Un po’ grazie alla pianificazione del suo primo ministri Xi Jinping, un po’ grazie alle abili politiche governative di controllo di massa della popolazione. Capire cosa voglia dire essere cinesi oggi non è facile per noi europei. Innanzitutto la Cina non è un blocco unico, è uno stato federato su diverse latitudini, lingue, ricchezze, usi e costumi. Una storia millenaria, una cultura diversa dalla nostra, diverse lingue, una ufficiale che non tutti parlano. Un paese orientato all’eco-sostenibilità che da solo non riesce a salvarsi. Quello che ci interessa di più sono forse stile di vita e classe dirigente. La classe dirigente cinese è composta di funzionari di partito cresciuta dai figli della rivoluzione culturale maoista e dai figli dei primi oligarchi che hanno messo mano a industria, energia, tech e costruzioni. Classe dirigente che è entrata in contatto con il partito dei lavoratori costruendo la ricchezza di un Paese attraverso sfruttamenti, assenza di sindacati e paghe ridotte al minimo. Un Paese la Cina che si è distaccata dal maoismo per promuovere progressivamente un capitalismo di stampo consumista e volto al progresso tecnico. Un capitalismo collettivista che ha pian piano distrutto la concezione dell’individuo per sostituirla con i consumi sfrenati, ma a differenza dell’occidente pianificati da Mamma Stato.

L’individuo è ciò che consuma, quanto lavora. In questo senso la morale confuciana è molto chiara: copia per far meglio. E i cinesi non solo hanno copiato il resto del mondo, sono riusciti a fare di questa loro particolarità il vantaggio competitivo di uno Stato. Uno stato in cui risiede un quinto della popolazione mondiale.

Girare la Cina è senza dubbio un’esperienza mistica: metropolitane invase di telefoni di marche cinesi, madri divise tra schermi e bambini, persone che sbattono sui pali poiché prese più da uno schermo che dai passanti. File ai musei di 80.000 persone per farsi un selfie nei templi della Città Proibita di Beijing. Questa è la Cina oggi. Chi non sta qui sta a lavorare per poter permettere ai propri figli un nuovo Iphone. Un consumismo di stato. I ricchi sono sempre più ricchi in Cina, i poveri sempre più poveri e sfruttati, la classe media non esiste più. Un’oligarchia dove i ricchi scelgono per i poveri facendo affari con il governo.

Black Mirror e distopian novel

Nelle grandi città, che spesso raggiungono i 20 milioni di abitanti solo come agglomerato urbano, si paga tutto tramite WeChat, l’app di imitazione di WhatsApp che recentemente ha sfiorato il miliardo di utenti. Tutte le transazioni e le conversazioni passano per questa, il governo fa affari con i fondatori della stessa, ne prende dati sensibili, conversazioni, preferenze. Il tutto per correggere politiche sociali ed economiche. Hanno persino pensato di lanciare entro il 2020 un sistema di rating basato sui consumi e popolarità. L’idea è quella di rendere tutto trasparente, la verità è piuttosto un controllo sulle masse, portato a termine tramite analisi di big data e intelligenza artificiale. Di cui Pechino si sta dotando in fretta. La situazione è molto simile a quella di una serie tv di Netflix come Black Mirror, o ad un libro di Orwell. E poi c’è l’e-commerce che in cina ha il volto di Alibabà, che profila preferenze e rating, dati finanziari sensibili, insieme alla Bank of China. Tutto è registrato per essere usato nell’orientare le preferenze dei consumatori cinesi. Ma in mezzo al capitalismo, che tu sia a Pechino o a Xi an giri l’angolo: povertà.

Questo è l’annientamento morale dell’uomo, un uomo che vale per quel consuma, per quel fa, per quanto condivide, non per ciò che è. Uno vale uno, ma qui sembra che uno valga zero a meno che non sia ricco. Pechino non lascia spazio di respiro ai poveri, Pechino è costruita a grattacieli e casermoni, un po’ come Shangai fuori dal distretto finanziario. Un mercato del lavoro in sviluppo ma con guadagni bassissimi, la classe media non esiste. Ricchi o poveri. Sei imprenditore? Ricco sì, ma sottopaghi i tuoi lavoratori per tirare al massimo i profitti. E quale diventa lo scopo del lavoratore? Il far carriera per avere un riconoscimento sociale, per emergere e permettersi di consumare quanto un ricco.

Cosa conta davvero in Cina? La posizione sociale, i tuoi consumi, la ricchezza. Un capitalismo che supera l’occidente, forse Marx sarebbe d’accordo: è questo il vero socialismo scientifico. La tecnica sopra l’individuo, i salari ingiusti, ma l’equità sociale forse non esiste.

Ci sarebbe da chiedersi come la Cina sia arrivata a questo, e forse la risposta, sta proprio nello stato, e nel suo stratega più abile: Xi Jinping. I cinesi stanno conoscendo il capitalismo e piace a loro molto più che a noi, perché un capitalismo collettivista è l’arma di dominio più forte per un governo. Il popolo non pensa, i consumi aumentano, si calcolano preferenze dei consumatori per ampliare l’offerta di mercato e diminuire le criticità dell’individuo. Tu non sei niente se non quello che possiedi e a cui metti mi piace. Facebook è bloccato, WhatsApp e Instagram uguale. Dell’occidente non passa niente se non quello che vuole il governo.

 

Il cinese è quello che compra con WeChat

L’uomo è ciò che mangia, il cinese quello che fa o compra con WeChat, almeno per il governo. Lo stato controlla il cittadino tramite i consumi. Buona pace per chi ha pensato che maoismo e, se mai è veramente esistita, la rivoluzione culturale siano state tanto umano-centriche.

La verità è che forse la Cina è un Paese che si è dimenticato della dimensione umana e individuale per valorizzare un collettivismo spersonalizzante, scientifico, dove il progresso si è scordato dell’etica, sostituendola con i consumi.

Non so voi, ma tutto questo mi inquieta, perché i cinesi si stanno arricchendo, stanno comprando in tutto il mondo. E presto saranno presenti anche qui, senza limitarsi a spendere 50.ooo euro da Bulgari in Galleria Vittorio a Milano o alla Rinascente di Firenze. La loro sarà una mission ben peggiore, quella di imporre il “sistema Cina” al mondo intero.

In fila per un selfie

 

Questa modalità di concepire l’individuo mi inquieta alquanto, perché nessuno è padrone delle vite di un popolo, nemmeno lo stato. Lo ha detto anche il Nobel per l’economia Thaler, con il suo collega Sunstein: lo stato è come un padre di famiglia. Ti spinge, ma gentilmente, ti consiglia ma senza imporre. Lo stato si basa su un paternalismo libertario. O almeno dovrebbe, il problema è che forse l’occidente dovrebbe capire cosa vuole esser da grande o magari tra cento anni. Senza rispondere a questo quesito non riusciremo mai a capire quale sia la nostra etica e verso dove vogliamo andare. Perché noi rispetto ai cinesi abbiamo l’etica cristiana, una morale protestante e cattolica, l’individuo in Italia conta meno che a nord, non siamo protestanti come negli Usa o nel nord Europa. Siamo un Paese cristiano con una morale del tutto diversa: l’uomo al centro della storia. Ed è giusto così. Perché io come tanti voglio uno stato che tuteli me e i miei figli aiutandomi a scegliere bene. Non uno stato che mi vizi, inducendomi a consumare o che mi tassi abbastanza da tagliare le gambe ai sogni di un domani migliore. Voglio uno Stato in cui un uomo possa sentirsi realizzato, libero, non più schiavo.

Dov’è finita la morale? Dietro il progresso, sotto i tecnicismi. Dove stiamo andando?

Ci sono incontri, situazioni, stimoli e realtà che mai avrei pensato di raggiungere alla mia età, che mi hanno spinto in questo ultimo anno a riflettere sulla mia morale.

Un individuo quando deve fare una scelta importante non pensa soltanto in un’ottica individuale ma collettiva. La riflessione a cui sono giunto è che occorre portare al centro della società l’individuo in quanto persona, ma inserito in un’ottica collettiva, cioè in una società fatta di altri individui che influenzano le nostre scelte quotidiane. In tutto questo rifiuto sempre di più l’idea che l’uomo sia ciò che mangia o che consuma, altrimenti questa sarebbe la vittoria finale del consumismo sull’etica.

Di conseguenza sto pensando sempre di più che una laicità ispirata da determinati valori sociali non porti che a una forma di ‘consumismo sociale’, che per quanto funzionale alla società, non risolve i dubbi più profondi dell’uomo.

 

A che vale la mia vita? Scriveva Leopardi

A che vale la mia vita? Qual è il mio scopo? Perché mi emoziono, sono triste, felice o apatico?

I consumi agiscono sul lato edonistico dell’uomo, sul piacere, lo studia chi fa marketing: fumarsi una canna è come mangiare dal Mac, ma questa non è la soluzione ai bisogni più profondi dell’uomo. Così si diventa prosumer, consumatori e produttori, come sui social network e ci appaga anche di più. Perché ci sentiamo parte dei consumo che facciamo.

Forse abbiamo bisogno di riscoprire il bello, l’essenziale ed innalzarlo a modello di punta per un domani migliore dei nostri figli: non più consumi, ma coscienza di sé, non più Black Mirror o “Big brother is watching you”, ma tu per me chi sei? A che vale la tua vita di fronte alla mia, perché l’utero è mio e in quanto donna posso abortire? Cosa vale la vita umana? Riportare l’etica al centro è anche questo, farsi domande e rispondersi in maniera chiara. Ed io non mi arrendo ad un mondo dove etica, morale e filosofia vengono dopo il progresso scientifico, che pur sostengo come mezzo di sviluppo. No grazie.

Il consumismo è la via facile, pure io come tutti vi sono immerso, ma sto seriamente pensando che l’avere non basti all’uomo. Non bastano prestigio, profitto, carriera. Niente ci soddisfa fino in fondo se non ha un senso per portarlo avanti fino alla morte. Perché quella è l’unica certezza che abbiamo. Ho pensato più volte che spesso basti uno sguardo, un incontro, una lettura o un viaggio a scardinare ogni nostra certezza.

La Cina sta tentando di imporre questa visione ai suoi sudditi attraverso la pianificazione dell’economia in mano a Pechino, mi chiedo come sarà la Cina a livello sociale nel 2022 e dove saremo noi.

Sono fermamente convinto dopo circa un anno di pensieri, che quello che cerchiamo davvero sia nella vita sia altro. Vi siete mai chiesti perché Papa Francesco non può volare nello spazio aereo di cinese? Paura dell’etica cristiana? Probabilmente sì.

Lo diceva anche Pierre Theilard De Chardin che come gesuita ha vissuto molti anni in Cina come missionario, scienziato e allontanato da Parigi, dove insegnava, per via delle sue idee rivoluzionarie. Elaborando una delle teorie evoluzioniste più affascianti, che la Chiesa tutt’oggi la fatica ad innalzare come teoria di conciliazione tra evoluzionismo e fede. Una teoria che ha preso spunto anche dall’incontro con le filosofie orientali, con il buddismo e il confucianesimo, che la Cina sta mettendo da parte per ‘occidentalizzarsi’. Alle volte Dio si nasconde nelle periferie del mondo, non nella grandi città, si può leggere nei suoi scritti, di una sensibilità forte e penetrante, più che su un passo di Leopardi che quei mondi non li aveva mai visti, ma immaginati.

 

La Cina tradizionale

 

Dormi amore che la situazione non è buona

Così cantava Celentano. Ma in questa complessità quello di cui abbiamo bisogno, e che un domani vorrei stimolare nei miei figli, è una bussola di valori con cui orientarsi nella vita. In questo percorso vorrei farlo rispettando la loro libertà, senza imporre niente, attraverso la testimonianza, non la coerenza, nella vita si cambia e chi non cambia è destinato a perire. Se Darwin aveva ragione. Non so se sarò all’altezza. Questa è la mia scelta di vita. Le strade del Signore poi, sono infinite.

Se non ci fermiamo a pensare ora qualche anno, sarà troppo tardi, e forse vincerà il ‘sistema Cina’ o il ‘sistema Usa’. L’individualismo come religione di stato. O peggio, il consumismo.

E noi occidentali chi vogliamo essere nei prossimi cinque anni?

Vogliamo essere tutti Mark Zuckerberg, che incrementa la cultura dei consumi addormentandoci con promozioni di fashion blogger occidentali su Instagram, con tanto di hashtag #adv, #pornfood, parlandoci di apparenza e mondi che non conosceremo mai. Di voti e meriti che non raggiungeremo mai e che impatteranno negativamente sulla nostra autostima, facendoci credere di essere in difetto rispetto a chi conta. Oppure vogliamo essere liberi sognatori come Elon Musk che seppure con i suoi limiti, senza essere uno stinco di santo, prova a fare del mondo un posto migliore ed eco-sostenibile, è per loro che mi piacerebbe lavorare un domani.

Mi piacerebbe svegliarmi tra cinque anni e dire che mentre il mondo stava cambiando io non dormivo, ma ero parte attiva del suo cambiamento, che non mi sono mai lasciato sedurre dall’idea di diventare popolare su Instagram e che sono rimasto me stesso fino alla fine del mio tempo.

Ma si sa alle volte questo mondo ci schiaccia e non sempre è facile andare contro corrente come vorremmo, spero solo di ritrovare sempre la bussola davanti ad un tramonto, sulla muraglia cinese tra vent’anni, sul ponte di Brooklyn domani o nei campi vicino a casa mia oggi. Tornando alle cose semplici e importanti dell’esistenza. Perché tutti le abbiamo conosciute chi più chi meno, sono gli incontri che abbiamo fatto che ci hanno cambiati, non i posti o le mode.

Il coraggio che abbiamo avuto nell’affrontare le nostre paure o che abbiamo messo da parte nell’ignorare un qualcosa di più vero di un hashtag.

C’è una canzone che mi risuona in testa ultimamente, l’ha scritta un cantautore italiano e fa pressapoco così: “Faccio la cazzata più grande che ci sia: mi fido di te.” Ad avere questo coraggio si è più uomini che non a lasciare casa verso sogni che non raggiungeremo mai, sono solo velleità di gioventù. Indotte da modelli che percepiamo ogni giorno e che consciamente o meno abbiamo fatto nostri. Ma come canta un noto gruppo americano: “mass adulation is not so funny”. Li stessi che anni prima criticavano la società americana al ritmo di “Time to pretend”.

Perché parlo così?

Sarà che forse quest’anno mentre cercavo risposte, ho trovato solo domande più profonde, e che forse anche questo è un bene. Conoscersi è la chiave di una vita felice, ognuno deve conoscersi per quel che è davvero, non per quello che vorrebbe diventare seguendo i giudizi e le aspettative degli altri. Che sia lo stato a dircelo, che siano i genitori, che siano gli amici, i fidanzati o le fashion blogger infelici che pensano di darcela a bere, illudendoci che nella vita ci siano ricchezze, apprezzamenti e “mi piace” dal valore più grande di un abbraccio o di una carezza data da chi ci ama.

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