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Il Referendum sull’indipendenza catalana, visto da vicino

È difficile capire le cose dall’esterno, è difficile comprendere che cosa significhi il termine “indipendenza” in un periodo in cui l’unione sembra il rimedio fondamentale contro le spaccature ed i muri che si stanno innalzando in un’Europa sempre più debole e in piena crisi.

Ho voluto riportare la testimonianza diretta di Sandra, una cittadina spagnola nata e cresciuta a Barcellona.

Le ho chiesto cosa pensasse dei fatti avvenuti negli ultimi giorni e se fosse “favorevole all’indipendenza della Catalogna”. È stato difficile per lei rispondere dato che da anni ormai vive lontana dalla sua città e i suoi figli sono a tutti gli effetti spagnoli; ad ogni modo se prima si sentiva “catalana e poi spagnola”, ultimamente si è sentita “sempre più e solo catalana”.

Quello che è emerso durante l’intervista è un’intensa insofferenza contro le forze al governo, sì perché “se al posto del Partido Polular, ci fossero state forze più aperte al dialogo probabilmente la situazione sarebbe stata diversa”. Non a caso il sentimento indipendentista è aumentato molto negli ultimi anni, di pari passo con la crisi dei partiti tradizionali caratterizzati da continui scandali e accuse.

La Catalogna ha sempre reclamato forme forti di autonomia a causa della sua identità culturale, linguistica e storica; un aspetto fondamentale è la consapevolezza della sua potenza economica, che le permette di avanzare queste rivendicazioni con certezza: non a caso circa il 20% del PIL spagnolo viene prodotto qui.

I governi però negli ultimi anni, “hanno soffocato i diritti e le libertà dei catalani”; nel 2006 fu approvato il nuovo statuto sull’autonomia, dichiarato poi incostituzionale nel 2010 in alcune parti, soprattutto perché la Catalogna veniva definita una nazione. In seguito a ciò, si tenne a Barcellona un’enorme manifestazione di protesta a cui parteciparono circa 1 milione di persone.

Inoltre, sono state sospese dal Tribunale Costituzionale diverse leggi catalane tra le quali emergono quelle sull’emergenza e la sicurezza sociale, sulla parità di genere, la legge a favore della produzione culturale, o quelle sulle imposte al nucleare e alle banche.

Già nel 2014, lo stesso Tribunale aveva bloccato un tentativo di referendum sull’indipendenza, riducendolo ad una consultazione informale senza valore legale, alla quale partecipò il 36% degli aventi diritto, che si espresse per l’80% a favore della secessione.

Così i poteri centrali hanno dichiarato incostituzionale anche il referendum dello scorso primo ottobre, una consultazione avvenuta effettivamente nel mancato rispetto delle norme e della legalità. “Ma come possono parlare di legalità loro che sono i primi corrotti, accusati di distrazione di fondi pubblici e appropriazione indebita . Loro che nel 2015 hanno creato la Ley Mordaza (legge bavaglio). Come possono parlare di legalità e democrazia dopo gli scontri e le violenze ai seggi , dopo aver violato i diritti umani di centinaia di cittadini che avevano in mano solamente un foglio, una penna e la carta d’identità per votare?”. “Quello che probabilmente non viene detto nel resto d’Europa” continua,“è che Rajoy sta avvisando anche le altre comunità autonome, perché quello che è successo in Catalogna potrebbe verificarsi altrove, laddove vi siano principi di nuove rivendicazioni indipendentiste”.

La situazione è andata rapidamente fuori controllo, culminando con la dichiarazione di indipendenza di venerdì scorso. Comunque non è nata dal nulla, è il risultato di una storica e crescente incomunicabilità tra il governo centrale e Barcellona.

Per adesso è difficile capire che cosa accadrà, quel che è certo conclude, è che “L’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, è percepita dai catalani come la negazione assoluta dell’identità di un intero popolo”.

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