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L’eredità (parte 5) – Le storie brevi di Uni Info News

Per un’eredità misteriosa due ragazzi partono per un viaggio avventuroso. Ecco un’altra puntata della nostra rubrica settimanale “Storie brevi”, una raccolta di piccole storie con vari temi e stili, ma sempre brevi e dirette al lettore. Questa settimana ecco la quinta parte del nostro racconto a puntate. Buona lettura!

 

Per leggere la puntata precedente cliccate qui.

 

A cura di Simone Bacci

 

I tre impiegarono circa due ore per scalare quel tratto povero di appigli, e quando Francesco mise la prima mano sull’ultimo tratto di corda, si trovò di fronte un panorama mozzafiato. Una foresta di abeti e un piccolo laghetto a meno di mezzo miglio da loro, un laghetto di quelli di montagna, celeste come il cielo e freddo come l’inverno. Ai tre venne istintivo togliersi lo zaino, i vestiti e correre in mutande verso quel piccolo specchio d’acqua. Forse quello fu uno dei momenti più belli della loro esperienza, perché quando la fatica è così forte si facile riscoprire il gusto per le piccole gioie. Così l’acqua fredda di montagna temprò loro i muscoli e il morale, messi a dura prova dallo sforzo della prima vera scalata. Persino Tommaso si lasciò andare all’acqua: se aveva sopportato una scalata con una spalla dolorante e una caduta di diversi metri, poteva anche lasciarsi cullare dalle acque fredde del Montagnone senza indugio. Poi venne la sera, e al calare del sole notarono quella che doveva essere la vetta del Montagnone proprio di fronte a loro.

È veramente così lontana come sembra? Chiese Tommaso.

Meno di novecento metri in salita, ripose Beatrice.

Oggi ne abbiamo fatti un po’, farne altrettanti domani sarà dura, le ribatté Tommaso asciugandosi i capelli con l’asciugamano di Francesco.

Abbiamo uno zaino in meno e il percorso è più facile, rispose lei.

Dai, tranquilli, se le cose si mettono male lo possiamo fare anche in due giorni, rispose Francesco.

Tenete conto che poi ci vorrà un giorno intero per scendere, disse lei.

Sempre che ci arriviamo con il ferito, disse Francesco, che pur ironizzando guardava Tommaso come nella Bibbia si dice che i suoi cari guardarono Lazzaro risorto dalla tomba.

Prima che scendesse la notte i tre accesero un fuoco per asciugare i panni sporchi lavati nel lago e scaldare le ossa dal freddo che si stava abbattendo su di loro.

A quella altezza il freddo si fa sentire anche le notti di agosto.

 

Quella sera lo sforzo costò ai tre una cena in un silenzio compiaciuto, di conquista, come se avessero scalato il K2 e si trovassero in vetta.

Dove ceneremo domani non ci sarà legna, disse Beatrice.

Portiamone un po’, rispose Tommaso.

Gli occhi di lei occhi lo presero in giro e la sua testa roteando rifiutò silenziosamente quella proposta.

Adesso facciamo un gioco, disse Beatrice cambiando argomento.

Che gioco?

Un gioco per rafforzare lo spirito di squadra, rispose lei.

Per essere uniti servono alcuni accorgimenti, non basta divertirsi insieme, bisogna anche sapersi dire la verità, continuò lei.

Proviamo… Dunque, come sta andando questa scalata? Chiese rivolta ai due.

Francesco pensò che il suo fosse soltanto un attacco a quello che aveva fatto Tommaso, e in fin dei conti lei li conosceva da così poco tempo che non si poteva permettere di esprimere un giudizio su di loro, per questo a quella domanda diede una risposta mirata a stanarla.

Secondo te come sta andando?

Direi piuttosto bene, no? Rispose Beatrice.

Sì, disse Francesco.

A parte la mia cazzata, intervenne Tommaso. E sinceramente ti devo ringraziare, disse a Beatrice, perché da solo non ce l’avrei mai fatta a risalire.

Beatrice si girò verso Francesco, aspettando una sua risposta.

Concordo, disse lui.

Beh c’è un’altra cosa, disse Tommaso.

 

Mentre cascavo pensavo al motivo per cui siamo venuti qui, e onestamente mi sono sentito un po’ frustrato.

Cioè? Disse lei.

Quello che volevo fare era un ultimo viaggio con il mio migliore amico prima di iniziare una stagione nuova delle nostre vite, e invece ci siamo ridotti a indagare su una storia che nemmeno sappiamo se è un vero mistero o no.

Quelle parole ferirono profondamente Francesco.

Scusa se te lo dico solo adesso, ma penso sia giusto dirti la verità.

Bene, disse Beatrice rivolgendosi a Francesco, hai qualcosa da replicare?

Certo che ce l’ho, disse accendendosi l’ultima sigaretta del pacchetto ormai finito.

Beatrice alzò le mani per invitarlo a esprimersi.

Questa scenata fa tutta parte del piano per metterci l’uno contro l’altro. Tommy oggi è cascato, ma io lo so com’è fatto lui, so quali sono i suoi limiti, ma nonostante questo gli sono sempre stato vicino senza fiatare, senza dirgli niente. Accettandolo così: per com’è. E tu adesso arrivi qui e mettendoti tra noi vuoi insegnarci cosa significhi l’amicizia?

Non ho queste pretese, gli rispose Beatrice.

France ha ragione lei, ogni tanto dirsi le cose per come stanno fa bene.

Ah sì, fa bene? Allora forza sputale tutte ora.

Che vuoi sapere? Chiese Tommaso imbarazzato.

Cosa pensi di me.

Tommaso indugiò.

Non deve diventare un j’accuse, deve essere una correzione fraterna.

La correzione fraterna la facevamo agli scout, e non è mai servita a molto, perché nessuno tirava mai fuori i problemi veri in faccia agli altri, disse Francesco alterato.

Forse il problema è il come la facevate, rispose Beatrice.

Francesco guardò Tommaso aspettandosi una risposta.

E va bene, disse lui. Penso che tu abbia una paura matta del futuro, che tu non sappia cosa vuoi fare della tua vita e che questo viaggio sia il tuo ultimo appiglio a un’infanzia che non esiste più. Una sorta di regressione. Tuo nonno è morto, ti ha voluto bene e ti ha cresciuto, ma adesso non c’è più. E tu che fai? Ignori Sara, che povera santa farebbe di tutto per te. Dormi tutte le mattine, perdi tempo, e vivi nell’illusione che prima o poi arrivi qualcosa dal cielo a cambiarti per sempre la vita. Come questo tesoro. Il tesoro di tuo nonno e Maria… Pensi che esista davvero questo tesoro? Cosa pensi di trovare in cima a quel monte? Quando arriveremo lassù sarà sempre tutto uguale a prima, non basta un tesoro a cambiare le persone, sei tu che devi cambiare in primis: prenderti le tue responsabilità, crescere, iniziare a diventare adulto. Io faccio una fatica enorme a farlo, e per questo volevo fare un ultimo viaggio con te: per aiutarti e essere aiutato, per spronarci, e poi tornare a casa insieme, pronti ad abbracciare il nostro futuro e diventare adulti. Con tutte le responsabilità che questa scelta comporta. Questo volevo per noi, questo e nulla più. Del tesoro di tuo nonno non me ne frega niente.

Beatrice girò lenta la testa verso Francesco, come se accanto avesse una bomba pronta ad esplodere.

Francesco non si scompose, restò fermo, con lo sguardo puntato dritto sul fuoco, poi si alzò, senza dire neppure una parola e si incamminò verso il laghetto.

Se questo è quello che pensi davvero hai fatto bene a dirmelo, disse Francesco camminando a gran furia verso la riva del lago.

Lascialo andare, disse Tommaso, lo conosco e presto gli passerà.

Francesco si spense sulla riva del lago, finché il suo volto non si riflesse insieme agli alberi nello specchio d’acqua illuminato debolmente dalla luna. Pensò a quelle parole, e al valore dell’amicizia tra lui e Tommaso. Erano sempre stati come fratelli e lui non si era mai accorto che negli ultimi tempi Tommaso avesse bassa stima di lui. Pensò a quello che aveva detto su Sara: magari i due si erano parlati, confrontati e avevano maturato su di lui lo stesso identico pensiero.

Poi pensò al nonno, a Maria, a quei giorni alle palliative, e per la prima volta rifletté sull’origine del suo malessere in quel periodo. In fondo anche se ammetterlo lo innervosiva, Tommaso aveva ragione su quasi tutto, un po’ meno nei modi, ma se in quel periodo Francesco si sentiva spento a giorni alterni sicuramente c’era un motivo. Pensò alla sua vita, e nel farlo partì proprio dal fondo: come voleva arrivare in punto di morte? Questa forse era la domanda che più lo spaventava. Lo spaventava l’idea di soffrire, lo spaventava l’idea di morire senza sapere niente del dopo, lo spaventava tutto, ma più di ogni altra cosa lo spaventava l’idea della vecchiaia. Temeva che da vecchio non avrebbe saputo godersi neanche un briciolo della propria vita. E se a breve morissi? E se mi venisse un infarto? E se mi venisse una malattia come quella del nonno? Com’era possibile rinunciare a uscire tutti i giorni, vedere le proprie energie abbandonarci, vedere i propri amici morire e sentirsi pian piano messo a margine della società?

A nessuno importa ascoltare le idee di un vecchio, a nessuno interessa sapere cosa pensa e cosa ha visto del mondo, anche nipoti e figli man mano che crescono si disinteressano alla vita dei padri e dei nonni, ed è qui che inizia il baratro della solitudine. Che è ancor peggiore se si rimane da soli.

Da soli no, certo, e proprio per questo voleva mettere su una famiglia con Sara. Voleva ma non ne aveva il coraggio. Per metter su famiglia bisogna lavorare, non basta l’amore, ci vuole denaro e pianificazione. E lui non era sicuro della strada professionale che avrebbe preso, non sapeva dove orientarsi, non sapeva cosa voleva.

Gli sarebbe piaciuto passare la vita a scrivere, ma scrivere non è un lavoro. È un passione che si può portare avanti quando si è sicuri di un reddito fisso. Però lui non voleva fare un lavoro che non lo stimolasse, e anche di questo aveva paura: sbagliare strada ora poteva significare una vita di infelicità, una vita di fallimenti, una vita che lui non voleva indossare.

Francesco fece qualche passo avanti per toccare l’acqua, e spingendosi sopra le pietre sporche di una viscida melma tipica dei laghi, scivolò giù verso l’acqua, nel mezzo della notte.

L’acqua era fredda, e in quel punto i suoi piedi non toccavano il fondo, una volta riemerso fu colto da una sorta di attacco di panico e iniziò a respirare in modo ansiogeno. La sfuriata di Tommaso, le sue paranoie, la fatica di quei giorni di cammino e ora la caduta nel lago. Se il Montagnone lo stava sfidando, lui stava perdendo di misura. Ma nell’agitare le gambe nel lago come se stesse affogando e nel muoversi irregolare dei suoi respiri, Francesco realizzò di essere stato per troppo tempo in balia delle proprie paure. Fu un pensiero di un attimo, che come una scintilla gli diede la forza per fare poche decise bracciate verso sinistra, dove gli scogli erano più bassi e meno scivolosi. Si aggrappò con tutta la forza che aveva, e quando provò a spingersi oltre con il bacino per tirarsi su, la mano di Beatrice venne in suo soccorso sopra gli scogli.

Stai bene? Chiese lei tirandolo su forte.

Benissimo, rispose.

Lei lo tirò su in un colpo solo e Francesco si sdraiò di schiena a prendere fiato con lo sguardo rivolto verso il cielo.

Che hai fatto? Gli chiese Beatrice.

Sono scivolato giù.

Vieni, andiamo ad asciugarci.

Mentre Francesco tremava per il freddo, Beatrice ravvivò il fuoco e gli offrì la coperta che si teneva addosso, invitandolo a spogliarsi per far asciugare i suoi vestiti. Tommaso non c’era, era già andato a dormire.

Era stanco per oggi, disse Beatrice, meglio che si riposi.

Francesco le fece un sorriso finto.

Lo so che tu mi disprezzi per prima, ma non volevo farti arrabbiare. Pensavo fosse giusto parlare di quanto successo oggi, non sapevo che la morte di tuo nonno avesse lasciato il segno in modo così forte dentro di te.

A quelle parole Francesco si lasciò andare al perdono, e si avvicinò a lei.

Bea tu non devi insegnarmi come si fa l’amico, tu devi insegnarmi a lasciarmi andare, a essere meno rigido.

Non sono cose facili da insegnare.

Sì ma tu come fai ad essere sempre così coraggiosa e decisa? Non hai paure che ti bloccano?

Certo che ne ho, rispose lei.

E come fai?

Cerco di combatterle sul campo, le affronto. Chi di noi non ha paura di qualcosa? Sarebbe impossibile.

Allora aiutami tu a uscirne, troppo spesso mi sento schiavo delle mie paure.

Mettiti dei vestiti asciutti e vieni con me.

Francesco la seguì nel piccolo boschetto, camminarono per cinque minuti, fin quando la luce del fuoco e la luna sparirono sotto i rami degli alberi, e d’improvviso il buio fu totale.

Chiudi gli occhi, gli disse Beatrice, poi proseguì.

Ricordi cosa c’è qui d’intorno senza guardare?

È tutto buio anche se apro gli occhi.

Sì, ma cosa c’è secondo te? Concentrati.

Degli alberi, li sento muovere dal vento. Poi c’è l’erbetta bassa, tu, e qualche uccello notturno che si muove furtivo più in alto di noi.

Concentrati bene, lo senti quel rumore dietro di te?

Francesco si concentrò.

Lo sento, rispose.

E in effetti Francesco iniziò a sentire un rumore di cui prima non si era neanche accorto, era come un crepitio che correva lungo l’erba verso di lui.

Senti che si sta avvicinando?

Sì, è vero.

Il rumore di rami rotti era sempre più vicino a loro, e man mano che si avvicinava cresceva di intensità.

Cos’è? Chiese Francesco preoccupato.

Chi lo sa, magari un orso, magari una volpe, forse un lupo, un capriolo, chi può saperlo…

Forse sarebbe meglio tornare indietro, no?

Ecco, disse Beatrice, sai cos’è che ti fa parlare così?

La paura?

Esatto. Adesso prova a seguirmi: ti ricordi cosa c’è qui intorno a te? Concentrati su quello che senti.

Degli alberi, il vento che li muove, l’erbetta. Forse ho un albero proprio dietro di me, forse due.

Esatto, concentrati ancora su queste cose, scommetto che adesso non lo senti più quel rumore, vero?

Il vento spingeva i rami sopra di loro, ma a terra non c’era più alcun rumore che disturbasse l’arborea danza in cui erano immersi.

Com’è possibile? Chiese Francesco aprendo gli occhi.

La paura si sconfigge in un modo soltanto: con la ragione.

Se ti concentri su quello che veramente sta attorno a te, avrai piena facoltà di stesso e di ciò che è reale.

Se invece ti concentri sulle proiezioni della tua mente, sulle immagini negative che la paura ti crea, queste finiranno per crescere e farti scappare, oppure peggio: ti immobilizzeranno, ti renderanno una preda facile per il mondo.

Francesco guardò verso Beatrice, che aveva ancora gli occhi chiusi ma sorrideva.

Applica questo metodo ogni volta che hai paura, disse lei, e poi prova ad affrontarla con la ragione.

Ci sono cose dove la ragione non arriva, disse Francesco avvicinandosi a lei.

Vero. Lo fermò lei alzando un dito verso di lui e aprendo gli occhi.

Dove non arriva la ragione non c’è altro da fare che prendere una scelta: vivere o lasciarsi trasportare. Tu cosa preferisci fare?

Vivere.

E allora vivi, concluse Beatrice.

Le parole di Beatrice avevano gettato un seme dentro di lui, e quando lei entrò dentro la tenda per dormire, Francesco si sdraiò vicino al fuoco per scaldarsi un altro po’. Osservava le stelle che sembravano accendersi e spegnersi a intermittenza, e nel vederle sparire dietro la sagoma nera del Montagnone, pensò di nuovo a tutto il caos che aveva nella sua mente. Per la prima volta capì che erano solo pensieri negativi: l’unica cosa veramente importante era vivere, buttarsi, prendere in mano la propria vita. Anche se la morte prima o poi sarebbe arrivata, anche se avesse sbagliato qualcosa, doveva abbracciare la propria vita, le proprie scelte, andare avanti.

Per la prima volta Francesco si sentì leggero, e pian piano chiuse gli occhi cullato dal calduccio del fuoco. Quel giorno non aveva imparato soltanto cosa fosse la fiducia, aveva scoperto anche le tante sfaccettature dell’amicizia e quanto sia importante la ragione nell’affrontare le proprie paure.

Erano settimane che non si sentiva così rilassato, ma ad un certo punto le suo palpebre socchiuse si lasciarono penetrare da un bagliore di luce, forse un riflesso della luna. Francesco si alzò istintivamente, e notò verso il bosco un qualcosa che non aveva visto: sembrava un vetro, forse una finestra. Si alzò camminando a piccoli passi verso il bosco dall’altra parte del lago, e man mano che si avvicinava divenne sempre più visibile la sagoma di una piccola casa di legno nascosta dietro l’erba.

Oggi non ci avevo fatto caso, pensò Francesco tra sé, che sia la capanna indicata nella mappa?

 

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La rubrica Storie brevi è a cura di Simone Bacci, per leggere i suoi libri cliccate qui

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