27 Luglio 2024

Per un’eredità misteriosa due ragazzi partono per un viaggio avventuroso. Ecco un’altra puntata della nostra rubrica settimanale “Storie brevi”, una raccolta di piccole storie con vari temi e stili, ma sempre brevi e dirette al lettore. Questa settimana ecco la quarta parte del nostro racconto a puntate. Buona lettura!

 

Per leggere la puntata precedente cliccate qui.

 

A cura di Simone Bacci


 

L’arrampicata è tutta questione di fiducia. Ci vuole fiducia in sé, fiducia nei propri compagni, fiducia nella montagna, fiducia nel tempo. Ci si può prendere del tempo per pianificare e discutere del percorso, studiare le posizioni, scegliere l’attrezzatura migliore, guardare il meteo, ma una volta imbracciata la corda e salita la prima pietra si è da soli: noi contro la montagna, noi contro la natura, noi contro noi stessi. È una sfida contro se stessi che si vive nel silenzio più assoluto, e nella consapevolezza che un piede messo male, o un moschettone difettoso, potrebbero significare un osso rotto o peggio: un volo di diversi metri di spalle.

Francesco misurava con dedizione ogni singolo movimento, quasi meccanicamente, e se ne stava in fondo al gruppo, a chiudere la fila, Beatrice invece era in cima a fare da apri-strada, e anche lei procedeva cautamente, a piccoli passi decisi e misurati. Chi era un po’ più inquieto e sicuro di sé era Tommaso, che stava attaccato a Beatrice, come per provarle di essere superiore o quantomeno esperto come lei. Beatrice ben presto se ne accorse e gli propose di scambiarsi di posto, così Tommaso prese la guida del gruppo. Dopo qualche ora di scalata, seppur molto stanchi e sufficientemente affamati, i tre avevano percorso soltanto poche centinaia metri di dislivello, e il sole era alto e cocente: il rischio era quello di affaticarsi troppo.

Così arrivati presso un piccolo spiazzo, dove la cresta illuminata dal sole generava una zona di ombra, i tre si fermarono a mangiare e riposarsi.

Tommaso sembrava non sentire neanche un briciolo della fatica di Francesco: è stata l’esperienza più bella della mia vita, disse lui.

Ma Francesco invece fece una cosa che non aveva ancora fatto: una volta lasciato lo zaino da parte, guardò sotto di loro per vedere quanto erano saliti in quella scalata mattutina.

Cazzo, esclamò istintivamente, siamo altissimi.


Frena la gioia, avremo fatto sì e no 150 metri, siamo sempre molto lontani, disse Beatrice.

Ma la cosa più strana era che ancora i tre non vedevano la cima del monte. In quel tratto infatti la cresta che stavano percorrendo rientrava verso il monte e poi saliva e rientrava ancora, e poi in fondo, appena visibile in lontananza c’era una lunga parete rocciosa come quella che avevano appena fatto.

Vedi quella parete laggiù? Disse Beatrice indicando dove guardava Francesco. Lassù in cima dovrebbe esserci l’ultimo tratto di bosco dove dormiremo stanotte, poi inizia la parte più pericolosa: il Crinale delle Vipere. Quando arriveremo nel bosco saremo alti, il pezzo di ora è meno faticoso ma più pericoloso, la parete finale invece è tosta.

Considerando che in circa tre ore senza mai fermarsi avevano percorso soltanto 150 metri, farne quasi il doppio non sarebbe stata esattamente una passeggiata dopo una mattina come quella.

Quindi riposiamoci adesso che possiamo, concluse Beatrice. E tu stai attento a quello che fai, disse a Tommaso che le sorrise spavaldo.

Tommaso non era una persona umile, al contrario era eccessivamente sicuro di sé, ma aveva anche un animo sensibile e molto spirito di squadra, quello che lo fregava era la sua saltuaria abitudine ad ergersi a leader del gruppo.

Dopo il piccolo spuntino Francesco si addormentò all’ombra del sasso, e quando si svegliò vide Beatrice e Tommaso che sfogliavano la lettera lasciata loro da Padre Felice.

Che fate? Disse lui alzandosi.

Secondo te cos’è questa croce rossa segnata lungo la strada per la vetta? Disse Tommaso porgendogli la mappa. Non è nemmeno menzionata nella lettera, non è indicato niente di preciso nelle mappe, allora cosa può essere?

Lo scopriremo, rispose, pensiamo a una cosa per volta, abbiamo ancora un po’ di strada da fare.

I tre ripartirono lasciandosi alle spalle l’ombra e legando e slegando il moschettone a ogni passo, percorsero un lungo pezzo di strada in poco tempo. Aveva ragione Beatrice: quel tratto era più semplice, e in parte anche quasi in piano, però le rocce erano molto scivolose, e staccare lo sguardo dai propri piedi era assai più difficile che durante la parete rocciosa. Francesco spesso si aiutava con le mani, e ogni tanto Beatrice si fermava ad aspettarlo, avevano i tempi diversi, ma procedevano insieme con spirito di squadra. Diversamente da loro Tommaso andava dritto a gran velocità, guardando troppo spesso più avanti che ai suoi piedi e fermandosi ogni tanto ad aspettarli quando la distanza tra loro diventava troppa.

Dopo qualche altra ora tra le rocce, giunti ormai vicini alla parete rocciosa che li separava dalla cima, il sole era così forte da costringerli a ripetute pause per idratarsi. Tommaso tuttavia non beveva mai, preferiva risparmiare l’acqua per quello che sarebbe venuto dopo. Tutto sembrava tranquillo e sicuro, ma si sbagliavano: la montagna ha bisogno anche di un certo grado di diffidenza socratica. Sapere di non sapere, rendersi conto di non poter prevedere tutto, e restare consci dei propri limiti. E quando i tre si trovarono ad affrontare un piccolo corridoio di rocce friabili, l’eccessiva sicurezza dei movimenti di Tommaso mise a rischio la loro avventura.

 

Fu un attimo, un passo troppo affrettato, e quando il terreno su cui poggiò sicuro il piede non resse a quella pressione e franò giù, Tommaso si rese conto che un moschettone agganciato da solo non basta a parare una caduta improvvisa, specie quando invece di fissare il secondo moschettone alla corda di ferro, lo tieni in mano e ti volti indietro a guardare compiaciuto i tuoi compagni.

E in effetti Francesco e Beatrice lo videro scivolare e andare giù a lato tutto insieme, con un moschettone stretto ancora in mano e l’altro spezzato dal peso del suo corpo. Cadde giù per diversi metri sollevando molta polvere, poi all’improvviso si fermò su una piccola piazzola a circa otto-nove metri da loro, e il suo zaino ancora più sotto, a circa quindi metri. Il volo che aveva fatto poteva essergli stato mortale.

Francesco istintivamente cercò di sganciare i propri moschettoni e gettarsi giù in contro a Tommaso, al suo amico del cuore, e d’improvviso nei suoi occhi vide passare i loro migliori anni insieme: i banchi di scuola, le gite, i pomeriggi a girare in bici per il quartiere, i loro primi amori, le giornate al mare a giocare a calcetto, le loro chiacchierate esistenziali, gli aperitivi, i weekend a Milano. Francesco pensò a tutto in un solo respiro, ma Beatrice con lucidità lo fermò prima che potesse commettere un’altra stupidaggine.

Fermati idiota, le disse lei, così farai peggio di lui.

Francesco si fermò, guardò verso Beatrice e poi riprese in direzione di Tommaso, che era fermo a terra immobile.

Ho detto fermati, continuò Beatrice strattonandolo, ora lo andiamo a prendere con la corda.

Francesco si calmò e in quel momento più di ogni altro ebbe chiaro quanto fossero stati incoscienti ad aver improvvisato quell’avventura.

 

Pensò a cosa avrebbe raccontato ai loro genitori, alla sua ragazza, a chiunque gli avesse chiesto qualcosa del perché si trovavano sul Montagnone a fare una cordata. Poi Beatrice prese una corda dallo zaino ci fece passare nel mezzo il moschettone della sua imbracatura e la legò alla corda di ferro, si portò strusciando a terra nel punto sopra Tommaso e girata di spalle iniziò a scendere.

Aspetta, cosa fai? Gli chiese Francesco agitato.

Vado a riprendere il tuo amico.

In quel momento la gamba di Tommaso si mosse, e nel riprendere lentamente coscienza iniziò a urlare parole sconnesse.

Stai bene? Gli chiese Francesco da sopra.

Non ti muovere, gli disse Beatrice.

Mi fa male qui, disse Tommaso toccandosi con le mani la spalla destra.

Fermo lì, ripeté Beatrice iniziandosi a calare giù verso Tommaso.

Quando scese verso di lui si accertò che potesse muovere mani, piedi e che non avesse alcun tipo di dolore alla schiena, ma il pezzo di roccia su cui era caduto era piccolo e instabile.

Cadremo giù insieme se resti qui, le disse Tommaso.

Tu non ti preoccupare abbi fiducia in me, le disse Beatrice con una bella dose di sangue freddo. Lasciò Tommaso sdraiato e poi si calò ancora più giù verso lo zaino, ma a quasi un metro la corda finì.

Mi dispiace, devo lasciarlo lì, è troppo pericoloso.

Tommaso ovviamente non batté ciglio, sapeva di aver messo a rischio tutto il gruppo e non aveva niente di prezioso a cui fosse particolarmente legato nello zaino, così lo lasciò lì: a pochi metri tra lui e il vuoto, mentre Beatrice fissò la corda alla sua imbracatura e lo avvicinò a sé.

Stringimi mentre andiamo su, gli disse.

Tommaso si fidò e si avvinghiò attorno a lei per essere riportato su mentre Francesco tirava la corda verso di sé per aiutare Beatrice a salire in sicurezza. Quando i due tornarono da lui, Francesco si sentì sollevato come mai in vita sua.

Scusate ragazzi, ho fatto il coglione e ne ho pagato il prezzo, disse Tommaso con il fiato corto per lo spavento.

Hai la spalla fuori gioco, disse Beatrice, mi sembra lussata.

Non lo so, non mi fa più così male e penso di poter continuare l’arrampicata, rispose lui.

Lo sai che se la spalla ti esce mentre scali potresti avere non pochi problemi e metteresti a rischio tutti noi?

Sì, ma adesso ho imparato la lezione, se vi fidate ancora di me starò al vostro passo.

No, siamo noi che stavolta staremo al tuo di passo visto che sei infortunato, rispose lei.

Noi ci fidiamo di te, ma tu devi fidarti di noi, disse Francesco.

Poi ripresero a camminare verso l’ultima parete rocciosa prima del boschetto, che si intravedeva poco sopra. Il resto del tempo lo passarono in silenzio e con passo più lento, ma durante il percorso Francesco rifletté su quanto era successo.

Quel pomeriggio Francesco imparò il valore della fiducia, e quanto sia faticoso camminare al passo del più debole.

Camminarono ancora molto mentre passo dopo passo il cielo diveniva sempre più blu, e quando furono a più di metà della parete rocciosa, voltandosi dietro videro una lunga distesa verde che spariva all’orizzonte. In quel momento a Francesco tremarono le gambe, e forse per la prima volta in vita sua si sentì sincero nel ringraziare chiunque gli avesse donato la vita.

 

Per leggere la quinta puntata cliccate qui.

La rubrica Storie brevi è a cura di Simone Bacci, per leggere i suoi libri cliccate qui

 

Show Full Content
Previous L’Empio Punito di Melani inaugura la Stagione Lirica del Teatro Verdi di Pisa
Next Le Aquile Randagie, il film sulla Resistenza degli Scout proiettato a Livorno

Comments

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Close

NEXT STORY

Close

Carmina Burana di Carl Orff in scena sabato 5 marzo al Teatro Goldoni

2 Marzo 2022
Close