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HUMAN: recensione dello spettacolo di Marco Baliani e Lella Costa

Per la stagione di prosa a doppia turnazione, lunedì 28 e martedì 29 Novembre è andato in scena al Teatro Goldoni di Livorno lo spettacolo diretto e interpretato da Marco Baliani e Lella Costa: HUMAN. Una pièce teatrale che affronta l’attualissimo tema dell’immigrazione in maniera inedita, senza retorica e senza scadere nel patetico. I due attori protagonisti, che aperto il sipario narrano la tragica storia d’amore di Ero e Leandro, sono accompagnati dai giovani e talentuosi Noemi Medas, David Marzi, Elisa Pistis e Luigi Pusceddo, nella messa in scena dei vari quadri indipendenti. Human infatti non ha una trama predefinita ma multiforme, composta cioè da tanti brevi sketch o monologhi che analizzano l’argomento “profughi” sotto tutti i punti di vista.

Marco e Lella hanno saputo calibrare benissimo le varie sequenze, riuscendo perfino a strappare qualche risata, durante la parte in cui Lella si immedesima in una signora veneta, che espone la sua opinione riguardo l’alto tasso di immigrazione odierno. La parola umanità, concetto che deriva dal titolo, benchè non sempre pronunciata, è costantemente presente sul palco, come un flebile sussurro che accompagna lo spettatore e lo fa riflettere, sia sulle ipocrisie di cui lui stesso si sente partecipe sia davanti alla cruda realtà dei fatti esposti. Proprio per questo motivo sulla locandina la parola Human appare barrata perchè significhi “umano” e anche la sua negazione: disumano, come il trattamento che riservano gli scafisti ai loro passeggeri o gli Americani agli Italiani che giungevano ad Ellis Island. Come dice Baliani stesso: “Umano è il corpo nella sua integrità fisica e psichica, nella sua individualità. Quando questa integrità viene soppressa o annullata con la violenza si precipita nel disumano”.

I rossi e i bruni sono stati i colori dominanti dei costumi di scena di tutti gli attori ma anche delle parti della scarna scenografia, consistente in cubi di vestiti che venivano impilati a seconda delle necessità, un richiamo al rosso sangue delle vittime del mare. Sono rimasta molto colpita dal macabro fondale, che inizialmente non era stato volutamente illuminato, per consentire allo spettatore solo in un secondo momento, di comprendere che si trattasse di centinaia di vestiti cuciti su di esso. I vestiti accatastati suscitano sempre un certo disagio perchè richiamano inevitabilmente alla mente le immagini dei campi di sterminio nazisti, in cui venivano impilati gli abiti ormai inutili degli ebrei appena uccisi.

Ho apprezzato la scelta di iniziare e concludere l’opera con il mito di Ero e Leandro che ha conferito un tocco di poesia alla grande gravità del tema e la citazione pronunciata dalla bravissima Lella Costa sull’arte “che serve a rendere meno terribile la vita”. Baliani e Costa sono riusciti con sapiente lucidità a trasporre sulla scena la realtà in cui viviamo, lasciando lo spettatore con molti quesiti irrisolti sul rapporto che ha con l’Altro, il diverso, lo straniero, ricordandoci però che siamo tutti uguali, essendo tutti HUMAN. Pertanto consiglio vivamente a tutti la visione di questa pièce  teatrale.

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