10 Ottobre 2024

Recensione di A Proposito di Davis (Inside Llewyn Davis) 

bo 1davis 1Potrà suonare strano, ma nella storia del cinema assistere a registi che vogliono raccontare le “avventure” di musicisti famosi, fare loro omaggi o omaggiare la musica stessa non è poi così improbabile; dell’amore verso quest’ultima forma d’arte ci aveva già deliziato Martin Scorsese con i suoi documentari tempo addietro, l’ultimo dei quali dedicato all’immortale George Harrison. I fratelli Coen non sono da meno, lasciati dunque gli aridi deserti e le praterie americane viste ne Il Grinta, i due hanno deciso di mettere le mani su una storia che parla principalmente della musica folk, prendendo come base la biografia del cantante Dave Van Rock, amico di Bob Dylan e con lui esponente del genere. Il cast, ancora una volta comprende nomi noti ed altri poco più che sconosciuti, tra cui quello del protagonista Oscar Isaac nei panni di Lewyn Davis a cui è stato affidato per la prima volta il ruolo del protagonista. I Coen avranno saputo firmare un altro lavoro degno del loro nome? Per scoprirlo continuate a leggere l’articolo!


New York 1961. Lewyn Davis è un cantante folk del Greenwich Village, ma non ha molto successo e per questo si vede costretto a passare il suo tempo tra uno studio e l’altro sperando di poter essere preso da case discografiche indipendenti pur di sbarcare il lunario. A complicare il tutto c’è anche Jean Berkey (Carey Mulligan) rimasta incinta dopo essere andata a letto con lui. Davis capisce di aver sempre più responsabilità sulle spalle e che non può passare il resto della sua vita a chiedere ospitalità per una notte o due ai suoi colleghi che per pietà lo assecondano, ma sopratutto comprende di dover trovare al più presto una soluzione ed un lavoro, poiché la musica sembra non ripagarlo come avrebbe mai immaginato.

Joel ed Ethan Coen regalano al pubblico uno dei loro personaggi meglio riusciti (ed usciti dalla loro mente) degli ultimi anni, un perdente scapestrato che cerca in continuazione di afferrare una delle tante opportunità che la vita gli offre ma che puntualmente viene rispedito al davis 3punto di partenza, nella desolata e malinconica solitudine e povertà in cui sguazzano i tanti cantanti folk (e non) che fanno soldi suonando in angusti e sporchi locali. Ecco dunque un altro anti-eroe, un uomo che vive le proprio giornate senza pensare al futuro né a costruirsi un qualcosa di concreto con una famiglia e degli affetti. Ecco lo schiaffo morale ed il messaggio malinconico che i due registi danno agli artisti e hai sognatori di oggi, ammonendo tutti noi che persino anche quando un grande talento si nasconde dietro ad una chitarra quest’ultimo non diverrà mai famoso se dietro non vengono visti i soldi ed i profitti. L’arte oltre ad essere tale in questo mondo, ieri proprio come ed ancor più oggi, viene coltivata non in base alla creatività ma solo se considerata terreno fertile su cui fare copiosi investimenti. Una storia ricca di malinconia, quella di Davis che viene narrata con passione, nostalgia, grande attenzione per i dettagli da due dei talenti migliori del nostro tempo i quali, vedere per credere, son arrivati ad un livello di raffinatezza tecnica inimmaginabile e che ancora dopo più di trent’anni riescono a sorprendere anche per le loro storie ed il modo in cui le raccontano.

Le disavventure di Oscar Isaac, bravo ed intenso nel suo primo importante ruolo, sono accompagnate sempre da un desiderio di fuga che ogni volta viene stroncato, da dei sogni che si infrangono su gli eventi della vita che scorrono davanti ai suoi occhi a cui non può opporsi. Se di fatto questi due cineasti col tempo ci hanno insegnato qualcosa dal loro cinema è che con le disgrazie talvolta non è più di tanto preferibile combatterle inutilmente quanto conviverci ed anche in tal caso, in un modo o nell’altro, la loro visione nei riguardi della vita e dell’uomo non si discosta dagli altri lungometraggi visti in precedenza.davis 5

Inside Llewin Davis rappresenta, dunque, un opera molto più intima del precedente Il Grinta, un lavoro che ricorda molto più il semi sconosciuto A Serious Man e le storie amare a cui ci hanno ormai abituato i Coen, ma al contrario di altre loro pellicole apparentemente più leggere qui il ritmo è contenuto ed i tempi scanditi con più parsimonia, come se i due fratelli avessero consapevolezza della storia che  hanno creato e che possedevano tra le loro mani e avessero deciso di raccontarla come una lenta ballata folk, proprio come una di quelle che suona Davis all’inizio ed alla fine del film.

Dunque se vi state ancora chiedendo cosa pensiamo di questo lungometraggio, vi basti sapere che A Proposito di Davis per noi non è assolutamente il miglior film dei fratelli Coen, sebbene rimanga ad ogni modo un ottimo lavoro ben interpretato e diretto in modo magistrale; tuttavia ormai è bene mettere in chiaro una cosa, ovvero che il loro cinema si avvia ad essere una forma d’espressione tanto interessante quanto intima che è estremamente difficile catalogarlo o classificarlo a priori. I due filmaker hanno ormai fatto propria la settima arte e dopo tanti anni di eccellente lavoro non solo si sentono in dovere di raccontare storie che godono di una profonda intimità, ma anche di omaggiare altri classici del cinema come Colazione da Tiffany; ma Ethan e Joel hanno sempre dato un doppio significato, una doppia lettura a tutto ciò che hanno diretto e scritto e così avviene anche stavolta poiché il palese omaggio al gatto di Tiffany risulta avere anche un valore simbolico poiché il felino dal manto rosso qui alla fine raffigura l’opposto del protagonista e questo lo capiamo a cominciare dal nome affidatogli dai padroni: davis 4Ulisse, l’eroe greco che dopo tante avventure riesce a tornare a casa, mentre Davis continua ad oscillare in balia del destino, perso tra una delusione ed una speranza. Prima che Bob Dylan raggiungesse la fama con la sua musica, in un inverno freddo realizzato in modo egregio grazie a scenografie e fotografia in quel di New York c’era un cantante che arrancava per vivere e credeva nel sogno di poter diventare qualcuno un giorno o l’altro andando contro qualunque previsione e consiglio, il suo nome era Davis ed oggi i Coen ci raccontano la sua storia con un film struggente e malinconico ma sicuramente imperdibile!

Claudio Fedele


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Claudio Fedele

Nato il 6 Febbraio 1993, residente a Livorno. Appassionato di Libri, Videogiochi, Arte e Film. Sostenitore del progetto Uninfonews e gran seguace della corrente dedita al Bunburysmo. Amante della buona musica e finto conoscitore di dipinti Pre-Raffaelliti.
Grande fan di: Stephen King, J.R.R. Tolkien, Wu Ming, J.K. Rowling, Charles Dickens e Peter Jackson.

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