26 Aprile 2024

La stagione concertistica offertaci dal Teatro Goldoni si chiude simbolicamente con un ritorno. Un ritorno all’essenza, alla purezza, alla spontaneità e alla poeticità, pur con tutte le sue sofferenze e contraddizioni, del periodo con il quale si apre la vita di una persona: quello dell’infanzia e dell’adolescenza. Infanzia e adolescenza capaci di suscitare tenerezza e passione, nonchè nostalgia e malinconia, anche attraverso la musica. Ed Andrea Lucchesini, affermato pianista toscano di spiccate e pregevoli doti musicali, che suona in tutto il mondo con le orchestre più prestigiose e vincitore nel 1994 del Premio Internazionale Accademia Chigiana, si fa interprete di questo tema affascinante, passando attraverso quelle composizioni di Robert Schumann, Claude Debussy e Sergej Rachmaninov che hanno indagato ed esplorato il mondo e lo spirito dell’essere bambini, magico e semplice allo stesso tempo. Una ricerca che non si ferma solo nelle correnti musicali classiche, dal romanticismo di Schumann al simbolismo di Debussy, ma che si inoltra anche in periodi più recenti: dagli anni settanta e ottanta del secolo scorso, infatti, ricava quelle composizioni piano jazzistiche di Chic Corea che si accostano al mondo dei bambini.

Un binomio, quello tra musica e infanzia, che nel ha visto secolo scorso una grande produzione di repertorio destinato ai bambini, grazie alla consapevolezza del valore didattico e pedagogico che l’esperienza musicale stava acquisendo, resa ancora più viva dal crescente insediamento di pianoforti nelle case borghesi. Ma è, come accennato prima, col romanticismo di Schumann che si inizia a gettare uno sguardo adulto sull’esperienza quotidiana di un bimbo. Ed è infatti con 13 brani dei Kinderszenen del compositore tedesco, composti tra il 1830 e il 1840, che Lucchesini apre il concerto, con una musica non fatta per intrattenere i bambini, bensì una musica sui bambini, sulla fanciullezza come dimensione poetica dello spirito, capace di evocare piccoli quadri carichi di sensibilità e idealizzazione di un mondo incontaminato. Atmosfere fanciullesche ricche di spensieratezza e nostalgia che il pianista toscano ha saputo restituire con un suono e con una predisposizione a suonare dense di enfasi e pathos: un pieno coinvolgimento fisico ed emotivo che egli sapeva avere con il pianoforte, e che un pubblico sensibile può avere con colui che suona. Un Lucchesini visibilmente affascinato e attratto dalla poesia di questa serie di brevi illustrazioni, sospese tra il fiabesco e il giocoso, tra il malinconico e il sognante. Un’adesione spontanea e sincera al mondo dei bambini. L’infanzia di Schumann è un territorio dell’anima, un rifugio nella memoria di un passato domestico felice, nel quale un poeta o un compositore non possono fare a meno di intervenire direttamente, facendone sentire infine la propria voce con un proprio pensiero: è il pensiero che il poeta esprime con “Parla il poeta”, l’ultima composizione, o meglio l’ultima parola, schumanniana offertaci da Lucchesini.


Una riflessione che continua con le sei Children’s songs di Chic Corea. E qui lo scenario muta completamente, perchè la scrittura jazzistica dell’autore rivendica e realizza un’estrema libertà espressiva. Ritmi e accenti inusuali, ripetizioni e ritornelli sono i modi che il giovane musicista può utilizzare per familiarizzare con un scrittura pianistica e musicale nuova, inconsueta e accattivante.

Successivamente, tornando indietro al primo novecento, Lucchesini volge il suo sguardo a Claude Debussy, eseguendo il capolavoro Children’s Corner, che quest’ultimo dedicò nel 1908 alla sua piccola Emma. Sei piccoli composizioni in cui la circostanza gioiosa della paternità e la tenerezza per una bambina di tre anni producono un perfetto equilibrio espressivo tra illustrazione del mondo infantile e ammiccamento adulto alle mode dell’epoca. Qui dall’immaginazione e dalla idealizzazione della fanciullezza di Schumann si passa a una personificazione del mondo infantile: è attraverso una bimba vera che vengono creati dei quadri preziosi, in un’atmosfera lieve e una scrittura tersa che si accende di improvvisi bagliori sonori e sfumature ritmiche come un quadro impressionista. Oggetti, giocattoli e situazioni apparentemente insignificanti, come l’elefante di pezza di “Jimbo’s Lullaby”, la bambola del “Serenade for the Doll”, la neve che fiocca, acquistano grande importanza, non solo divenendo i soggetti delle singole composizioni, ma in quanto assumono un valore importante e significativo per l’esistenza della bambina.

Ma non c’è solo l’infanzia nell’immaginario che Andrea Lucchesini vuole raccontare con la sua musicaandrea-lucchesini-foto-1-300x200: con i Dieci Preludi di Sergej Rachmaninov, ci vuole ricondurre verso il mondo dell’adolescenza, con tutti i suoi tumulti, passioni e sommovimenti interiori che essa porta con sè. Una musica in grado di parlare direttamente all’interiorità, che il compositore russo riesce a sondare con naturalezza, afferrando tutte le contraddizioni che il periodo dell’adolescenza crea, come l’aggressività impetuosa e la malinconia più struggente, la tenerezza più profonda e l’ira più incontrollabile. E lo fa rinunciando a ogni forma di moderazione, trovando così terreno fertile per un’espressione autentica di stati interiori nei quali ciascuno può ritrovare le proprie inquietudini emotive. Un vortice di passioni che viene musicalmente reso con grande naturalezza da Rachmaninov, con cascate di arpeggi e accordi e forti tensioni sonore pur con grande sapienza artigianale. Che il Maestro russo sia stato un grande artigiano di sè stesso lo dimostra anche il suo rifiuto di tutte le avanguardie, continuando a seguire la propria ispirazione e il suo genio. “Una voce – dice Lucchesini-  autentica e sincera, che riesce a risvegliare in noi la memoria dell’irragionevole, terribile e meravigliosa stagione che tutti abbiamo vissuto”.

Andrea Lucchesini si è così dimostrato non solo un raffinato interprete e un grande pianista, ma anche un uomo dotato di un’acuta sensibilità, musicale e umana. Un concerto che ha saputo suscitare nel pubblico, non molto numeroso (ma d’altronde è sempre più difficile conciliare bravura e fama), una forte partecipazione emotiva, come dimostrano lo scroscio di applausi e apprezzamenti che, meritatamente, si è guadagnato.

 

 

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