26 Luglio 2024

Dopo aver parlato della qualità delle acque sotterranee, tratteremo in questo articolo dell’inquinamento delle acque marino-costiere della Toscana. Come non iniziare, dunque, parlando della Solvay e degli effetti dei suoi scarichi sulle acque prospicienti le famosissime Spiagge Bianche?

 

Storie di soda e metalli pesanti

Fino a non molti anni fa, ogni volta che si discuteva delle ricadute sul territorio dello stabilimento Solvay di Rosignano, l’attenzione si concentrava maggiormente sulle questioni di carattere economico, ignorando quasi sempre le conseguenze che i processi chimici avevano sull’ambiente. Solo negli ultimi decenni è stata acquisita una certa consapevolezza sugli effetti degli sversamenti in mare e dunque l’azienda si è vista travolgere da forti critiche, pressioni e guai giudiziari. 


Lo stabilimento Solvay di Rosignano (LI)

La Solvay si insediò sul territorio toscano nel 1912, con la nascita dell’impianto di Rosignano. Nel corso del suo processo di espansione mondiale, la multinazionale considerò la costa livornese uno dei territori più interessanti per stabilirsi, data l’abbondante disponibilità di materie prime sul territorio (sale, rocce carbonatiche e acqua per la refrigerazione). Nel 1918 venne messo in funzione il primo processo chimico, ovvero quello della Sodiera, da cui si ottiene il mix di produzione desiderato di carbonato di sodio e bicarbonato di sodio. L’altro importante prodotto della Solvay, la soda caustica, iniziò la sua produzione nel 1923 mediante il processo di caustificazione del carbonato di sodio proveniente dalla Sodiera. Questo processo è stato sostituito negli anni Sessanta dall’elettrolisi al mercurio. È proprio il mercurio ad essere una delle principali fonti di inquinamento delle acque prospicienti lo stabilimento, essendo un metallo altamente tossico per l’uomo e per l’ambiente. 

Un recente studio, pubblicato nel 2020, ha prelevato e studiato carote di sedimenti provenienti dai fondali antistanti gli scarichi industriali e ha potuto individuare, attraverso analisi isotopiche del mercurio, tre periodi di produzione con caratteristiche differenti: uno preindustriale prima del 1941, uno industriale dal 1941 al 2007 e uno postindustriale dal 2007 in poi. Le maggiori concentrazioni di mercurio sono state ovviamente riscontrate nei sedimenti appartenenti al periodo industriale, in cui veniva utilizzato il processo di elettrolisi al mercurio.

Grazie a un finanziamento dell’Unione Europea, proprio nel 2007, la multinazionale belga ha potuto abbandonare questo procedimento sostituendolo con un impianto a membrana. In questo modo è stata interrotta l’immissione di 0,0565 kg di mercurio all’anno nell’atmosfera e di circa 0,1 tonnellate all’anno nelle acque. Questi sono numeri estremamente elevati. Ancora oggi le analisi effettuate sulla fauna marina evidenziano un’alta concentrazione di mercurio nell’ambiente, dato l’intimo rapporto tra le specie marine e i sedimenti contaminati.

In una pubblicazione dell’Arpat (agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana) del 2014, sono stati presentati i dati delle concentrazioni di mercurio nei sedimenti marini superficiali, raccolti davanti alle coste livornesi. Nelle aree molto lontane dagli scarichi il mercurio si attestava attorno agli 0.3-0.8 mg/kg mentre di fronte a Rosignano sono stati misurati valori compresi tra 2 e 4 mg/kg, ovvero dieci volte tanto le misure precedentemente citate. 

Analisi dell’Arpat sulle sabbie delle Spiagge Bianche

Comunque, il mercurio non è il solo metallo pesante ad essere stato rilasciato dagli scarichi dello stabilimento. Analisi dell’Arpat hanno riscontrato nelle acque costiere metalli quali arsenico, cadmio, rame, piombo, cromo e zinco. In particolare, l’arsenico deriva dal ciclo produttivo della Sodiera, che utilizza antracite, coke e calcare. Il quantitativo totale di metalli pesanti in ingresso in questo processo deriva per il 73% dalla materia prima, ovvero dal calcare, il 21% dal combustibile utilizzato per cuocere il calcare (coke o antracite) e il 6% dalla salamoia, un prodotto del processo Solvay per la sintesi della soda. L’arsenico è inoltre presente naturalmente nelle acque prelevate dai campi pozzo dell’Alta Val di Cecina e abbondantemente utilizzate dalla multinazionale belga. 

In generale le autorità nazionali e locali hanno sempre approvato l’operato di Solvay, che non viola nessuna legge, anche se in passato ha avuto diversi problemi legati alle questioni ambientali. Nel 2003 l’azienda ha firmato con il governo un accordo (mai rispettato) che prevedeva una riduzione dei solidi sospesi negli scarichi a mare da 200 mila tonnellate l’anno a 60 mila. Addirittura nel 2015 l’azienda ha rinegoziato la quantità di residui chimici che le è consentito scaricare in mare raggiungendo le 250 mila tonnellate l’anno. Per non aver rispettato le quantità di sostanze immesse nell’ambiente, Solvay nel 2013 è stata indagata dalla Procura di Livorno e il processo si è concluso nel dicembre del 2019 con un patteggiamento. Negli ultimi anni, l’azienda, sta cercando di venire incontro alle richieste della classe dirigente locale poiché, attraverso progetti di miglioramento del proprio impianto dal punto di vista ambientale, può beneficiare di cospicui finanziamenti.


 

No alle feci, sì al mercurio! 

Spiagge Bianche (LI)

Viste le grandi quantità di metalli pesanti presenti nelle acque antistanti l’impianto di Rosignano, una domanda sorge spontanea: come mai è possibile la balneazione alle Spiagge Bianche? La norma più completa nella politica delle acque è la Direttiva Quadro Acque (2000/60/CE). Questa legge riguarda le acque superficiali, quelle sotterranee, i fiumi, i laghi e le acque costiere. Per tutti i corpi idrici deve essere perseguito l’obiettivo minimo del buono stato ambientale, analizzando sia lo stato ecologico che quello chimico. Devono essere quindi garantiti non solo bassi livelli di inquinamento chimico, ma anche la salute degli ecosistemi acquatici. In altre parole, se si vogliono monitorare le acque per un’analisi dello stato ambientale, si devono seguire le procedure suggerite da questa legge.

Diverso è il  discorso quando si vuole analizzare un’acqua per la balneazione. In questo caso non si segue più la normativa 2000/60/CE, bensì la Direttiva Balneazione 2006/7/CE. Come la Direttiva Quadro Acque anche questa legge prevede che tutte le acque di balneazione rientrino in una determinata classe di qualità: eccellente, buona, sufficiente o scarsa. Al contrario però, le analisi non si basano più sulla conoscenza dello stato ecologico e dello stato chimico, ma solo ed esclusivamente sulla misura di due indicatori di contaminazione fecale: gli Enterococchi intestinali e l’Escherichia coli. Questa direttiva, infatti, è finalizzata principalmente a proteggere la salute umana dai potenziali rischi derivanti dagli scarichi delle fognature e delle acque reflue.

Scarico a mare della Solvay (Fosso Bianco)

Le classi di qualità delle due direttive hanno quindi significati diversi. Un’acqua di balneazione classificata come “eccellente” potrebbe presentare criticità ambientali di tipo chimico o ecologico e quindi non trovare la stessa corrispondenza con la classificazione della Direttiva Quadro Acque. In ogni caso, la Direttiva Balneazione, vieta a priori la balneazione nelle aree portuali, nelle aree marine protette e nelle aree direttamente interessate dagli scarichi. 

Fa dunque sorridere che la Solvay, per difendersi dalle varie accuse, ha scritto sul suo sito che, per la balneazione, le acque, regolarmente testate dalle autorità, sono di buona qualità, sicure e in linea con il resto del litorale toscano. In realtà ciò è vero solo se si considerano i due indicatori di contaminazione fecale.  Per quanto riguarda tutto il resto, le cose non vanno affatto bene. Basti pensare che l’ONU ha incluso Rosignano Solvay tra i 15 luoghi costieri più inquinati d’Italia. Secondo le stime infatti, nel tratto di mare antistante le Spiagge Bianche sarebbe concentrato il 42,8% dell’arsenico totale riversato nel mare italiano e il mercurio, scaricato dal fosso di scarico, inquinerebbe le acque di fronte alla fabbrica fino a 14 chilometri dalla costa. 

 

L’eutrofizzazione nella Laguna di Orbetello 

Un altro importante fenomeno che affligge alcune aree del nostro territorio è quello dell’eutrofizzazione, ovvero l’arricchimento trofico di aree con scarso ricambio d’acqua. Per parlarne prenderemo come spunto il caso della Laguna di Orbetello, situata sulla costa meridionale della Toscana e avente una superficie di 2700 ettari. Questa zona ha da sempre uno spiccato valore naturalistico ed economico ed è costituita da due bacini. Quello di Ponente o della Giannella comunica con il mare attraverso il canale artificiale di Nassa e la foce del fiume Albegna, attraverso il canale di Fibbia. Quello di Levante o della Feniglia comunica col mare attraverso il canale Ansedonia. Nonostante esistano collegamenti con il Tirreno, questo è un ambiente chiuso, con profondità che non superano i 2 metri e con una scarsa circolazione di acqua. 

Laguna di Orbetello (GR)

Una laguna è un bacino costiero, separato dal mare da cordoni litoranei. Nel caso della Laguna di Orbetello, tutti sembrano concordare che si sia originata in un lungo periodo di tempo (da 4 a 6 mila anni) grazie alla formazione dei tre tomboli,  quello della Feniglia e quello della Giannella, che staccatisi dalla terraferma raggiunsero il Monte Argentario circa 2 mila anni fa, e quello centrale, il più vecchio, sul quale sorge la città di Orbetello. 

In passato questo luogo era caratterizzato da una marcata biodiversità, con una grande quantità di alghe, pesci e molti altri organismi. Per quanto riguarda l’ambiente acquatico oggi non è più così. Verso la fine del secolo scorso, infatti, la laguna subì un gravissimo episodio di eutrofizzazione. Tra gli anni Settanta e gli anni Novanta nell’area di Orbetello crebbero a dismisura le attività  agricole, turistiche e di acquacoltura. Gli scarichi delle città di Orbetello e di Albinia, delle aziende agricole e industriali, dei camping e delle infrastrutture turistiche e tutti quelli abusivi, finivano direttamente nelle acque lagunari.

Ciò ha provocato un rapido aumento della concentrazione di elementi chimici, quali azoto e fosforo, di nutrienti e di organismi, come gli Enterococchi intestinali e l’Escherichia coli. Uno studio del 1997 misurò uno sversamento nelle acque lagunari da parte degli scarichi urbani di una quantità di azoto pari a 119 tonnellate/anno e di 24 tonnellate/anno di fosforo. Gli impianti di acquacoltura invece avevano contribuito con 37 tonnellate/anno di azoto e 1.2 tonnellate/anno di fosforo.

Moria di pesci nella Laguna di Orbetello nel 2015

Nel 1992 e nel 1993 importanti fioriture algali, alimentate dalle attività umane, coprirono interamente la laguna e all’interno di essa si instaurano condizioni proibitive per gran parte delle specie presenti. Sulla superficie dell’acqua esisteva una zona con un forte rilascio di ossigeno, dovuto alla respirazione delle alghe. Queste ultime, oltre a sottrarre nutrienti alle altre specie, impedivano alla luce di filtrare e di penetrare in profondità. Sul fondo, quindi, divenne praticamente buio e morirono gran parte delle alghe presenti. In seguito, i processi chimici di decomposizione delle alghe killer, sottrassero tutto l’ossigeno presente e instaurarono condizioni anossiche. Questo processo alimentò una ulteriore moria di pesci e altri organismi a causa del loro soffocamento. 

Quando le autorità competenti si accorsero del problema cercarono di correre subito ai ripari. Vennero effettuati grossi lavori di ripristino della laguna, tra cui la rimozione delle alghe killer superficiali, il dragaggio del fondo e la chiusura di tutti gli scarichi, che vennero deviati in mare, dove la circolazione dell’acqua è nettamente migliore rispetto alla zona lagunare. Studi recenti hanno mostrato un lento miglioramento della qualità delle acque sia dal punto di vista chimico che da quello degli ecosistemi acquatici.

Purtroppo, sono tutt’oggi presenti molti organismi detritivori, che indicano la presenza di una catena trofica semplice, e specie opportuniste, che evidenziano condizioni piuttosto estreme. Difatti, nei sedimenti sono ancora intrappolati molti nutrienti, che risalgono in superficie alla fine di ogni inverno. Inoltre nel 2015 si è ripetuto un altro grave episodio di anossia dovuto al troppo caldo. L’acqua della laguna raggiunse la temperatura di 35°C e anche stavolta avvenne una consistente moria di pesci. Questi episodi diventeranno sempre più frequenti a causa dei cambiamenti climatici, perciò bisogna agire al più presto per salvaguardare questi meravigliosi territori.

Un’area con caratteristiche simili alla Laguna di Orbetello e affetta dalle stesse problematiche è il Lago di Massaciuccoli, di cui parleremo più estesamente nel prossimo articolo

Scorcio della Laguna di Orbetello

Per un pugno di… cozze 

Prima di terminare il nostro viaggio tra le coste toscane, facciamo un’ultima tappa a Livorno per dare conto di una recente notizia riguardante la Darsena Europa. Questo importante progetto mira a recuperare nuovi spazi a mare per lo sviluppo dei traffici su portacontainers e consentirà allo scalo di Livorno di far fronte agli sviluppi del gigantismo navale, fenomeno che ha reso progressivamente obsoleti molti scali nazionali, estromettendoli dalla competizione globale. Per realizzare il progetto è necessario dragare i fondali e spostare da qualche parte i 15 milioni di metri cubi di detriti scavati. Una delle varie destinazioni per i sedimenti potrebbe essere la costa di Marina di Pisa, attualmente in forte erosione (ne abbiamo già parlato nel primo articolo di questa rubrica).

Render del progetto Darsena Europa (LI)

Il problema è che questi materiali, attualmente all’interno della zona portuale, sono ogni giorno soggetti al passaggio di navi e dunque potrebbero essere pericolosi per l’ambiente e per la salute umana. Non è un caso se dal 2003 il porto di Livorno è considerato un Sito di Interesse Nazionale (SIN), ovvero una zona contaminata da sostanze inquinanti, che lo Stato considera pericolose. L’area deve necessariamente essere bonificata. Un passaggio fondamentale per avviare i lavori di costruzione della Darsena Europa è l’uscita dal SIN delle aree che dovranno ospitare le nuove banchine. Per fare ciò sono necessarie analisi tecnico-scientifiche che certifichino che l’acqua e i fondali non contengano troppe sostanze inquinanti.

Nell’aprile del 2021, nel corso di queste analisi, era stato trovato in un cesto di cozze, utilizzate come bioaccumulatori, il  benzopirene, una sostanza cancerogena prodotta dalla combustione di molti prodotti, dalle sigarette ai rifiuti indifferenziati, oltre che di combustibili come il cherosene. I cesti di cozze utilizzati erano sei e il problema è stato riscontrato soltanto in uno. I valori rilevati, però, sono stati sufficienti a spingere Istituto Superiore di Sanità (ISS) a bloccare l’intero progetto. Sono state quindi commissionate ulteriori analisi, che verranno portate avanti dall’Arpat e dall’Università di Ancona. Dovremmo conoscere a breve i risultati e scoprire il destino del progetto della nuova Darsena Europa. 

In conclusione, in questo articolo abbiamo potuto osservare l’impatto di alcune attività sulle nostre coste e l’importanza delle analisi chimiche e biologiche per comprendere lo stato di salute delle acque. Queste ultime sono fondamentali per proteggere la comunità dal pericolo dell’inquinamento e per salvaguardare l’ambiente. Come già accennato, nel prossimo numero di questa rubrica parleremo del Lago di Massaciuccoli, che ho avuto l’opportunità di visitare a giugno nell’ambito di un progetto didattico del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. Sarà un modo per fare un riepilogo delle molte problematiche già affrontate nei precedenti articoli e per conoscere meglio un altro meraviglioso angolo del nostro territorio, messo in ginocchio dalle attività umane. Stay tuned! 

Fonti e approfondimenti

Solvay
Acque di balneazione
Laguna di Orbetello
Darsena Europa

 

Lorenzo Mori

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Lorenzo Mori

Studente di Scienze e Tecnologie Geologiche all'Università di Pisa. Cerco, nel mio piccolo, di sensibilizzare le altre persone sugli effetti del cambiamento climatico e su alcune possibili soluzioni, curando la rubrica "Qui e ora" sul blog di Uni Info News.

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