27 Luglio 2024

Non si ferma neanche quest’anno la voglia di cinema in città. Un cinema puro, artigianale, indipendente, lontano dall’egemonia del commercio e della grande distribuzione; un cinema che fa di poetica, ideali e sensibilità la cifra artistica della sua bellezza. Una trasmissione efficace ed immediata che si realizza in uno spazio compatto, com’è quello del teatro, dove la possibilità della condivisione e del concetto di comunità sono ancora più ampie. E’ infatti anche quest’anno il teatro “Il grattacielo” a ospitare il ciclo di proiezioni organizzato dal circolo del cinema Kinoglaz, impegnato ormai da anni nella diffusione della cultura cinematografica attraverso proiezioni di film e documentari, dibattiti e incontri concernenti tutto ciò che è manifestazione della settima arte.

La rassegna di quest’anno. attenta come sempre a problematiche sociali, interculturali, ma non solo, è strutturata in quattro differenti tematiche: il Cinema Donna, che, passando da Mèlanie Laurent ad Alba Rohrwacher, mette al centro dei suoi racconti l’intensità di personaggi femminili; il cinema sociale con “La trattativa” della Guzzanti per la “Giornata vittime della mafia”; un evento speciale sulla meravigliosa Via Francigena e il Cinema e Arte, dove alla pellicola si legano musica e fotografia.


Lo scorso appuntamento, che si è svolto domenica 12 marzo, ha visto la proiezione di un’opera prima, uscita nelle sale nel 2015: si tratta di “Vergine giurata”, film d’esordio della regista Laura Bispuri, liberamente tratto da un romanzo di Elvira Dones, con lo stesso titolo. E’ stato presentato in concorso al Festival di Berlino del 2015. Il film, girato tra l’Albania e Bolzano, vede nei panni della complicata protagonista della storia Alba Rohrwacher, capace ancora una volta di restituire con la singolarità delle sue forme e del suo corpo un personaggio duro, pesante, misterioso e intenso. E’ la storia di Hana, orfana albanese che vive e cresce tra le montagne della sua terra. In questo contesto vige una cultura arcaica, maschilista, basata sull’onore, che non riconosce alle donne alcuna libertà; padri, fratelli e mariti hanno su figlie, sorelle e mogli un vero e proprio potere di vita e di morte. Questa consuetudine è rigidamente regolata dal Kanun, diritto civile parallelo attivo tra i montanari albanesi che in mancanza di figli maschi, possono spingere una donna ad autoproclamarsi uomo, seguendo quel tipo di formazione e attingendo tutte le sue caratteristiche. Per questo Hana, che ha cambiato il suo nome in Mark, condurrà uno stile di vita simile a quello di un uomo, andando ad affondare la sua trasformazione anche in ambito sessuale: ha giurato di mantenere intatta la sua verginità. Così ottiene di avere gli stessi diritti degli uomini, ma rinunciando alla sua femminilità e ad ogni forma di amore. Un rifiuto che diventerà la sua prigione. Ma qualcosa di vivo si agita sotto le sue nuove vesti, e questo determinerà l’inizio di un nuovo viaggio a lungo rimandato, e di una riscoperta della vera sè stessa. Giunta dopo molti anni in Italia, diventato ormai uomo, di nome e di fatto, trova l’ebbrezza del contatto con una cultura diversa, libera, e ciò le consentirà un progressivo ritrovamento della propria sessualità e della propria identità, da tempo sepolte. Quando diventa consapevole di ciò, grazie anche alla sorella, che riuscì a liberarsi dalla prigione della tradizione familiare e che ora si trova in Italia, la sua reazione, che all’esterno rimane silenziosa e compressa, all’interno sembra esplodere. Uno scavo grave e lirico allo stesso tempo su un personaggio intensamente interpretato dalla Rohrwacher, dai cui occhi e dai cui movimenti si scrutano tutto il disagio, la debolezza e la sofferenza per una repressione sofferta: la trasformazione completa da donna a uomo l’ha cambiata profondamente, non solo nell’aspetto esteriore, ma anche nell’anima, e di questo ne è maledettamente cosciente. E’ combattuta tra un impellente desiderio e bisogno di tirare fuori il suo autentico lato femminile e un’impossibilità nel farlo che le impone un’educazione che sembra si sia totalmente impadronita di lei: ma la vera natura alla fine non esita a manifestarsi. Un film volontariamente disturbante e ruvido, che fa dei silenzi e di scene girate nervosamente a mano con la macchina da presa la sua struttura e il suo stile: un modo di cui evidentemente la regista si serve per evocare una situazione che per una donna è effettivamente logorante e intollerabile. Una scelta che fa di questo film la sua bellezza, col suo grido silenzioso e disperato per ottenere, anzi ritrovare, la libertà di essere quello che si è.

 

 

 

 

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