27 Luglio 2024
Non ti pare che le cose aspettano tutte innamorate il sole?

È andata in scena, il 14 e il 16 febbraio 2020 presso il Teatro Goldoni di Livorno la Tosca, famosa e drammatica opera di Giacomo Puccini. Al principio di questo nuovo ventennio riportare la pièce in scena si pone quasi come un collegamento col momento della sua prima rappresentazione, il nuovo secolo. Fu infatti quest’ultima ad aprire il XX secolo (prima rappresentazione assoluta: Roma, Teatro Costanzi, 14 gennaio 1900)  e rimane ancora oggi una delle più amate dal pubblico, non solo teatrale ma anche cinematografico. A rappresentare le inquietudini della “nuova era” Puccini realizzò una trama appassionante ed attuale, basata su amore e violenza, società e politica, libertà e oppressione.

La rappresentazione livornese ha visto sulla scena il tenore Enrique Ferrer e il baritono coreano Leo An, rispettivamente nei ruoli del cavlier Cavadarossi e del barone Scarpia, e l’esordio in città del soprano Daria Masiero in veste della cantante Floria Tosca. Nel cast figuravano anche Matteo D’Apolito (Cesare Angelotti), Saverio Pugliese (Spoletta), Marco Innamorati (Sciarrone), Lorenzo Nincheri (Un carceriere) e le voci bianche Giovani Fontana e Gaia Niccolini (Un pastore). La rappresentazione ha poi visto la collaborazione di più complessi artistici quali l’Orchestra Filarmonica Pucciniana e il Coro Ars Lyrica istruito da Marco Bargagna; il coro Voci Bianche Teatro del Giglio e Cappella Santa Cecilia diretto da Sara Matteucci. L’orchestra è stata magistralmente diretta dall’acclamato Marco Guidarini che, particolarmente vicino alla poetica pucciniana, è riuscito ad implementarne l’atmosfera attraverso una sensibilità unica.


Tosca è una delle più famose opere di Giacomo Puccini, e mira a sviluppare un attaccamento dello spettatore attraverso le sue reazioni, inscenando una storia di amore passionale e drammatica con l’intento di perseguire una rappresentazione verosimile che stimolasse la dimensione immaginifica. La protagonista, Floria Tosca, è un personaggio affascinante e forte, che per salvare dalla fucilazione l’amato pittore Cavaradossi, non esita a uccidere il perfido capo della polizia papalina, il barone Scarpia; accortasi di non essere riuscita a salvare l’amante, si getta dagli spalti di Castel S. Angelo, a Roma.

I personaggi, la musica e la scenografia sono sviluppati a sostegno e servizio del dramma, realizzato dall’operista attraverso un rinnovato linguaggio musicale. In linea con lo sviluppo dell’opera a livello europeo che stava avvenendo in quel momento, Puccini articola fantasia melodica, elaborazione dei motivi e sviluppo timbrico in un intreccio basato su continuità spaziale e razionalità temporale, al fine di creare uno sfondo presente ma non invadente alla trama amorosa degli eventi che ha un ruolo preminente.

La rappresentazione livornese ha risposto alla volontà pucciniana di delineare l’atmosfera dell’intera opera fin da subito con le studiate scenografie di Ivan Stefanutti (che ne ha curato anche la regia e la scenografia), soppesate e rispondenti al pathos della struttura scenica. Colonne nere, ringhiere, scalinate e capitelli in finto marmo hanno ospitato l’azione interagendo con proiezioni di scenari romani e sacri variate in base agli atti (visual designer Ezio Antonelli, light designer Marco Minghetti).

Con quest’opera Puccini si distanziò dal verismo e rivelò un legame con la realtà attraverso il riferimento storico del periodo scelto, amplificato dalle scenografie cromaticamente caricate. La vicenda si sviluppa intorno ai tre personaggi principali relazionati al complesso reticolo storico e vede l’intervento in concerto di attori provenienti da più fonti in un’ambientazione scenica mirata a provocare allo spettatore sensazioni che ne completino il messaggio. L’unità di azione e luogo è mantenuta a sostegno dei personaggi che vi interagiscono in modo quasi cinematografico e, nella rappresentazione livornese, ha dato un particolare sostegno al personaggio di Scarpia.

Nel complesso è stato confermato e sottolineato l’insieme scenico tipico dell’autore, quasi fotografico e tardo ottocentesco. Già dal primo atto infatti si percepisce la presenza e la potenza della scenografia, prorompente e con tratti barocchi, basata sui toni scuri striato di bianco. Ciò ha dato ancora più risalto alle proiezioni luminose, variate in base agli atti e concepite come integrazioni scenografiche. L’aspetto complessivo di eleganza si affianca alla scena dei costumi e dei toni cromatici, a predominanza fredda, che stilano la cifra stilistica per questa pièce. La struttura nel complesso si è rivelata versatile ai tre atti, arrivando ad articolare la visuale finale senza dilatarne le tempistiche dei dialoghi.

La potenza dei personaggi inizialmente è stata avviata dal personaggio di Scarpia, attorno al quale si concentrano le trame e le violenze, per poi passare al motivo corale di voci bianche e al dialogo tra i due protagonisti, ancora leggermente sottotono. La Masiero ha eseguito un’interpretazione dai toni più acuti rispetto ai quelli solidi e caldi spesso ascoltati, ma non si è rivelata per questo meno potente e ha ben reso il tipico approccio dell’operista al discorso, nel quale i personaggi cantano frasi brevi in maniera alternata come se stessero dialogando. Con il suo timbro acuto si è ben contrapposta a Ferrer, che nel suo Cavadarossi ben rappresenta il fascino e il carattere liberale del personaggio.


Leo An ha invece rappresentato uno Scarpia diverso ma apprezzabile nel suo timbro forte e nei suoi atteggiamenti particolari, già apprezzato dal pubblico del Teatro Goldoni nei titoli Traviata, Cavalleria rusticana e Pagliacci.

Nel complesso lo sviluppo dell’azione porta a vivere il culmine drammatico del finale attraverso il climax delle chiusure d’atto, la drammaticità della scenografia e il sapore quasi pittorico di alcuni passaggi a rappresentare quasi un parallelo con il talento del protagonista e della sua drammatica morte. Lo scenografico salto finale rimanda più di altro ad una visione cinematografica e risulta completato dall’imponente scalinata e dall’acuto del soprano che ha fatto scaturire un lungo applauso nella sala ricordandoci che il teatro è proprio un’arte che rende immortali.

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Chiara Lo Re

Scrivere per documentare, scrivere per imparare, scrivere per comunicare.
Dallo studio al lavoro, dalla curiosità all'immagine, sempre alla ricerca di ciò che ancora non c'è: scrivo vivendo, strada facendo.

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