19 Aprile 2024

«La cosa più importante è il coraggio, in particolare quello di cui non si parla mai, il coraggio di essere fedeli ai propri sogni e di combattere per essi fino alla morte».

Ironico, avventuroso e utopico è il Don Chisciotte interpretato da un intenso e convincente Alessio Boni insieme alla poliedrica e strepitosa Serra Yilmaz nei panni di Sancio Panza, portato in scena lo scorso 15 e 16 febbraio al Teatro Verdi di Pisa.

Il sapore tragicomico del romanzo Don Chisciotte della Mancia di Miguel De Cervantes Saavedra (1605 e 1615) è restituito pienamente dalla drammaturgia riscritta dallo stesso Boni insieme a Roberto Aldorasi, Marcello Prayer e Francesco Niccolini.


Foto Gianmarco Chieregato

Don Chisciotte

Fin dall’inizio decisamente onirico, il protagonista Don Chisciotte, il perdente di successo, si fa portavoce di valori cavallereschi ormai perduti. Con una convincente modulazione della voce rauca e forzata, Boni calza molto bene i panni di un uomo visionario, che sfugge all’insensata apparenza del quotidiano, lanciandosi in eroiche ma catastrofiche avventure tenendo fede al suo amore per Dulcinea del Toboso.

Di altro spessore è il Sancho Panza di Serra Yilmaz, caratterizzato da un passo pacato e inerziale, che lo rendono naturalmente ironicamente comico. Il suo unico scopo è quello di guadagnare abbastanza soldi per mantenere la sua famiglia.

Ogni avventura che affrontano insieme aumenta la loro amicizia e complementarietà, pur nella lucida follia e nelle allucinazioni del protagonista, lottando contro i mulini a vento con determinazione.

Sancho rappresenta la parte razionale e coscienziosa del Don Chisciotte, colui che cercherà inizialmente di farlo desistere dalle sue imprese, per poi assecondarlo completamente fino a spronarlo a inseguire i propri sogni, nonostante i dettami della società.

Don Chisciotte pensa di stare in un mondo di regole, si veste a cinquant’anni della sua armatura e pensa di sistemare il mondo e renderlo migliore per i posteri, senza scendere a compromessi. Questa è la modernità del protagonista: scardina le regole della società, portando avanti ideali di virtù, onore e giustizia, ormai perduti, in nome dell’amore.

Bravi anche gli altri personaggi che interpretano la famiglia di Don Chisciotte e i malcapitati che fronteggiano l’impetuoso cavaliere errante, Marcello Prayer, Francesco Meoni, Pietro Faiella, Liliana Massari e Elena Nico.


Foto Filippo Manzini

– Guardi bene la signoria vostra, soggiunse Sancio, che quelli che colà si discoprono non sono altrimenti giganti, ma mulini da vento, e quelle che le paiono braccia sono le pale delle ruote, che percosse dal vento, fanno girare la macina del mulino.
— Ben si conosce, disse don Chisciotte, che non sei pratico di avventure; quelli sono giganti, e se ne temi, fatti in disparte e mettiti in orazione mentre io vado ad entrar con essi in fiera e disugual tenzone.

Bellissimo e ingegnoso anche il cavallo Ronzinante, fedele amico del protagonista, dalle fattezze tanto realistiche quanto espressive, mosso da Nicolò Diana. Di altra fattezza è l’asinello indossato da Sancho Panza: una ciambella con le fattezze dell’animale, con il quale ciondola per il palco.

Le scenografie e gli oggetti di scena in cartapesta valorizzano l’ambientazione fiabesca. I fondali in tessuto, le azioni che vengono suggerite da oggetti drammaturgici come la pala del mulino a vento che scende dall’alto o un albero accanto al quale siedono i due pastori, stimolano l’immaginazione dello spettatore, in linea con le avventure del cavaliere che compie le sue imprese nel dietro le quinte.

Un Don Chisciotte avvincente e ben riuscito che rappresenta il popolo: affronta la vita in continuazione, senza lasciarsi vivere. Un combattente che, nonostante le disavventure e vicessitudini si rialza e lotta. Un bellissimo esempio di grande umanità e coraggio da cui possiamo, ancora oggi, trarne spunto.

Sono don Chisciotte, e la mia professione è quella di cavaliere. Le mie leggi sono sciogliere i torti, elargire il bene ed evitare il male. Fuggo dal dono della vita, dall’ambizione e dall’ipocrisia, e cerco per la mia gloria il sentiero più angusto e difficile. È forse da sciocchi?

 

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Marta Sbranti

Marta Sbranti, classe 1989. Dopo il Diploma presso l'Istituto d'Arte Franco Russoli di Pisa mi sono laureata in Scienze dei Beni Culturali curricula storico-artistico. Ho conseguito la Laurea Magistrale in Storia delle Arti Visive, dello Spettacolo e dei Nuovi Media, presso l'Università di Pisa. La mia tesi di laurea "Musei e Danza" unisce le mie due grandi passioni la danza e l'arte, che coltivo fin da piccola.
"Toccare, commuovere, ispirare: è questo il vero dono della danza".
(Aubrey Lynch)

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