27 Luglio 2024

In questi giorni ci siamo scandalizzati tanto per le foto della morte del piccolo Aylan, il bambino  siriano di etnia curda trovato senza vita sulle spiagge turche di Bodrum nel tentativo di raggiungere l’isola greca di Kos. Personalmente l’effetto che mi hanno suscitato quelle foto è lo stesso dei “fallen man” dell’11 settembre 2001 in quel di Manhattan. La sensazione è ancora una volta quella che la guerra, i martiri e le atrocità del mondo non ci tocchino finchè un qualcosa di violento e struggente non viene a trovarsi di fronte ai nostri occhi, e quasi come un feticcio quel qualcosa viene utilizzato come simbolo, per smuoverci a gettare fuori parole e buoni intenti per qualche giorno. Prima o poi passato il polverone mediatico tutto giace come da principio, nell’inerzia più totale.

Per questo la foto del piccolo Aylan, per quanto struggente, per me è stata come una goccia d’acqua in un mare, e se è pur vero che il mare è fatto di tante gocce ed ognuna di esse è indispensabile per la sua esistenza, altrettanto vero è che una singola goccia nell’oceano non fa rumore. Non che sia rimasto indifferente a quella morte ingiusta e prematura, affatto, semplicemente dico che questa tragedia non è soltanto Aylan, questa tragedia ha migliaia di altri volti affossati su di una spiaggia o dispersi in mare aperto, nel nostro mare.


Quel che mi ha colpito di più in questi giorni è stata la risposta che alcuni bambini siriani profughi a Budapest hanno dato ad un giornalista ungherese nei pressi della stazione. Alla domanda “perché lasciate il vostro paese per venire qui? Cosa sperate di trovare?” questi hanno risposto “la pace. Nel nostro paese c’è la guerra, noi non siamo contenti di lasciarlo, ma che possiamo fare? Se voi fermaste la guerra noi non avremo bisogno di venire qui”.

Già, è proprio vero, la verità nelle parole di questi bambini ci pone davanti ad un bivio, fermare la guerra a casa loro oppure accoglierli a casa nostra. Per un bambino non c’è troppo di più da capire, forse è proprio la semplicità delle loro parole pure, sincere e dirette che merita di essere riscoperta. I bambini ignorano tutte le scelte politiche ed economiche che comporta una simile ondata migratoria, e lo ignorano perché vedono ancora il mondo semplice. Forse anche noi come questi bambini dovremo per un attimo tralasciare i filtri e le polveri delle dinamiche circostanti e guardare alla sostanza dei fatti.

La sostanza è che ci sono migliaia di persone innocenti e speranzose che ogni giorno arrivano sulle nostre coste in cerca di aiuto. Ma una cosa che ci manca è il coraggio. Coraggio di reagire alla guerra, coraggio di accogliere e coraggio di prendere una posizione ben determinata contro i massacri “a casa loro”.

“Casa loro”, due parole che non sopporto, ormai sono passati anni dal crollo delle ideologie nazionaliste del ‘900, e seppur molti movimenti politici mirino tuttora a fomentare il popolo occidentale in tal senso, l’evoluzione ci porta altrove. Ci porta al web globalizzato, alla comunicazione globale, ai mercati europei che risentono delle oscillazioni di Hong Kong, tanto per fare alcuni esempi. 

Il mondo tende a unirsi, l’unione sta avvenendo ancor prima che fattivamente per via telematica; e ad oggi questo processo sembra irreversibile. Siamo proprio sicuri che i paesi tormentati siano  “casa loro” e l’occidente casa nostra? Se le democrazie liberali hanno un pregio rispetto allo statalismo o ai regimi totalitari è proprio dare importanza ai singoli individui e alle libertà connesse, nel perseguimento del bene comune, proprio per questi principi non può essere ignorato chi chiede accoglienza per scappare da un massacro, per avere un futuro.

E se è la foto di un bambino morto a far svegliare i governi dell’Unione Europea e l’ONU, forse la crisi europea d’immobilismo è ancor più forte di quel che si pensava. Su questo fronte infatti c’è da dire che un paese realmente sviluppato non può permettersi di accogliere profughi in questa maniera scomposta e a tratti disumana, e se è vero che questo è un problema nuovo a cui non eravamo pronti, appare ormai evidente l’esigenza di dirottare più risorse economiche possibili su piani straordinari di accoglienza e integrazione. Perché i profughi di oggi potranno essere una ricchezza per l’Europa di domani. Magari tra loro si nascondono anche assassini, ma questo è l’inevitabile.


Ancora forse non ce ne rendiamo conto, ma la globalizzazione e l’immigrazione selvaggia, seppur con i lati negativi, stanno offrendo all’Unione Europea una grande opportunità per diventare uno stato unico che sia realmente una comunità di persone con un’unità di intenti che mira al perseguimento di ideali di libertà e pace.

Se questa è l’ennesima prova da superare, occorre armarsi di coraggio e provare a guardare i volti di queste persone con occhi e mente nuova. 

Per una volta forse occorre guardare l’orizzonte del mare nostrum con gli occhi di un bambino.

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