27 Luglio 2024

La riforma costituzionale è, senza ombra di dubbio, il tema più caldo dell’anno poiché si tratterebbe della più ampia modifica costituzionale che sia mai stata avanzata nell’Italia Repubblicana. Il disegno di legge propone infatti una variazione a ben 45 articoli della Costituzione vigente: uno della parte I (art. 48) e 44 della parte II. C’è da dire che buona parte di essi verrebbero modificati in modo marginale, eliminando il riferimento al Senato o alle Province (es. art. 60 e art. 114). Il referendum, inoltre, suscita notevole interesse (forse più dei cambiamenti concreti) per le promesse politiche ad esso legate. Prima fra tutte le dimissioni di Renzi da Presidente del Consiglio in caso di vittoria del no; anche se, le recenti dichiarazioni dello stesso, fanno pensare a una nuova (e classica) “retromarcia all’italiana” che, indipendentemente dall’esito del referendum, riporterà il voto solo nel 2018, a fine legislatura.

Prima di descrivere, con lente di ingrandimento, le differenze tra le due carte; è bene capire quali sono gli obiettivi ai quali il governo Renzi ambisce a raggiungere con tale disegno di legge: democrazia più veloce, cioè abbattere il tempo necessario alla produzione della norma giuridica; contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, ivi compreso, la riduzione del numero dei parlamentari (con il superamento del bicameralismo paritario), la soppressione del CNEL e delle Province (revisione del Titolo V).


Le modifiche e le conseguenze più rilevanti sono le seguenti.

Fra i cavalli di battaglia della riforma spicca l’art. 55 dove viene specificato che solo la Camera dei Deputati (non più in comune con il Senato) rappresenta la Nazione ed è titolare inoltre del rapporto di fiducia con il governo. Il Senato della Repubblica rappresenterà le “istituzioni territoriali”. Questo articolo sancirebbe la fine del bicameralismo paritario.  All’art. 57 è descritto il nuovo assetto logistico del Senato: sarà composto da 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali, scelti fra sindaci e consiglieri ed eletti non più dai cittadini ma dagli stessi Consigli Regionali, si legge al quinto comma: ”La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti…”; i restanti cinque sono nominabili dal Presidente della Repubblica. Secondo la nuova carta, i senatori, diminuiranno a 100 contro i 315 (più gli eventuali senatori a vita) previsti dalla carta vigente per un risparmio complessivo di 49 milioni di euro (pari al 9% in meno della spesa attuale). In negativo si evidenzia inoltre il cosiddetto “doppio ruolo” che dovranno ricoprire i sindaci e consiglieri eletti al Senato. Se non vi sarà un’organizzazione intelligente delle sedute, uno dei due impieghi potrebbe essere trascurato. Fra le modifiche alla nuova carta è impossibile non muovere una critica per l’art. 64, dove, al sesto comma è scritto:”…I membri del Parlamento hanno il dovere di partecipare alle sedute dell’Assemblea e ai lavori delle Commissioni.” Sembra impossibile ma l’articolo specifica che i parlamentari sono tenuti a svolgere il proprio lavoro! Senz’altro il nuovo comma susciterà l’ironia delle autorità di mezzo mondo. Ma, considerando che l’astensionismo rappresenta la realtà nel parlamento italiano, vedi Ghedini e Verdini (rispettivamente 2 e 12 presenze in 18 mesi), forse è saggio inserire questo postulato all’interno del testo costitutivo. L’art. 70 attualmente in uso cita:” La funzione legislativa è esercitata collettivamente delle due Camere.”. E’ composto da 7 parole.  Col fatto che non sarebbe più così nella maggior parte dei casi, il nuovo articolo, specifica in non meno di 400 parole, quali funzione legislative sono di fatto esercitate dalle due camere collettivamente. Questo non è certamente il trionfo di una “democrazia più veloce” quanto il sintomo di una burocrazia sempre più difficile da interpretare. Il nuovo art. 71 è invece chiarissimo: per proporre una legge di iniziativa popolare sarebbero necessarie 150000 firme contro le 50000 volute dalla costituzione vigente (no comment…). Gli osservatori dell’art. 77 rimangono un po’ come il protagonista di un thriller quando, giunto all’epilogo del film, scopre un particolare agghiacciante e rimane con gli occhi fissi a scrutare il nulla prima che partano i titoli di coda. Effettivamente chi legge potrebbe domandarsi perché il Ministro Boschi abbia ritenuto necessario allargare il raggio d’azione dei decreti legge a:” […] la materia elettorale, della disciplina dell’organizzazione del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezioni.”? L’esecutivo non dovrebbe emanare decreti legge solo in casi di straordinaria necessità? come guerre o cataclismi naturali? Oggettivamente la finalità di tale disposizione sembra essere, più che la trasparenza, l’inganno. La nuova formulazione riguardo l’elezione del Presidente della Repubblica (art. 83) introduce l’obbligo della maggioranza dei due terzi del parlamento per i primi tre scrutini; della maggioranza dei tre quinti dell’assemblea dal quarto al sesto e infine della maggioranza dei tre quinti dei votanti dal settimo scrutinio in poi. Il fatto rende plausibile l’ipotesi dell’elezione di un Capo dello Stato “di minoranza”. All’abrogazione dell’art. 99 corrisponde la soppressione del CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro). Nel corso dei suoi sessant’anni di storia ha dimostrato un impegno discontinuo e insufficiente per la propria facoltà di avanzare proposte di legge al governo; in questo arco di tempo ha presentato soltanto 11 proposte e non è mai riuscito a farne approvare una. La sua cessazione garantirà, alle casse dello stato, un risparmio di 9 milioni di euro all’anno. Infine, la modifica più sinceramente voluta dalla maggioranza delle forze politiche è quella del Titolo V, specificatamente, all’art. 114, l’abolizione delle Province. La chiusura di tutte le realtà provinciali assicurerebbe un risparmio annuo del 3,9% pari, in termini assoluti, a poco meno di 510 milioni di euro su un totale di 13 miliardi. In ragione di ciò anche la Corte dei conti ha bocciato tale provvedimento. Il risparmio risulterebbe così esiguo perché, Comuni e Regioni, necessiterebbero in tutti i casi di un organo intermedio che svolga quei compiti amministrativi a cui i Comuni non possono ottemperare direttamente e in maniera adeguata.

Finita questa carrellata di tipo descrittivo; c’è da aggiungere che tutte queste modiche potrebbero essere perseguite attraverso leggi ordinarie senza andare ad adulterare la massima fonte del diritto statale. E’ Inoltre vergognosa la forma con cui si pone agli elettori la scheda referendaria. Essa non è stata scritta con la normale formula del “Volete voi che sia abrogato l’art…” ma è composta esclusivamente da messaggi che inducono un non informato a votare “Si” ad occhi chiusi.     

A conclusione di questa analisi, visti i dati, risulta faticoso accettare che tra gli scopi della riforma si annoveri l’espressione “democrazia più veloce” quando (in merito alla XVII legislatura) nei 1240 giorni che vanno dal 15 Marzo 2013 alle ferie di Agosto 2016, il parlamento ha approvato ben 241 leggi cioè una legge ogni 5 giorni: non sembra una condizione di burocrazia claudicante. 196 di queste iniziative legislative (115 disegni di legge, 68 decreti, 12 leggi di bilancio e un ddl costituzionale) sono state promosse dal governo. Ciò significa che l’esecutivo ha emanato oltre l’81% delle leggi entrate in vigore dal 2013 a oggi. Alla luce di queste informazioni è utile ricordare che Il principio della separazione dei poteri è intrinseco in ogni sistema sinceramente democratico, l’esperienza storica ci insegna che il potere legislativo va a braccetto con quello esecutivo nei paesi in cui non si vorrebbe vivere. Strano sui giornali si legge che gli U.S.A. hanno benedetto il “si” al referendum…

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Enrico Raugi

Sono Enrico, classe '97 e studio Storia Moderna a Pisa. Nei libri, la politica e i viaggi ritrovo le mie passioni. Spero che i miei articoli suscitino il vostro interesse.

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