26 Luglio 2024

Martedì 7 dicembre, al termine del Consiglio “Economia e finanza” (Ecofin), il vicepresidente della Commissione Europea Vladis Dombrovskis ha annunciato che il nucleare e il gas verranno inseriti, con alcune limitazioni, nella tassonomia per la finanza sostenibile. Quali sono le motivazioni che hanno spinto la Commissione a definire green entrambe le fonti di energia? Quali sono gli interessi dei vari paesi europei? 

 

Cos’è la tassonomia per la finanza sostenibile? 

Fino a non molto tempo fa, in Europa ogni fondo di investimento poteva applicare le proprie definizioni e le proprie metodologie nella selezione delle imprese sostenibili da finanziare. A questa mancanza di uniformità, facevano capo regole e offerte di finanziamento difficilmente comparabili tra loro. Per questo motivo, da circa quattro anni, la Commissione Europea si sta adoperando per fornire definizioni univoche per identificare attività economiche e investimenti ritenuti sostenibili per l’ambiente. Il fulcro di questo grosso lavoro è proprio la tassonomia della finanza sostenibile. Questa, secondo la Commissione, vuole essere una guida pratica e semplice per indirizzare gli investimenti su tecnologie che non impattano negativamente sull’ambiente. In particolare, questo documento è indirizzato prevalentemente agli investitori privati dato che, nell’immediato, i fondi pubblici non basteranno alla transizione verso un mondo carbon free. 


 

Una decisione controversa

L’inclusione di gas e nucleare all’interno della tassonomia per la finanza sostenibile è stata frutto di accesi negoziati, durati anni, tra i paesi dell’ Unione Europea. L’atto delegato, che uscirà a breve, anticipato martedì sera da Dombrovskis, è la sintesi delle posizioni di due gruppi di paesi che hanno piani energetici molto diversi. L’indirizzo degli stati membri è divenuto lampante alla recente Cop26 di Glasgow. Durante la conferenza per il clima sono stati firmati dei documenti che palesavano la presa di posizione dei vari governi e si è potuta constatare una netta spaccatura tra due gruppi di paesi. 

Il primo è capeggiato dalla Francia e include anche Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Romania. Questi paesi possiedono già o stanno avviando un programma nucleare. La Polonia, per esempio, è uno dei paesi che inquinano maggiormente per la sua forte dipendenza dal carbone dunque, la volontà del governo di Varsavia, è quella di puntare su un tipo di energia che produce meno CO2 come il nucleare. 

Il secondo gruppo è guidato dalla Germania seguita da Belgio, Lussemburgo, Portogallo, Danimarca e Irlanda. Essi, al contrario, si stanno avviando alla chiusura dei propri reattori o non vogliono centrali sul proprio territorio. Si tratta di stati che stanno puntando a installare una massiccia quota di energie rinnovabili, ma che hanno anche un forte bisogno del gas, per motivi che vedremo in seguito. 

E l’Italia? Durante la conferenza il nostro paese non si è espresso, così come la Spagna, che inizialmente si era unita al fronte del no, ma poi ha fatto marcia indietro. In ogni caso, il nostro paese, data la forte ostilità della popolazione al nucleare, durante le trattative si è alleato alla Germania per inserire il gas nella tassonomia. Infatti, l’Italia dipende per il 48% dal gas naturale, che è di gran lunga il principale metodo di produzione di energia elettrica. 

 

Una noiosa doverosa infarinatura 

Il concetto di baseload

Al contrario di ciò che ci spinge a pensare la narrazione di certi ambientalisti, non esiste e non esisterà mai un modo di produrre energia pulita, a impatto zero sull’ambiente. Ogni tecnologia a nostra disposizione ha i suoi vantaggi, i suoi svantaggi e funziona al meglio per specifiche situazioni. Per spiegare meglio questo concetto, prendiamo come esempio il fabbisogno giornaliero italiano di energia elettrica che, semplificando, può essere suddiviso in due categorie. La prima prende il nome di baseload o carico di base. In poche parole, il nostro paese, giorno e notte, avrà sempre bisogno di energia elettrica per alimentare le ferrovie, l’illuminazione stradale, gli ospedali, gli edifici pubblici, le grandi industrie ecc… Dunque, l’energia richiesta alla nostra rete non scenderà mai sotto un certo valore. Oltre al baseload abbiamo anche picchi di domanda, ovvero alcuni momenti della giornata in cui vi è un maggiore consumo di energia da parte dei cittadini. In genere questi picchi si verificano la mattina presto o la sera tra le 19 e le 20. In questo lasso di tempo inizia a fare buio, si accendono luci e riscaldamenti e le industrie continuano a lavorare. 

 

Il concetto di capacity factor

Introduciamo ora un’ulteriore nozione, che è quella di capacity factor. Questo è il rapporto, esprimibile in percentuale, tra la produzione reale di energia elettrica fornita da un impianto e la produzione di energia che lo stesso impianto avrebbe generato se avesse operato, nel medesimo lasso di tempo, alla piena potenza nominale. 


Centrale nucleare canadese, vicino Toronto, composta da 8 reattori CANDU

Una centrale nucleare, per esempio, ha un altissimo capacity factor (oltre il 90%), dato che può produrre energia in qualsiasi momento della giornata e si spegne per pochi giorni ogni circa 18 mesi per il cambio del combustibile. Alcuni reattori possono raggiungere prestazioni ancora maggiori. Un reattore CANDU canadese è rimasto acceso ininterrottamente per 1106 giorni avendo dunque, in quel periodo di tempo, un capacity factor molto vicino al 100%.  

Al contrario, a causa della loro aleatorietà, fotovoltaico ed eolico hanno un basso capacity factor. In particolare, il fotovoltaico si attesta in media sul 15-20%. Difatti, banalmente, durante le ore notturne non viene prodotta alcuna energia, mentre la potenza dei pannelli può calare molto nei giorni di pioggia e in inverno. L’eolico arriva ad un capacity factor del 30-40%. Anche in questo caso, il basso valore dipende dal fatto che non sempre c’è vento e non tutti i tipi di vento sono ottimali. Infatti, durante episodi di vento forte, le pale rischiano di rompersi e vengono dunque messe “in bandiera”. 

A questo punto è facilmente intuibile il fatto che per coprire il carico di base di una nazione, non è possibile utilizzare un tipo di energia che non è sempre disponibile. 

 

I sistemi di accumulo 

Qualcuno potrebbe obiettare che, per ovviare a questi problemi, bisogna puntare sui sistemi di accumulo. Purtroppo siamo ben lontani dal produrre batterie in grado di accumulare l’energia sufficiente ad approvvigionare l’intera nazione. Inoltre, se si puntasse sul 100% rinnovabile, non solo bisognerebbe accumulare energia da un giorno all’altro, ma dovremmo anche risolvere il calo della produzione di energia dei pannelli solari in inverno. 

Megafactory (20 MW) di batterie Tesla in California

Il professor Giuseppe Zollino, ordinario di economia dell’energia all’università di Padova, ha simulato con un modello il mix energetico meno costoso, per il 2050. Il suo modello riporta i costi del kWh utilizzando o meno l’energia nucleare. Nella sua presentazione, che invito a seguire (clicca qui, la presentazione inizia al minuto 36.45), Zollino mette in evidenza la quantità incredibile di fotovoltaico che dovremmo installare per risolvere il problema della stagionalità. Si parla di un valore di circa 500 GW (oggi ne abbiamo installati solo 20 GW), che corrisponde a una superficie di circa 600 mila ettari. Inoltre, dal suo modello si evince che l’Italia, senza il nucleare, avrà bisogno di una quantità di sistemi di accumulo pari a tre volte la produzione mondiale di batterie dell’anno 2019. Se invece si utilizzasse il nucleare, servirebbe “solamente” un’intera produzione mondiale di batterie del 2019. Per dovere di cronaca, è doveroso sottolineare che con il nucleare il costo dell’energia previsto dal modello di Zollino è dal 25% al 35% inferiore rispetto al mix senza nucleare. 

Questi numeri sono assolutamente impressionanti e ci fanno toccare con mano l’enorme difficoltà di attuare una transizione energetica in tempi brevi. 

 

Tiriamo le fila

Grazie ai concetti visti in precedenza, è possibile suddividere le fonti di energia in base alle loro caratteristiche. Per esempio, dato che il nucleare funziona sempre (alto capacity factor) sarà più idoneo per coprire il baseload, ovvero quella parte di energia di cui una nazione avrà bisogno ininterrottamente. Al contrario, visto il basso capacity factor e la difficoltà nell’accumulo, le rinnovabili saranno più funzionali per coprire i picchi di domanda. 

E il gas naturale? Il gas è una fonte di energia molto versatile. Al contrario delle centrali nucleari, quelle a gas si accendono in breve tempo e la loro potenza è più facilmente modulabile. Dunque, possono essere in grado di coprire sia i picchi sia il baseload. Nei paesi che hanno molte rinnovabili, come la Germania o come si sta avviato diventare l’Italia, il gas serve per coprire il baseload. Per inciso, attualmente i tedeschi coprono il loro carico di base con il carbone, che è decisamente più impattante del gas. In Francia, invece, il baseload è coperto dal nucleare. Le poche centrali a gas, presenti sul territorio francese, servono a coprire picchi di domanda di energia particolarmente alti, per i quali non bastano nemmeno le rinnovabili installate sul loro territorio. 

 

Alla luce di ciò, mi permetto una breve considerazione. Attualmente, a causa della crisi climatica, siamo in seria difficoltà. Per poter attuare una rapida transizione non è il momento di fare gli schizzinosi e dobbiamo avvalerci di tutte le tecnologie a nostra disposizione. Purtroppo la scarsa conoscenza dell’argomento e la cattiva informazione, spesso ideologica e non basata su dati scientifici, hanno messo il nucleare in cattiva luce. Questa energia ha certamente degli svantaggi, ma ha anche moltissimi pregi e deve essere seriamente presa in considerazione. Il punto è che oggi non abbiamo un’altra tecnologia migliore della fissione nucleare per coprire il carico di base di un determinato paese. Le uniche fonti di energia che possono competere col nucleare, da questo punto di vista, sono i combustibili fossili. La differenza sta nel fatto che il nucleare, durante il suo ciclo vita, produce pochissima CO2 e pochissime scorie, data l’alta densità energetica dell’uranio. I combustibili fossili, invece, immettono in atmosfera decine di miliardi di tonnellate di anidride carbonica all’anno e il loro inquinamento causa annualmente 9 milioni di morti. Dunque l’energia nucleare può essere definita green, deve lavorare insieme alle energie rinnovabili e merita un posto nella tassonomia per la finanza sostenibile dell’Unione Europea. Al contrario, il gas naturale è climalterante. Saremo certamente costretti a usarlo come energia di transizione, ma bisognerebbe puntare a eliminarlo nel più breve tempo possibile. 

Il modello tedesco 

Gasdotto Nord Stream

Dal punto di vista energetico reputo la Germania l’esempio perfetto da non seguire. I dati delle emissioni di CO2 in atmosfera sono l’incontrovertibile prova della scarsa efficienza dal punto di vista climatico del loro mix energetico. I tedeschi hanno speso oltre 620 miliardi in energie rinnovabili e hanno installato pannelli solari e pale eoliche per un totale di oltre il 150% del loro intero fabbisogno energetico. Inoltre, la Germania ha quasi terminato lo spegnimento dei suoi reattori nucleari. Chiaramente le rinnovabili, visto che non producono energia ininterrottamente, non sono state in grado di coprire il baseload, precedentemente occupato in parte dal nucleare. Per questo motivo sono state riaperte molte miniere di carbone ed è stato raddoppiato recentemente il gasdotto Nord Stream (Nord Stream 2), che arriva direttamente dalla Russia. Come se non bastasse, i tanti impianti di rinnovabili necessitano di sussidi per far guadagnare i produttori di energia anche quando sole e vento non ci sono. Risultato: la Germania ha una delle bollette energetiche più care al mondo ed è tra i paesi europei che emettono più CO2 per kWh di energia prodotta. Alla luce di tutto ciò, non può essere una sorpresa se la Germania, per proteggere il suo investimento sul gasdotto, ha fatto pressione alla UE affinché il gas fosse inserito nella tassonomia per la finanza sostenibile. 

 

La strategia italiana

Anche l’Italia si sta dirigendo verso il modello tedesco. Abbiamo speso 120 miliardi in rinnovabili dal 2010 ad oggi e ne abbiamo stanziati altrettanti per il 2030. Non avendo centrali nucleari, inoltre, siamo costretti ad importare dall’estero grandi quantità di metano e di energia nucleare per coprire il nostro baseload. Per inciso il nostro Paese è il secondo importatore di energia al mondo. Questa caratteristica ci rende particolarmente vulnerabili alle fluttuazioni del prezzo delle materie prime (come stiamo sperimentando in questo momento) e ad eventuali crisi diplomatiche con i nostri fornitori (per esempio con la Russia). 

Oltretutto è di questi giorni la notizia che l’Italia probabilmente costruirà, nel prossimo futuro, ben 48 impianti a gas per un totale di 20 GW, che casualmente è l’attuale baseload italiano. Queste centrali avranno la funzione di coprire i periodi in cui le rinnovabili non produrranno energia e proprio per questo saranno finanziate da soldi pubblici. Siccome non ha senso costruire centrali che lavoreranno per soli 10 anni, molto probabilmente il loro scopo è un altro: è facile pensare che dureranno molto di più rispetto ai tempi previsti dai trattati che prevedono una decarbonizzazione tra il 2035 e il 2050. 

Questi dati confermano la strategia italiana ed è ben giustificata l’alleanza con la Germania per spingere l’Unione Europea ad inserire il gas nella tassonomia per la finanza sostenibile. Così come ha fatto Berlino, anche Roma vuole proteggere i suoi investimenti su queste centrali e sul TAP, che potrebbe essere raddoppiato a breve. 

 

Il modello francese 

Centrale nucleare di Tricastin, una delle più vicine al nostro confine

Al contrario della Germania, la Francia, riguardo alla CO2 diffusa in atmosfera per kWh prodotto, ha le emissioni molto basse. Addirittura riesce a competere con i paesi del nord Europa, che hanno sufficiente idroelettrico per coprire il proprio baseload. I nostri cugini d’oltralpe hanno iniziato a puntare sull’energia nucleare dopo la crisi del petrolio dovuta alla guerra del Kippur nell’ottobre del 1973. Nel giro di una decina di anni hanno costruito la maggior parte dei reattori e oggi sul loro territorio ne sono presenti 56, che coprono il 72% del fabbisogno energetico. Il mix francese è ottimale dal punto di vista climatico. Tutto il carico di base viene coperto dal nucleare e l’energia in eccesso viene venduta ai paesi confinanti, tra cui figura l’Italia. Non a caso la Francia è il primo net exporter di energia al mondo e guadagna cifre ragguardevoli dalla sua vendita. La quantità di rinnovabili installate è ottimale per coprire i picchi, mentre il gas serve solo per sopperire ai momenti in cui la domanda è particolarmente elevata. Grazie all’energia nucleare, i francesi sono stati praticamente immuni alle recenti oscillazioni del prezzo del gas. Lo scorso 9 novembre, il presidente Macron ha ribadito di voler percorrere ancora la strada del nucleare e ha annunciato la costruzione di altre centrali nucleari (nel 2019 si ipotizzavano 6 nuovi reattori). Inoltre, per i motivi appena citati, il presidente si è battuto strenuamente affinché il nucleare venga inserito nella tassonomia della finanza sostenibile. 

 

Electricity Map

da Electricity Map

In conclusione, per visualizzare meglio ciò di cui abbiamo appena parlato, vorrei consigliarvi il sito di Electricity Map (disponibile anche sotto forma di applicazione), una piccola start-up franco-danese, il cui obiettivo è quello di aiutarci a visualizzare l’impatto climatico che hanno le nostre scelte nel settore energetico. Sul sito è possibile, attraverso una scala di colori, verificare in tempo reale l’intensità di carbonio emessa dai mix energetici dei vari paesi. Cliccando su ciascun paese e sulle varie fonti è possibile vedere l’energia installata per ciascuna fonte e l’energia prodotta da queste in tempo reale. Per i più curiosi, più in basso ci sono dei grafici che mostrano i prezzi del kWh durante tutto l’arco di una giornata. 

Il lavoro svolto da questa start-up è encomiabile perché ci fa toccare con mano la bontà del mix energetico di un determinato paese e ci fa comprendere meglio quali sono le migliori strategie nella lotta ai cambiamenti climatici. 

 

Per approfondire

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L’immagine di copertina raffigura la centrale nucleare svizzera di Goesgen

 

Lorenzo Mori

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Lorenzo Mori

Studente di Scienze e Tecnologie Geologiche all'Università di Pisa. Cerco, nel mio piccolo, di sensibilizzare le altre persone sugli effetti del cambiamento climatico e su alcune possibili soluzioni, curando la rubrica "Qui e ora" sul blog di Uni Info News.

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