14 Novembre 2024

Il popolo è quella comunità che vive all’interno di un determinato territorio”. È da questa semplice ed elementare definizione che parte il ragionamento introduttivo di Matteo Vivoli, presidente del Circolo di cultura politica “Aldo Moro”, dopo la presentazione degli ospiti e del tema da parte di Antonio Melani, presidente delle ACLI livornesi. Il popolo nella democrazia moderna è stato l’oggetto di discussione dell’incontro organizzato dalle ACLI di Livorno. L’evento, tenutosi nella Sala delle Feste del Grand Hotel Palazzo giovedì scorso, è stato presieduto e introdotto proprio da Antonio Melani e da Matteo Vivoli. Gli ospiti chiamati a dire la propria su questo ampio argomento sono stati Francesco Dal Canto, professore ordinario di Diritto Costituzionale dell’Università di Pisa, Marco Taradash e Alessandro Cosimi. Questi ultimi due erano stati avversari politici nelle elezioni amministrative del 2009, vinte da Cosimi.

Partendo proprio dalla definizione iniziale, Matteo Vivoli analizza la crisi della comunità, ma soprattutto dell’individuo stesso che va a creare la comunità. L’individuo ha smarrito la propria funzione sociale, come evidenziato dai dati di affluenza alle elezioni. La partecipazione è di fatto precipitata e anche chi continua a partecipare lo fa soprattutto per inerzia e per senso del dovere. Ciò sarebbe causato dal fatto che i soggetti ai quali sono rivolti i voti non andrebbero a detenere realmente una posizione di potere tale da agire concretamente sulla comunità. La perdita di un’identità collettiva va a condizionare negativamente la progettualità a lungo termine in favore di interessi individuali immediati. La politica sembra essere colpevole di questo processo, ma Vivoli crede che la democrazia sia comunque la strada giusta da seguire. La soluzione sta nel rafforzare i canali di partecipazione facendo in modo che la democrazia non si manifesti solo nella cabina elettorale. Per arrivare a ciò, secondo Vivoli, c’è bisogno di una rivoluzione etica che miri alla ricostruzione della comunità e alla distinzione fra individui e potere.


In seguito prende la parola il professor Dal Canto, che va a definire il ruolo del popolo nella democrazia moderna: il popolo deve essere sovrano. È un sovrano che oscilla fra due poli, fra due rischi: da un lato c’è un sovrano onnipotente, senza limiti, e dall’altro un sovrano assente, apatico. Le democrazie di oggi dovrebbero trovare l’equilibrio fra questi due poli. Lo strumento principale per sintetizzare i due estremi è stato individuato più di due secoli fa nella democrazia rappresentativa. Essa non è stata considerata perfetta nemmeno all’inizio, ma oggi sembra più che mai in crisi. Gli interessi da rappresentare sono sempre di più e il rischio di cadere nell’eccesso o nel difetto di rappresentanza è sempre maggiore. Lo Stato costituzionale viene creato proprio per regolare la sovranità popolare. Come recita l’Art. 1 della nostra Costituzione, la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione stessa. La Costituzione infatti prevede argomenti intoccabili anche dalla maggioranza, così come prevede organi di garanzia in cui la maggioranza non entra minimamente. Questi strumenti permettono di contrastare un’eventuale onnipotenza della maggioranza. Dall’altra parte la Costituzione prevede anche istituti di democrazia diretta che possono essere di supporto alla democrazia rappresentativa per restituire pezzi di sovranità al popolo. Altro concetto base per la democrazia rappresentativa è quello dei partiti. Infatti i partiti sono l’anello di congiunzione fra rappresentati e rappresentanti. Il problema è che anch’essi stanno vivendo una crisi. La critica del professor Dal Canto si fa più amara proprio su questo argomento. A detta di Dal Canto i partiti stanno fallendo il loro compito perché assenti nella società civile ma ancora presenti nelle istituzioni. Il professor Dal Canto non vede altre soluzioni oltre al rafforzamento degli strumenti di partecipazione politica e al rinnovamento della fiducia nei partiti, per quanto possa risultare difficile in questo periodo storico.

L’intervento di Marco Taradash si dimostra molto più politico rispetto al precedente. Innanzitutto sottolinea che la democrazia rappresentativa non presuppone per forza la volontà della maggioranza ma implica la volontà della più forte minoranza all’interno del popolo. Mette poi in dubbio la volontà nazionale in quanto crede che essa sia solo il risultato della somma di molteplici volontà individuali. Taradash inoltre riconosce due grandi fenomeni che hanno modificato la situazione democratica: la fine dei partiti di massa, e quindi la fine dell’ideologia carismatica al posto del leader carismatico, e la globalizzazione, che ha portato enormi benefici ai paesi più poveri, ma che ha reso più deboli alcune strutture portanti dell’economia. Le risposte generali che alcune forze politiche danno a questi problemi sono solitamente il sovranismo o l’indipendentismo. Secondo Taradsh sono risposte effimere e poco efficaci. In Italia in più c’è una particolarità rappresentata dal Movimento 5 Stelle. La forza da non sottovalutare del Movimento 5 Stelle e la mancanza di selezione secondo il credo dell’ “uno vale uno”, dove si raggruppa qualsiasi corrente che sia contro la democrazia rappresentativa . Questo porta ad un’entrata nelle istituzioni di un personale non qualificato(qui Taradash non risparmia le critiche al Sindaco Nogarin). Quella dei 5 stelle resta però una risposta efficace, anche se catastrofica a detta di Taradash, a cui la democrazia diretta non ha saputo controbattere. La filosofia dietro al Movimento 5 Stelle è proprio quella di Rousseau(non a caso il nome della piattaforma) dove la volontà generale viene espressa solo nel momento del voto, senza alleanze, senza fazioni, senza partiti e senza sindacati. Le soluzioni date dal centrodestra e dal centrosinistra attuali non convincono Taradash, che invece loda i radicali e Energie per l’Italia di Stefano Parisi. Altro fattore determinante è l’inefficacia delle leggi elettorali dal 2006 ad oggi, che secondo Taradash dovrebbero assolutamente prevedere la scelta dei rappresentanti in Parlamento da parte degli elettori. In seguito punta il dito contro la seconda parte della Costituzione e contro il “No” scelto dai cittadini lo scorso Dicembre.

Alessandro Cosimi riparte dal concetto “uno vale uno” come visione che prevede l’eliminazione delle élites. Secondo Cosimi pensare che la via dei partiti sia l’unica è sbagliato in quanto ci sono teorie che superano già il sistema partitico, come quella del sorteggio. La tesi di Cosimi è che il Movimento 5 Stelle esiste perché in Italia non esiste un concetto di Stato non come fatto etico, ma come un pacchetto di questioni condivise che un governo cerca di mantenere. Cosimi porta l’esempio di un governo Berlusconi che non deve essere considerato per forza delinquente, ma comunque interessato a mantenere un certo equilibrio delle cose. L’ex sindaco di Livorno sottolinea l’importanza del leader, del capo che si rapporta alla massa grazie ai corpi intermedi, messi invece fortemente in discussione dai 5 Stelle. Cosimi però si dimostra anche sinceramente stupito in positivo dalla piattaforma Rousseau. La speranza di Cosimi è quella di costruire una categoria di intellettuali dentro un mondo che spesso li denigra, a prescindere che essi siano di destra o di sinistra, per consentire alle istituzioni di ricreare un rapporto vero con le realtà locali.

Durante l’incontro gli spunti sono stati molteplici e in gran parte condivisibili. È innegabile che i cittadini si sentano distanti anni luce dalla politica attuale. Le élites hanno perso piglio sull’elettorato e ciò ha consentito a vecchie e nuove forze politiche antisistema di trovare maggiori consensi. Non è questo il luogo dove trattare le bontà di tali soluzioni, ma è certo che le soluzioni fornite dai partiti “classici” sono senza dubbio insufficienti. Chi non si rispecchia nelle soluzioni sovraniste o, nel caso italiano, nei 5 stelle, fatica veramente ad appassionarsi ad una qualsiasi fazione politica. Gli astenuti sono inevitabilmente la fetta più grande dell’elettorato e gli unici che sembrano avere margine di miglioramento sugli astenuti sono proprio i 5 Stelle, più per il concetto di novità che portano intrinsecamente che per meriti politici. La causa principale della crisi della democrazia rappresentativa e di conseguenza dei partiti, è la bassissima qualità della politica negli ultimi anni. L’esempio più eclatante è quello della legge elettorale: il Rosatellum, che sembra non soddisfare né la questione della rappresentatività né la questione della governabilità, è stato preceduto dall’Italicum, fallito in seguito alla bocciatura referendaria della riforma costituzionale dello scorso Dicembre . La colpa dell’asimmetria fra i criteri elettorali di Camera e Senato non può essere accollata a chi ha votato “No” per la riforma della Costituzione, ma deve essere inevitabilmente ricondotta alla cecità di una politica che ha legato la legge elettorale alla vittoria referendaria senza considerare la situazione in caso di sconfitta. Prima la politica migliorerà in termini di qualità e di responsabilità, prima riacquisterà credibilità e quindi seguito in termini di partecipazione. Le ACLI livornesi da questo punto di vista stanno già facendo molto, promuovendo questi incontri di discussione politica nel tentativo di coinvolgere sempre di più il popolo nelle questioni politiche.

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Rodolfo Ortolani

Studente livornese di Scienze Politiche all'Università di Pisa. Analisi e opinioni sulle mie due passioni: sport e politica.

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