28 Aprile 2024

Il concerto del primo maggio è da sempre il luogo privilegiato per discorsi impegnati da parte degli artisti e le conseguenti polemiche da parte del sistema politico. Sono diversi gli artisti che nel corso degli anni hanno utilizzato quel palco per denunciare condizioni di sfruttamento dei lavoratori, di ingiustizia sociale, o per sollevare altri temi politici più o meno fruibili al grande pubblico. Molti sono anche gli artisti che sono stati censurati, come Elio e le Storie Tese nel 1991, ad esempio, ma d’altra parte la tv pubblica ha sempre chiesto il rispetto delle condizioni minime di contraddittorio come fondamento della propria approvazione/censura politica, meccanismo che, a torto o ragione, è sempre esistito, e che ha fatto di alcuni artisti dei martiri della libera espressione. Quest’anno il concertone, nelle forme consentite dalla pandemia, è stato qualitativamente e artisticamente un buon spettacolo. Ad esempio mi ha emozionato molto sul fronte della denuncia sociale l’esibizione de La Rappresentante di Lista da Termini Imerese, la fabbrica dismessa della Fiat vicino Palermo, oppure sul fronte artistico l’esibizione acustica di Colapesce e Dimartino con Angelo Trabace alle officine meccaniche.

Al di là delle note di valutazione personali, è evidente come del concerto del primo maggio il momento più discusso, e non a caso successo nell’ora di punta della diretta, sia stato quello dell’esibizione di Fedez. I fatti saranno già noti ai più, ed entrando nel merito di quella che vuole essere una valutazione libera e critica del siparietto mediatico, credo che Fedez, pur essendo un privilegiato, ma libero, artista, abbia avuto molto coraggio nel fare quello che riteneva più giusto, al costo di andare contro la Rai e di sobbarcarsi tutte le conseguenze legali delle proprie parole (e post), almeno lui che se lo può permettere economicamente parlando. Ma se ci addentriamo nel merito delle parole di Fedez, notiamo che nella parte non censurata del suo discorso emerge il paragone tra la tempestività con cui Draghi è intervenuto sulla Superlega di calcio e la lentezza del sistema politico nel fare altrettanto con il mondo dello spettacolo, come se fare qualche comunicato e un piccolo lavoro di mediazione per bloccare la Superlega, sia paragonabile all’organizzare una ripartenza strutturata per il mondo dello spettacolo. Discorso un po’ scontato e superficiale, ma l’istanza sollevata non può che essere condivisibile, anche se non nuova, basti pensare allo Stato Sociale a Sanremo, al progetto Ultimo Concerto o alla stessa raccolta organizzata da Fedez e altri per i lavoratori del mondo della musica.


Nella seconda parte del suo discorso, quella che doveva essere censurata, Fedez ha chiesto all’onorevole Ostellari di sbloccare la discussione del Ddl Zan in Senato, ed ha poi proposto una carrellata di nomi di politici leghisti che nel corso degli anni hanno proferito parole di odio e violenza inenarrabili contro il mondo LGBT, per poi terminare con un attacco all’associazione ProVita, al Vaticano, ecc. Tutto condivisibile, ma se lo avesse detto – si fa per dire – Ermal Meta, non avrebbe destato nessun scalpore, ma se rileggiamo i fatti, a destare scalpore non è il contenuto di quello che Fedez doveva dire, perché è un artista, un influencer, non un politico, quanto la tentata e controproducente censura da parte della Rai, che si è scontrata con il suo potere mediatico, e anche qui niente di nuovo.

Finito il suo discorso i social hanno iniziato a riempirsi di ringraziamenti a Fedez per il coraggio che ha avuto nel sollevare certi temi nonostante la censura impostagli, e addirittura acclamandolo come megafono nonché prossimo leader della sinistra italiana, in effetti in quel momento era facile esser travolti dall’onda emotiva che ha attraversato il paese da nord a sud, ma il pensiero critico vuole che ci si ponga in maniera lucida sui fatti, senza lasciarsi condizionare dai propri appetiti emotivi.

Come già detto, pur non stracciandomi le vesti ritengo più che opportuno quello che Fedez ha fatto, visto che se n’è assunto la responsabilità e che comunque ha sollevato istanze condivisibili, ma per spiegare il senso della mia critica non rivolta a lui, mi limiterò a ricordare chi sia. Fedez è un artista che scrive canzoni, conduce programmi televisivi, un podcast di intrattenimento molto carino e vari altri progetti. Per mantenersi, oltre a tutto quel che già è stato elencato, Fedez essenzialmente utilizza i social network per guadagnare promuovendo beni di consumo, e come lo fa? Rendendoci partecipi della sua vita privata e famigliare, creando così una sorta di affezione che spinge gli user (non a caso uso un termine del marketing) a seguirlo, e sempre di più. In poche parole è come un mercato vivente, quello che oggi è il mestiere degli influencer, ovvero di colui che essendo molto seguito sui social riesce a dettare le mode, e per questo viene contattato dalle aziende per promuovere prodotti. Ora, gli influencer, prima in USA poi in Europa, hanno capito che ci sono temi che polarizzano molto consenso, pensiamo ad esempio alla sostenibilità nel mondo della moda e all’exploit in borsa di sua moglie Chiara Ferragni nel c.d.a. di Tod’s, o nel caso di Fedez ai temi legati ai diritti civili.

Se ci pensiamo nella nostra società il tema dei diritti civili crea molta identità, soprattutto tra i giovani e i giovanissimi, ed è per questo che gli influencer che parlano di diritti prima o poi compaiono nelle stories di quasi ogni under 30 con un profilo Instagram. Quello che dicono è oggettivamente molto condivisibile, e se ogni tanto il contenuto risulta divisivo lo è in modo che la maggioranza stia comunque con loro. Sono per lo più chiacchiere alla portata di tutti, dirette, messe in campo con uno stile divulgativo e pesato, ma che mai sfiorano i temi ben più complessi della nostra società.

Il problema dunque non sono Fedez o più in generale gli influencer e i divulgatori del web che parlano sempre e solo di questi temi, che comunque fanno la loro parte per una buona causa, ma il vuoto di identità, di interesse e d’opinione attorno ad altri temi altrettanto fondamentali e anche più rappresentativi del concertone, come il lavoro e più in generale i temi sociali. Siamo nel momento peggiore per la disoccupazione, molti giovani non hanno idea del dove indirizzare il proprio futuro lavorativo, ci sono famiglie che non riescono neanche a nascere e mettere al mondo figli, il precariato è sempre più diffuso, ma di questi temi non parla mai nessuno, giovani compresi. In questo discorso però la mancanza non è di Fedez, ma degli esponenti politici di sinistra, che lo hanno esaltato e strumentalizzato come un nuovo condottiero della sinistra, ma se ci pensiamo essere di sinistra e fare politica non può che passare dall’accendere i riflettori sulle ingiustizie che vivono le persone che un lavoro non ce l’hanno o che ce l’hanno precario, di tutti quelli che non riescono ad arrivare a fine mese o che sono in difficoltà. Quando la maggior parte dell’establishment dei partiti di sinistra riempiono le bacheche dei social di post dove esaltano le doti politiche di Fedez, andando quindi oltre la mera strumentalizzazione politica, la dicono lunga sull’incapacità del sistema politico di stimolare il dibattito attorno ai temi necessari del lavoro, e unire il consenso attorno a questi.

Ma come può la sinistra unire il consenso dei lavoratori sfruttati se il proprio idolo (Fedez) fa da testimonial ad Amazon, azienda recentemente accusata di sfruttamento con duri scioperi da parte dei propri dipendenti?


Forse il problema non è nemmeno la politica ma la società, perché probabilmente alla nostra società non interessa più parlare in modo diffuso di precariato, lavoro, sfruttamento, povertà, e in generale dei temi complessi della politica. Perché oggi di questi temi ne parlano solo gli addetti ai lavori, o chi è toccato direttamente dalle ingiustizie, chi non lo è invece si limita a fare da commentatore ai temi più polarizzanti del momento, che sono i temi più leggeri, anche se non meno importanti, temi che per come vengono trattati in pubblico richiedono – solo apparentemente – meno fatica, meno conoscenze, meno competenze, meno approfondimenti e su cui tutti si sentono di avere un’opinione definita. D’altra parte però è anche vero che il palco di piazza San Giovanni è sempre stato oggetto di queste critiche, solo che gli argomenti erano diversi, e i tempi cambiano, cambia la società e cambiano le battaglie politiche, e purtroppo o per fortuna nella nostra società chi ha tempo da dedicare al web e alle battaglie degli influencer è chi se la passa abbastanza bene: chi ha una casa, un telefono, una connessione, magari un lavoro, e spesso gode di tutti i privilegi che a molti sono negati, e le loro interazioni fanno così tanto rumore che l’establishment politico di sinistra, in piena crisi di identità, è costretto a convergere su questi temi, perché il clamore mediatico chiama voti, e così la politica – per lo più sinistra e M5s – tende a spostarsi verso gli influencer, cioè verso chi ha più potere mediatico, e anche su questo, in conclusione, non c’è niente di nuovo.

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