27 Luglio 2024

Qui su Uni Info News, il mercoledì è dedicato agli scrittori: con cadenza settimanale, verranno pubblicati racconti e poesie di giovani autori da tutta Italia, selezionati dalla nostra redazione! Oggi abbiamo un racconto breve di Moisés Bassano. Buona lettura!

Scrivi poesie o racconti brevi? Contattaci all’indirizzo giulia.pedonese@uninfonews.it ricevi un commento dalla redazione e pubblica con noi!


 

De Nomadikvěda

(Trattato ottico-averroista scritto tra la Moravia e il vuoto)

 

In un palazzo settecentesco di Benidorm, fatto edificare da un alto funzionario della szlachta, abitava… [non penso in suddetta città esistano edifici simili!] … in un palazzo settecentesco –  stavo scrivendo prima che un rumore mi interrompesse – abitava in un appartamento di dieci vani, qualche tempo fa, Adrian Kavlari, un professore originario di un indeterminata città della Mitteleuropa, forse erede di qualche nobile polacco [lo stesso di prima?].

Kavlari, [sarà forse Caslari?] si trovava nella città spagnola probabilmente per importanti affari, [strana specie i professori che si buttano nel business.] ma in verità, non ricordava da tempo perché si trovasse là, e cosa ce lo avesse spinto. Tormentato da questo dilemma, Kazlari, finì per non uscire più dal suo appartamento, o meglio dalla sua stanza, perché il suo appartamento era composto solo da una camera [non era un “appartamento di dieci vani”?] occupata interamente da pile di volumi polverosi che si innalzavano fino al soffitto, e al soppalco, dove v’era il letto. L’edificio, era parte di un enorme complesso residenziale, costituito da grigi blocchi, frequenti in tutti i paesi ex comunisti che facevano parte del Blocco di Varsavia [siamo ancora in Spagna?].

Una notte, mentre Kazlari era immerso nella consultazione dei suoi libri, sotto la luce fioca di alcune candele – poiché la casa essendo abbandonata da anni, ed occupata abusivamente, era priva di luce elettrica – bussò qualcuno alla porta, o meglio la porta cadde giù, o forse la porta non c’era e colui che bussò entrò direttamente nel suo studiolo [ordine, prego!]. Kazlari non sentì bussare, o non si accorse in un primo momento, della persona che irruppe nel suo appartamento. La casa, isolata nella foresta morava o nel centro dei Carpazi [?], era vecchia e in legno [?], il vento infuriava fuori, e frequentemente si sentivano spifferi, rumori spettrali, e miagoli prolungati di gatti in amore, perché Kazlari possedeva molti gatti, lasciati come unica eredità (oltre ai libri) dai genitori,  di cui però aveva dimenticato il numero esatto… e non era difficile inoltre, sentire il rumore delle onde che proveniva dalle vicine spiagge [?]. Dunque, dove eravamo rimasti? [se non lo sa lei Mijhneer..]- Già, Kazlari, con la schiena curva e gli occhi persi tra file di lettere stampate e numeri, fogli e libri che arrivavano fino al soffitto, cercava dei riferimenti bibliografici per la sua dissertazione, sui vodníci, delle piccole creature simili a folletti, che incontrava sovente nei boschi e nelle birrerie morave. Quando, appunto, l’odiosa padrona di casa, la signora Woznik seguita da un uomo con un impermeabile beige e un sigaro in bocca, entrò nella sua stanza… [era una casa disabitata, seppur inizialmente si trattasse di altro]. No, è vero, non si tratta della signora Woznik, che deve aver sbagliato porta. [me ne occupo subito:

–  Signora Woznik, la prego, esca da qui!

– Signora Woznik: ma come si permette? Il mio inquilino Alfred Katz è da cinque mesi che non paga l’affitto!

– Mi dispiace, ha tutto il mio affetto e la mia solidarietà, ma penso che abbia sbagliato racconto, il personaggio di cui sto raccontando è Adrian Kazlari.


– E’ lo stesso, chiunque sia, deve pagare!

La Signora Woznik imprecante, viene fatta uscire cortesemente dallo stesso signore con l’impermeabile beige da lei chiamato]

Allora stavo raccontando, qualcuno entra nello studio di Alfred Katz [Sign. a Woz. (fuori campo): lo dicevo io!]. No, no, che confusione! Di Adrian Kazlari, alle prese con il suo romanzo [dissertazione]. E’ notte, sono circa le tre, l’ora in cui nei romanzi gotici e nei film horror, accadono i fatti più tremendi. Kazlari dormiva solo qualche ora allo spuntar del sole, in realtà Kazlari, non distingueva più bene il passare dal giorno alla notte e viceversa, non vi faceva granché caso, generalmente si addormentava direttamente tra le pagine dei suoi libri [e non mangiava mai? Non è importante se mangiava o meno!] quando ormai gli occhi si chiudevano inconsapevolmente, e lui non riusciva più a sforzare la vista, e le sue lenti divenivano uno strumento inutile, perché è naturale, che anche con gli occhiali, non vediamo quando dormiamo. A proposito, il padre di Kazlari era un ottico, un rinomato ottico di Przemyśl, a sua volta cantore presso la comunità hassidica del luogo, erano di umili origini ma possedevano molti gatti… questo non è importante, è vero! Avevano qualche oca che scorrazzava nel cortile della casa in legno. I cosacchi poi distrussero tutto, uccisero le oche, bruciarono la casa… e poi si portarono via anche i gatti, o forse i gatti scapparono, come i genitori di Alfred, perdonatemi Adrian [ma poi si chiama realmente così? Avevo in mente altri nomi. In effetti il vero nome è Eliezer], fuggirono in America, a Brooklyn, o a Brucculinu come la chiamavano i siculo-americani [ma cosa c’entra con questa storia?]. Adrian una volta diventato adulto, dopo aver conseguito un titolo accademico alla Yeshiva University, tornò nel cuore dell’Europa [dove non è ancora ben chiaro? Nella Comunitat Valenciana, nell’Ex DDR o in Rep. Ceca?], per poi per cosa? Per rinchiudersi solitario in quell’alveo fatiscente [in ogni caso]. Forse, Adrian prima di trovarsi, dove si ritrovò, peregrinò a lungo per l’Europa, alla ricerca di qualcosa, delle proprie origini o di una patria inesistente, potrebbe essere. Immagino il vagabondare di Adrian Eliezer, tra stazioni avveniristiche della Germania, tra i turisti e le folle delle grandi città, su treni veloci o guasti e sgangherati, tra cimiteri abbandonanti ricoperti di sterpaglie e luoghi ormai non più esistenti o mai esistiti, vestito con un caftano rattoppato e un cappello fuori moda, una valigia vuota o riempita solo di libri, somigliante a uno zingaro, a un santo, a un matto, o a uno schnorrer, o tutte queste cose insieme, che dorme dove capita e scompare continuamente da un luogo all’altro [questo assomiglia più allo Yoshe Kalb di I. J. Singer]. In realtà Adrian, più che un asceta è un topo di biblioteca. Ma ognuno si faccia di lui l’immagine che più gli aggrada, come i sogni, la prima interpretazione che si da è vera [cito forse il Talmud]. Quindi, qualcuno era entrato nella sua camera [una delle poche cose certe fino ad adesso]. Adrian non si accorge di niente, fino a quando quel qualcuno, non gli toglie il libro che ha davanti. Adrian non si scompone, e volge l’attenzione sul libro che v’è sotto, e quel qualcuno toglie poi anche quello, e così ancora, fino a quando quel qualcuno finalmente gli si mostra per quel che realmente è. Ora una breve pausa, vorrei che chi sta leggendo, partecipasse a questo processo creativo con la propria fantasia, ipotizzando prima di andare avanti con il racconto, chi potrebbe essere questo “qualcuno” che disturba alle tre di notte, in una chata [è il nome corretto per definire una sorta di cottage vernacolare in legno dei Beskydy e dei Tatra] nella foresta della Moravia, o in un plattenbau, o in un palazzo settecentesco di Benidorm, in qualunque luogo, il povero Adrian Eliezer Kazlari sprofondato nei propri studi.

Esponiamo e analizziamo adesso le vostre ipotesi e congetture, che mi sono state recapitate cortesemente per posta prioritaria.

1)  Il 40% di voi ha scritto: Uno spettro. Viste le dinamiche dell’incontro è probabile, ma è una conclusione troppo affrettata, esistono poi vari tipi di spettri: abitanti precedenti di appartamenti con conti in sospeso, ragazze murate vive, ombre, poltergeister, anime animali o vegetali reincarnate, demoni, doppelganger… la fenomenologia sull’argomento è vastissima, e bisogna invece annullare le conclusioni troppo approssimative o complicate. Dunque probabilmente, non si tratta di uno spettro. Ma non per forza l’entità in questione deve essere necessariamente in carne ed ossa (potrebbe avere solo ossa! O solo carne!). Non è invece da escludere, che Adrian sia invece uno spettro.

2)  Il 25% di voi ha scritto: La fidanzata o la moglie di Adrian! Eh già, siamo un po’ tradizionalisti. Ma da nessuna parte ho/è scritto che Adrian abbia una fidanzata o una moglie a casa, e poi dove pensate di essere in un film hollywoodiano? : La pedante moglie disperata in cerca del marito fuggito con l’amante, che però lo ritrova nella foresta morava sepolto dai libri [forse, l’amante è nuda sotto i libri]. Ma che assurdità!

3)  Il 20% di voi ha scritto: Il detective Colombo. Sì in molti hanno pensato che si trattasse proprio del Detective Colombo, ma in realtà il Detective Colombo era l’uomo con l’impermeabile beige insieme alla Signora Woznik.

4)  Il 10% di voi ha scritto: Il gatto Hedì Shakar ibn El-Nahor sotto sembianze di un pellegrino in cerca di ospitalità.

5)  Il restante 5% di voi ha scritto: Il nobile polacco. Già, ma chi l’ha interpellato? Io non di certo.

Visto che, ahimè, non l’avete indovinata una, non resta altro che proseguire con il racconto.

Dopo altri mulinelli e vani tentativi da parte di quel qualcuno di farsi riconoscere da Prospero [Adrian Kazlari]. Sì, ho scritto riconoscere, perché a quanto pare, Adrian conosceva già quel qualcuno; finalmente, Adrian si accorge della sua presenza nello studiolo, ma non pare per niente sorpreso. Perché quel qualcuno… non è altri che……………………… lui stesso, che sta cercando lui stesso. Sì, spieghiamo meglio, tornando indietro nel racconto ho accennato alle numerose peregrinazioni di Adrian in giro per l’Europa. E’ evidente che debbano esistere due Adrian, uno in potenza e l’altro in atto, uno che erra in cerca della propria realizzazione l’altro che, nonostante non sia ancora ben chiaro come, si è comunque realizzato. Ma nel momento che i due Adrian(i) si incontrano le due forme si  scambiano di posto, l’Adrian errante diventa l’Adrian che ha trovato il suo telos, l’Adrian stabile invece deve ripartire dall’inizio, perché ha appena incontrato se stesso o un altro se stesso di cui comunque non aveva ben chiaro l’esistenza, il se stesso che ricerca se stesso, dunque l’Adrian stabile torna in potenza recupera il suo caftano malandato sepolto dai libri, e il suo cappello sgualcito, e si precipita frettolosamente fuori, nella notte, con la pioggia e la grandine che cade a catinelle e il vento che infuria scuotendo gli alberi, o altrimenti scende in strada, ed è già giorno, ritrovandosi perduto in mezzo agli alti palazzi di Benidorm. L’Adrian il fu errante si immerge invece nei libri, continuando la tesi dell’altro. Questa storia, potrebbe andare avanti all’infinito direte voi, vi sarà nuovamente un giorno in cui i due si ritroveranno, e si scambieranno nuovamente le parti eccetera eccetera… può darsi. Ma in verità non è proprio così, perché l’Adrian fu stabile, adesso errante, diventa improvvisamente cieco [Mi chiederete perché. Ma voi rimarreste sani dopo aver visto voi stessi , la vostra ombra, o quel che è? – forse anche l’altro lo era, ma non è dato da sapere, perché stiamo seguendo il suo percorso], tentenna dunque in mezzo agli abeti e ai precipizi, convinto di aver perduto gli occhiali o di averli lasciati nella chata. Al contrario, di ciò che potreste ipotizzare, non se ne fa comunque un problema, perché Adrian Kazlari è un convinto averroista [questa poi!] sostenitore di una particolare concezione di monopsichismo, e dell’esistenza di un’unica anima e di un unico intelletto, dove il singolo individuo [con il suo pensiero] non è altro che una sua manifestazione che partecipa ad essa. Basterà allora pensare, vedere attentamente nella propria mente, per connettersi al tutto e all’unico intelletto, che comprende ogni cosa, quindi anche gli alberi e il sentiero sotto i piedi. Dopo qualche ora [non si sa come] giungerà in un villaggio di tre case, probabilmente al confine con la Slovacchia, nei Beskydy, uno degli abitanti, di nome Tibor, scuro di carnagione come un Rom [il villaggio è abitato evidentemente da zingari], con addosso una pelliccia di orso bruno [alla faccia del pericolo di estinzione!] e una bottiglia di Wod(k)a in mano, lo accoglie alla porta di una stamberga di legno marcio rosicato dai tarli e con il tetto sfondato, e lo invita ad entrare [monopsichismo]. Nella casupola alla luce di alcune candele e con il fumo nero proveniente dalla stufa che annebbia la sala, Tibor lo fa accomodare alla tavola, e gli confessa che è da molti giorni che era in sua attesa, che gli aveva già preparato la stanza nella soffitta, e che avrebbe potuto permanere là fino a quando avrebbe voluto [un po’ come la soffitta di Höller, in Correzione di Thomas Bernhard]. Adrian ringrazia, Tibor lo accompagna nella camera preparata a posta per l’ospite, dove in mezzo ad utensili di vario genere e merce di contrabbando, v’è un materasso rotto con alcune galline che vi razzolano intorno. Adrian vi si stende e si addormenta, ma il giorno dopo all’alba [che notte eterna!] scomparirà di nuovo, e la soffitta rimarrà nuovamente vuota. Adrian uscirà anche da questo racconto. [tutto qui? Questo sarebbe il finale? E’ qual’è la morale?].

Che lettori esigenti, no, non è finito, ho detto soltanto che non si parlerà più di Adrian Eliezer [almeno con questo nome]. In questo stesso momento mi sono pervenute numerose lettere: ci sono lettori che mi domandano “cosa sarebbe accaduto nella versione valenziana, o in quella tedesco-orientale, chi avrebbe incontrato Adrian al posto del montanaro Tibor..”. RISPOSTA: Beh, non lo so, ma non è importante, facciamo però [solo per accontentarvi] nella prima, un turista inglese che lo invita nella propria camera d’albergo insieme alla moglie e alla prostituta, nella seconda… l’Ispettore Derrick, che lo arresta [… poi però fugge], visto che siamo in tema di ispettori.  Più interessante, vi sono poi persone che mi hanno scritto sostenendo di aver sentito parlare o incontrato Adrian Eliezer in numerosi luoghi. Di averlo visto pregare come un devoto hassid in alcuni luoghi di culto – a Bukhara, si sarebbe presentato addirittura come il nuovo officiante, per poi scomparire dopo Motzei Shabbath – contemporaneamente, è stato anche visto a Victoria Station a Londra con una campanella in mano che richiamava i frettolosi pendolari invitandoli a comprare polverose cianfrusaglie e giochi di legno polacchi di poco conto, un altro afferma invece che sarebbe stato arrestato durante una retata in un campo Rom vicino Lilla, per poi “fuggire” anche dal carcere liberando anche gli altri clandestini, secondo la Gendarmerie. Su un treno tra la Turchia e l’Iran poi, presso il Lago di Van, un foto-reporter italiano [il suddetto giornalista aveva specificato, di essere in realtà, cittadino della libera Repubblica di Sardegna] dichiara di aver incontrato un venditore ambulante di cappelli che in un misto di russo, armeno, Yiddish e inglese newyorchese gli avrebbe fatto comprare ad ogni costo un cappello tirolese, a suo dire appartenuto ad un postiglione di Andreas Hofer. Un fazendeiro brasiliano, afferma addirittura, che uno strano individuo, dichiaratosi dirigente di una compagnia petrolifera statunitense ma dalla lunga barba e visibilmente cieco, avrebbe comprato interamente con tutte le carte in regola e milioni di dollari, una zona boschiva nello stato di Rondonia, evitando la sua distruzione da parte dei plantadores, e salvando così un villaggio tupi – guarani [per poi naturalmente dissolversi]. Le storie si susseguono all’infinito, le lettere continuano ad arrivare, quella che ho sotto gli occhi, è di un ex disoccupato andaluso, che dichiara che un tio [ che aveva più volte scansato ritenendolo un barbone] incontrato ad Atocha gli avrebbe restituito il lavoro al l’ufficio postale che aveva da qualche mese perduto.

Passiamo però alla mia esperienza diretta. Nell’ultima lezione del corso di Filosofia Medievale all’Università di Pisa, la segreteria avvisa gli studenti che il professor Busacca che tiene normalmente il corso, è assente e che al suo posto, vi sarà un sostituto, un certo Prof. Benjamin de Caylar. Nello stupore degli studenti, si presenta in aula, un individuo pallido e malaticcio di età indefinibile, con il volto scavato dal vento e i capelli impiastricciati neri come la pece, cieco ad entrambi gli occhi ma portatore di occhiali privi di una lente, con un caftano logoro privo di alcuni bottoni, un cappello fuori moda senza il nastro ma con al posto un cordoncino [Un tributo agli Esercizi di Raymond Queneau? Quanti plagi però] che non si tolse, e le scarpe distrutte da un lungo camminare, che in un misto quasi incomprensibile di judezmo bosniaco e rumeno sostiene di aver dimostrato empiricamente, la verità del monopsichismo. Silenzio. Uno studente [il sottoscritto] gli chiede:

– In quale modo sarebbe riuscito a dimostrarlo?

Il Prof de Caylar, risponde:

– Eu. Eu soj la prueba de acestei.

Ed esce indifferente dall’aula.

 


 

 

Ndr: Questo testo, anonimo, è stato trovato su un banco dell’aula 3, la sera stessa dopo quella lezione da un addetto alla pulizia dell’edificio di facoltà, che indecisa se buttarlo o meno, l’ha gentilmente consegnato il giorno seguente in segretaria, dopo averlo conservato una notte in casa propria. Non si escludono eventuali manomissioni o cancellature da parte del suddetto.

 

 

302650_4623112186421_1420034363_nMoisés Bassano, classe 1988, è nato nella Livorno delle nazioni. Studia letterature comparate, più nel tempo libero che nella preparazione degli esami. Collabora con un portale di informazione e cultura ebraica. Vive in una casa abitata da personaggi letterari ed altri demoni, in mezzo ad un giardino con una decina di gatti, dove tra questi si ritrova il vero artefice di ogni suo testo. Le sue passioni sono troppe, tra queste la letteratura mitteleuropea e l’antropologia culturale, ma anche le escursioni in montagna, il mare cristallino delle isole sul Tirreno, e un bicchiere di Porto sulla propria scrivania.

 

 

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Giulia

Giulia Pedonese, classe 1992, ha cominciato a scrivere prima di sapere la grammatica e, visto che nessuno è riuscito a fermarla, studia lettere classiche all'università di Pisa. Ama cantare, non ricambiata, e nel frattempo si è data un nome d'arte con i baffi.

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