8 Ottobre 2024

Umano e spirituale è stato lo spettacolo Messiahaendel, coreografato da Paolo Mohovich per la compagnia Eko Dance International Project, diretta dalla danzatrice e coreografa Pompea Santoro, ospitato sul palcoscenico del Teatro Verdi di Pisa lo scorso 22 febbraio.

 

MESSIAH di HÄENDEL

 

La storia dell’oratorio barocco Messiah di George Friedrich Häendel (1741), da cui ha preso ispirazione il coreografo Mohovich, è basata su alcuni momenti salienti della vita di Gesù: la Natività, la Crocifissione e Resurrezione ed infine una riflessione della sua vittoria sulla morte. I testi per il coro sono stati scritti da Charles Jennens riprendendo versetti biblici e passi dal Book of common prayer, il libro liturgico anglicano.


La prima parte del Messiah evoca la Natività del Messia, con un’Ouverture alla Francese che introduce un clima di tensione e carico di attese, fino ad arrivare a composizioni più distese e serene.

La seconda parte è invece dedicata alla Crocifissione e Resurrezione, con versetti presi dal Profeta Isaia che sottolineano il compimento delle profezie di Gesù. Questa parte termina con il famoso Hallelujah, una celebrazione del regno di Cristo, con passi ripresi dall’Esodo e dall’Apocalisse.

Concludono l’oratorio musiche e cori che preannunciano il ritorno del Messia, con un inno alla Resurrezione ed una meditazione sulla sconfitta della morte da parte di Gesù.

MESSIAHEAENDEL

 

La coreografia Messiahaendel di Mohovich non narra la vita di Gesù così come la conosciamo, ma è incentrata sulla ricerca della spiritualità da parte dell’uomo e la sua costante aspirazione verso la perfezione divina. Questo dualismo tra spiritualità e umanità è ciò che i danzatori hanno cercato di restituire attraverso movimenti ripresi dalla modern dance, decisi e concatenati l’uno all’altro. Soprattutto i movimenti del busto e delle braccia avevano un ruolo principale nella costruzione delle frasi coreografiche dinamiche e spesso ripetute a canone, come se i loro gesti echeggiassero sul palco in un fluido riverbero.

Le tre scene dell’originale oratorio di Häendel sono state qui riadattate da Mohovich, che ha scelto di coreografare alcuni brani per la sua versione più umana, eliminando il celebre Hallelujah.

 

Nella coreografia erano riconoscibili alcuni riferimenti all’iconografia sacra, grazie alle gestualità allusive dei danzatori, come l’Ultima cena, con il tradimento di Giuda: mentre tutti i danzatori disposti su un’unica fila erano abbracciati di spalle al pubblico, una danzatrice vestita di nero ha eseguito il suo assolo fuori “dal coro”, nel proscenio, come fosse una novella minaccia.


Anche la Pietà poteva essere colta nel danzatore che, dopo una breve corsa da un angolo del proscenio, si è lanciato verso il gruppo posto sul lato opposto per poi essere “deposto” al suolo “inerme”.

Un altro passaggio interessante è stato il rallenty eseguito da tre coppie di danzatori: al battito di mani di una danzatrice, le coppie in scena hanno modulato la velocità del proprio movimento e la loro dinamica, come se il tempo fosse completamente nelle mani di questa donna-angelo.

Grande attenzione è stata inoltre dedicata all’esaltare la plasticità dei corpi, grazie all’utilizzo di precise disposizione prospettiche dei danzatori nello spazio scenico ed un sapiente uso delle luci, con tagli diagonali e forti contrasti chiaroscurali, che hanno reso i danzatori materiali, fisici e terreni.

Un’atmosfera sicuramente dinamica e vitale che non lasciava spazio a lirismi, ma solo alla libera interpretazione dei tanti personaggi in scena.

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Marta Sbranti

Marta Sbranti, classe 1989. Dopo il Diploma presso l'Istituto d'Arte Franco Russoli di Pisa mi sono laureata in Scienze dei Beni Culturali curricula storico-artistico. Ho conseguito la Laurea Magistrale in Storia delle Arti Visive, dello Spettacolo e dei Nuovi Media, presso l'Università di Pisa. La mia tesi di laurea "Musei e Danza" unisce le mie due grandi passioni la danza e l'arte, che coltivo fin da piccola.
"Toccare, commuovere, ispirare: è questo il vero dono della danza".
(Aubrey Lynch)

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