26 Aprile 2024

L’analisi che abbiamo iniziato negli scorsi mesi, concernente le fazioni che si contendono i campi di battaglia in Siria e in Iraq, non poteva non concludersi con l’entità che, ormai da oltre due anni, ha assunto la veste del volto del terrore e del male incarnato, soprattutto agli occhi dell’Occidente: l’autoproclamato Stato Islamico.

La prima cellula di quest’ultimo, nota come AQI (Al-Qaeda in Iraq) e composta prevalentemente da reduci del disciolto esercito di Saddam Hussein, cui l’amministrazione Bush aveva perfino negato il trattamento pensionistico, è stata fondata nel 2004 dal terrorista giordano Abu Musa’b Al-Zarqawi. Successivamente, nel 2006, ha assunto la denominazione di ISI (Stato Islamico dell’Iraq) ed ha inaugurato una nuova stagione di guerriglia contro le forze di occupazione e contro il regime sciita di Baghdad, dichiarando come scopo ultimo la secessione delle regioni centro-settentrionali del Paese, le quali avrebbero costituito il nucleo di un nuovo califfato islamista. Negli anni successivi, le fila dell’organizzazione si sono ingrossate a dismisura, accogliendo al loro interno non più solo ex baathisti iracheni, ma anche jihadisti provenienti da tutto il mondo musulmano, soprattutto dalla Cecenia e dai Paesi del Maghreb. Lo scoppio della Guerra Civile Siriana, avvenuto nel 2011, ha offerto poi un teatro operativo perfetto ai militanti dell’Isi, all’interno del quale questi ultimi hanno potuto affinare tattiche ed esperienze di guerriglia, oltre a stringere accordi con altri gruppi locali. Abu Bakr Al-Baghdadi, autoproclamatosi leader nel 2012, è salito alla ribalta internazionale quando ha dichiarato pubblicamente di essere intenzionato a fondere la sua fazione con il Fronte Al-Nusra, altra emanazione qaedista attiva in Siria e guidata da Abu Mohammad Al-Julani; in seguito al netto rifiuto opposto a tale ipotesi dal leader supremo di Al-Qaeda, Ayman Al-Zawahiri, l’Isi ha iniziato a muoversi autonomamente sul territorio siriano, fino al punto in cui le relazioni con la “casa madre” fondata da Osama Bin-Laden si sono definitivamente interrotte nel 2014.


FILE - This file image made from video posted on a militant website Saturday, July 5, 2014, which has been authenticated based on its contents and other AP reporting, purports to show the leader of the Islamic State group, Abu Bakr al-Baghdadi, delivering a sermon at a mosque in Iraq. On Sunday, Nov. 9, 2014, Iraqi officials and state television said al-Baghdadi has been wounded in an airstrike in western Iraq. An Interior Ministry intelligence official told The Associated Press on Sunday that the strike happened early Saturday in the town of Qaim in Iraq's Anbar province. (AP Photo/Militant video, File)

Da quel momento in poi, l’organizzazione di Al-Baghdadi ha assunto la denominazione che l’ha resa famosa nel mondo, ISIL (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante), ed ha dato il via ad una vasta campagna espansionista ai danni delle altre forze ribelli siriane, dei curdi del Rojava e del regime di Damasco. Nell’arco di pochi mesi, tra la tarda estate del 2013 e la primavera del 2014, i miliziani jihadisti hanno conquistato quasi tutta la Siria nord-orientale, stabilendo il loro quartier generale a Raqqa, sulle rive dell’Eufrate, ed iniziando ad infiltrarsi progressivamente anche in un Iraq apparentemente pacificato, ove hanno occupato pressoché senza colpo ferire Fallujah ed alcuni quartieri di Ramadi, nella provincia a maggioranza sunnita di Al-Anbar, ove si sono presentati come difensori del vero Islam, a loro dire bistrattato dall’esecutivo sciita al potere. Tuttavia, è stato nel giugno del 2014 che gli uomini di Al-Baghdadi hanno sconvolto il mondo, quando, forti di sole millecinquecento unità e del tutto sprovvisti di mezzi blindati, hanno sconfinato nell’Iraq del nord ed hanno conquistato quasi senza sparare la città di Mosul, difesa da oltre trentamila soldati. Con un discorso in diretta televisiva destinato a passare alla storia e tenuto nella simbolica cornice della più importante moschea della città, il leader dell’ISIL ha proclamato ufficialmente la nascita dello Stato Islamico, un Califfato di ispirazione salafita, diretto discendente dell’impero islamico del VII secolo. L’avanzata delle sue truppe è stata rocambolescamente fermata sulla via di Baghdad dall’intervento del generale iraniano Qasem Soleimani, mentre a nord-est, pressoché in contemporanea, le unità peshmerga curde hanno fatto altrettanto a pochi chilometri da Erbil, il loro capoluogo. In seguito, l’ingresso in scena della coalizione militare a guida americana con relativi raid aerei ha determinato, tra la fine del 2014 e l’alba del 2015, la prima, vera sconfitta sul campo dei miliziani in divisa nera, respinti dagli YPG curdi nell’assedio di Kobane, cittadina curda posta al confine tra Siria e Turchia.

All’apice della sua potenza, approssimativamente tra il giugno del 2014 e il maggio del 2015, lo Stato Islamico poteva contare, Immagine Isis 3secondo stime dalla provenienza più disparata, tra i trentacinquemila e i centomila combattenti, dislocati più o meno equamente tra Iraq e Siria ed equipaggiati sia con armamenti di fabbricazione sovietica, sottratti all’esercito lealista di Bashar Al-Assad e ad altre formazioni ribelli, sia, soprattutto, con equipaggiamenti statunitensi e dei Paesi della Nato, tra cui modernissime carabine M4, sistemi anticarro avanzati e carri armati M1 Abrams, dispiegati nello stupore generale sul fronte di Kobane; la disponibilità di mezzi di un tale livello è stata resa possibile con la tristemente nota fuga dell’esercito iracheno da Mosul, i cui soldati hanno lasciato sul posto armi, veicoli, munizioni e quant’altro prima di darsela a gambe. Le capacità belliche di questi miliziani sono state drammaticamente sottovalutate dagli analisti militari di tutto il mondo, come hanno recentemente ammesso anche fonti del Pentagono, che li avevano bollati, almeno all’inizio della loro tragica epopea di morte, come poco più che straccioni esaltati. Sapientemente guidati da veri e propri professionisti della jihad provenienti, oltre che dall’esercito di Saddam Hussein, dalla Cecenia, dalla Tunisia, dall’Algeria e perfino dallo Xinjang cinese, abitato dalla minoranza separatista islamica degli uiguri, hanno inferto ripetute sconfitte a tutte le altre fazioni in lotta nel teatro medio-orientale, abbinando le più classiche tattiche di guerriglia ad autentiche azioni di guerra convenzionale, con tanto di artiglieria da campo e di mezzi corazzati utilizzati in contemporanea; da circa un anno, tuttavia, questi ultimi non sono stati quasi mai più dispiegati, poiché, non disponendo fortunatamente i loro utilizzatori di armi antiaeree, costituivano un bersaglio troppo facile per i cacciabombardieri occidentali e russi. In particolare, molte battaglie sono state vinte grazie all’uso massiccio di furgoni corazzati riempiti di esplosivo e lanciati a tutta velocità contro le linee nemiche, così da scompaginarle con violente esplosioni e da permettere un tempestivo inserimento nei varchi delle “tecniche”, veloci pick-up con mitragliatrici pesanti e pezzi d’artiglieria montati sul cassone, una presenza fissa in tutti i conflitti a bassa intensità degli ultimi venticinque anni. Tattica, quella appena descritta, che ricorda in modo impressionante le cariche degli elefanti da combattimento cartaginesi nelle Guerre Puniche e che solo negli ultimi tempi, soprattutto grazie al coordinamento tra forze di terra siriane ed aerei russi, ha iniziato ad essere neutralizzata efficacemente.

In ogni caso, la tenacia fanatica mostrata sui vari campi di battaglia ha permesso ai combattenti di Al-Baghdadi non solo di conquistare, ma anche di mantenere a lungo un agglomerato di territori vasto come uno Stato di piccole-medie dimensioni, all’interno del quale il sedicente Califfato ha imposto un’applicazione rigida ed estremista della sharia, tasse e dazi, elargendo nel contempo servizi quali elettricità, sussidi e servizi idrici pubblici, mostrati orgogliosamente nei numerosi video di propaganda diffusi in rete. Tuttavia, nel corso degli ultimi mesi, la situazione si è fatta, fortunatamente per l’Occidente, sempre più difficile per i suoi accoliti. Sconfitte come quelle di Tikrit, di Ramadi, di Kobane, di Al-Shaddadi e di Baiji non solo hanno colpito duramente l’aura di invincibilità che li circondava e che aveva permesso di attrarre migliaia di foreign fighters dall’Europa, ma ha anche oggettivamente eroso il terreno su cui esercitavano il loro potere. E’ notizia di pochi giorni fa la riconquista della città patrimonio dell’umanità di Palmira, conseguita dall’esercito del raìs di Damasco con il decisivo appoggio dell’aeronautica russa, mentre altri reparti hanno fatto altrettanto con Al-Qaryatayn e, in Iraq, le forze del governo hanno iniziato le operazioni preliminari per la riconquista di Mosul. Molti importanti capi dell’organizzazione, militari e non, tra cui il geniale stratega Abu Omar Al-Shishani, sono stati uccisi in battaglia o in seguito a bombardamenti, con lo stesso Al-Baghdadi colpito e, pare, paralizzato a letto circa un anno fa. L’impressione è che, entro la fine dell’estate, il sedicente Stato Islamico, che ha perso in diciotto mesi quasi trentamila uomini solo a causa dei raid aerei delle coalizioni, sarà eradicato da Siria e Iraq. Tuttavia, la partita resta ancora aperta in Libia, ove, purtroppo, il Califfato nero, noto anche come Daesh in arabo, è ancora forte e saldo a Sirte e dintorni.Immagine Isis

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