19 Aprile 2024

Wunderkammer Cinématographique: Volume 4

Torna, dopo non pochi mesi, Wunderkammer Cinématographique (tradotto: La Stanza delle Meraviglie Cinematografiche) ovvero la rubrica cinematografica curata dal sottoscritto, assieme a quella orma nota come “All you Need is Cinema” che puntualmente, come sempre, esce ogni Sabato mattina.


Al contrario, infatti, della sua gemella di carta e inchiostro, questa serie di pubblicazioni non godranno di una costanza particolare, poiché l’idea, all’origine, era quella di scrivere, di tanto in tanto e per puro svago, un articolo che contenesse all’interno un massimo di 5 film recensiti con un massimo di 500 parolew8E’ sorta così la volontà di dare alla luce un qualcosa che, si spera, possa appagare voi lettori e incuriosirvi, dato che il più delle volte leggersi una recensione di troppe parole o particolarmente lunga può, ai più, apparire dispersiva, ripetitiva o addirittura eccessiva.

Con l’avvento, infatti, della nuova realtà virtuale, mi riferisco ai vari social network, si è sempre più portati a trovarci tra le mani un certo numero di concetti liquidati in un massimo di tre o quattro righe con modalità immediate. Pur considerando, almeno personalmente, la cosa in sé non troppo illuminate o lunsighierà, trovo abbastanza interessante tuttavia cercare di elaborare il modo per riassumere un giudizio in poche righe, affidandomi ad una scarsa capacità di sintesi, quasi a voler fare, qui dunque, della brevità un punto di forza.

Non aspettatevi, perciò, da questa nuova rubrica, un commento su un film scritto in due righe e mezzo, ma siate consapevoli che in un solo articolo pubblicheremo ben quattro recensioni (che poi potrebbero anche essere riprese ed ampliate, dunque inserite nella sezione cinema indipendentemente in futuro) o al massimo cinque. Le pellicole scelte potranno non avere un tema che funga da comune comune denominatore, siate, per questo, pronti ad aspettarvi i più strampalati accozzamenti di idee.

Buona Lettura e Buona Visione!

701_bigStar Wars III – La Vendetta dei Sith

di George Lucas 


Ne La Vendetta dei Sith si riprendono le fila della vicenda qualche mese dopo L’Attacco dei Cloni, la guerra ormai è scoppiata, il Conte Dooku ha rapito il cancelliere Palpatine, ed alle porte di Coruscant navi da guerra della Repubblica si scontrano contro quelle della Federazione dei Separatisti. Due Jedi vengono mandati in missione speciale per recuperare il cancelliere e metterlo in salvo: Obi-Wan Kenobi e Anakin Skywalker, ormai non più un semplice allievo, ma un cavaliere jedi maturo, potente e conscio del suo potere. Sebbene il salvataggio vada a buon fine, il generale delle truppe ribelli, Grievous, riesce a fuggire, rifugiandosi in un pianeta sull’orlo esterno. Toccherà ai Jedi scovare il temibile droide e mettere fine alla guerra, ma il pericolo incombe ed irrompe sopratutto tra i ranghi del Senato e della Repubblica poiché Palpatine sembra nascondere un oscuro segreto e dietro alle tante adulazioni che questi rivolge ad Anakin, facendo leva sulle paure di quest’ultimo, si cela la natura del terribile Darth Sidious, il Signore dei Sith.

Dei tre episodi della nuova trilogia questo di cui parliamo è il migliore, funziona non solo dal punto di vista dell’intrattenimento, ma anche per la storia narrata, non soffre di particolari momenti morti o tediosi, offrendo sequenze spettacolari, cariche di tensione ed accompagnando lo spettatore in un climax finale davvero degno di nota che non sfigura con le altre pellicole della saga. Sebbene non tutto il cast abbia offerto prove particolarmente convincenti, lo stesso McGregor nel finale appare leggermente “provato” da questa sua triplice avventura nello Spazio creato da Lucas, non si può dire comunque che tali mancanze penalizzino in toto il lungometraggio, che sente, al contrario degli altri, l’assenza di un personaggio femminile forte, poiché  l’ex regina di Naboo, qui ha solo una sfumatura di contorno, viene troppo poco utilizzata e Natalie Portman non riesce a brillare come nelle precedenti occasioni.

Un mancanza che si nota meno quando sullo schermo vengono proposti comprimari storici della saga quali lo wookie Chewbacca o quando Lucas ci ricorda che il vero protagonista rimane Anakin, ed allora, in sua presenza, si rimane così affascinati dalla sua decadenza, dalla sua debolezza, umanità, condivisibile in alcuni momenti, che ci lasciamo trascinare in quel delirio che farà di lui un mostro, che lo porterà ad essere Darth Fener.

Sotto il profilo puramente tecnico La Vendetta dei Sith mantiene sempre una certa coerenza visiva con i precedenti capitoli, sebbene ogni tanto George Lucas si lasci andare, come nella prima sequenza di apertura dopo i titoli di testa tradizionali, a dei brevi piani-sequenza che facciano da introduzione, una scelta originale e capace di giovare all’intero lungometraggio, dando ogni tanto qualche boccata di ossigeno ed un certo virtuosismo tecnico necessario nonché apprezzabile.

Gli effetti speciali, questa volta, sono encomiabili, curati e realizzati a puntino, ma sopratutto credibili e capaci di vivere in armonia con i set naturali e quelli artificiali, al contrario degli altri due capitoli precedenti. Superbe, non ci stancheremo mai di dirlo, le musiche di John Williams, capaci di accompagnare con gli strumenti e l’orchestra l’atmosfera ed i toni tragici della pellicola specialmente nel finale. Aspettiamo, fiduciosi, il nuovo capitolo, a Dicembre, diretto da J.J. Abrams.

Voto: ★★★★ (su 5)

movie-poster-recreation-52953fe575c29Alien 

di Ridley Scott

“Chi siamo?” e “Da dove veniamo?” non hanno risposte nell’opera di Scott, e sebbene la ricerca di noi stessi e delle nostre origini venga ripresa in Prometheus, che arricchisce ancor di più il background attorno all’universo fantascientifico del regista britannico, portando i vari protagonisti a rivelarsi quasi più come un odierno Ulisse dantesco, spinto dalla curiosità e dalla voglia di sapere, che a dei semplici scienziati, in Alien un’altra importante domanda ha risposta, “Siamo soli?”, e il responso si rivela essere tutt’altro da quello sperato […]

La paura, di essere indifesi, di essere delle prede, per una volta, e non i predatori, è la base su cui Alien crea la propria leggenda ed il proprio valore, e se nella sostanza questo potrebbe risultare banale o scontato, ricordandoci anche un po’ Terrore nello Spazio di Mario Bava, il contesto, e la padronanza tecnica di Rildey Scott conferiscono alla terza opera del regista inglese un’importanza ed un valore senza pari, contribuendo a segnare un passo per la settima arte e scrivendo la storia del cinema. Alien, di cui poi saranno fatti ben tre seguiti, è un capolavoro di tensione, paura e fantascienza, una pellicola capace di catturare lo spettatore, fin dai primi minuti, con i suoi silenzi ed i tanti suoni meccanici ed informatici, che ha regalato al mondo una delle eroine più carismatiche di sempre, Ellen Ripley, rivelandosi, anche per questo, un vero e proprio progetto ante-litteram e innovativo, che cerca, nello scontro tra due specie, un duello all’ultimo sangue e non si vergogna ad abbozzare una forte critica non solo al colonialismo, all’avidità umana, ma anche allo sfruttamento ed al comportamento delle tante multinazionali, ciniche e senza scrupoli, nel voler mettere a repentaglio la vita delle persone e di coloro che, pur lavorando per esse, restano all’oscuro di secondi obbiettivi. […]

Alien è un vero e proprio capolavoro della settima arte, straordinario più nella sua forma, che nei suoi contenuti, padroneggiato da un regista che avrebbe dato alla luce un’altra pietra miliare, Blade Runner, pochi anni dopo, e che ancor oggi è capace di traumatizzare ed angosciare chiunque lo guardi. Un raro caso di fantascienza che riesce ad andar oltre i generi di apparenza, superare le barriere imposte dalla società e dimostrarsi un qualcosa capace di essere più di una mera forma di intrattenimento. Un’opera d’arte di oscura bellezza, visionaria ed intramontabile, lanciata nell’immensità dello spazio, nel buio profondo, tra le stelle, dove nessuno può soccorrerti, né sentirti urlare.

Voto: ★★★★★  (su 5)

Dark Shadowsdark_shadows_ver16_xxlg 

di Tim Burton 

Dietro ad una perfetta padronanza tecnica, una fotografia d’effetto riconoscibile e riscontrabile nelle altre produzioni del regista, Dark Shadows si rivela un cocktail frizzante, sobrio ed elegante di comicità contenuta nella postura sempre attenta e vigile della figura dell’oscuro Barnabas Collins, il quale ha il volto Johnny Depp, nettamente più bravo rispetto al passato, che continua la propria collaborazione con Burton e che stavolta all’interpretazione sentita, preferisce un’approccio professionale e sicuro, capace di lavorare sull’esperienza che ai tempi di Edward Scissorshands non possedeva, portando, dunque, ad un risultato finale soddisfacente, ma non impeccabile, dovuto, probabilmente, all’importanza del cast al quale sa tenere testa.

Mischiando oscurità, perversione, ironia e cinismo, il remake della nota serie tv, è tanto brillante nei suoi colori quanto oscuro nella propria messa in scena, che, senza molte lusinghe, non dimostra poi tanto fatica a narrare la vita (s)fortunata di persone (un tempo) ricche, ma in decadenza, vittime quasi più del proprio nome che delle proprie colpe. I personaggi in Dark Shadows sono straordinariamente coerenti alla visione del film-maker di Burbank, e al loro interno godono di sfaccettature cariche di ambiguità ed inquietudine. Se, infatti, l’accettarsi per come si è, rappresenta una delle massime del cinema di Tim Burton, a questo giro la propria natura non solo ci conferisce la concezione di chi siamo, ma anche la consapevolezza che non tutti possono essere buoni. Barnabas, dietro al suo onore, i suoi modi cortesi, sebbene antiquati, ed all’eleganza dark, rimane, a tutti gli effetti, un vampiro, una creatura della notte, a cui piacciono le dormite diurne, le comode bare per schiacciare pisolini e, particolare da non scordare, il sangue che pulsa nelle vene dei mortali.

Dark Shadows è una pellicola originale e gustosa, composta e quadrata, piena di rimandi e citazioni al cinema espressionista che Tim Burton continua ad amare alla follia, così come ai grandi classici Europei del passato. E’ un gioiello che offre quel qualcosa in più al pubblico grazie alla mano di un regista dotato di un talento capace di renderlo un unicum nel vasto scenario cinematografico, che, per quest’occasione, dimostra un forte attaccamento non solo ad una particolare forma d’arte visiva, ma anche ad un preciso pensiero musicale che sfocia in una colonna sonora pop e rock, ove non è poi casuale sentire, di tanto in tanto, oltre che le sempre evocative tracce del maestro e collaboratore di vecchia data, Danny Elfman, canzoni degli anni ’70 dei T.Rex, Alice Cooper (che si colleziona il cameo migliore della sua vita), Elton John o Iggy Pop.

Tim Burton, anche questa volta, fa del suo stile un marchio di fabbrica indelebile, dirige una storia semplice, una commedia dove riesce a far muovere i personaggi divertendosi ad incappare negli errori e nelle bizzarrie di quest’ultimi, raccontando con semplicità di vampiri e streghe, senza perdere il suo tocco magico, senza farci rimpiangere i suoi momenti migliori, forse perché, anche adesso, Burton continua a dare il meglio di se, sia ben chiaro, piaccia o meno.

Voto: ★★★★ (su 5)

Minions-posterMinions 

di Pierre Coffin, Kyle Balda

Il ritorno in pompa magna dei Minions, dopo Cattivissimo Me e Cattivissimo Me 2, si rivela essere non solo uno spin-off con protagonisti i simpatici antagonisti di pelle gialla, ma un vero e proprio capitolo capace di fungere da prequel alle avventure sopra citate uscite negli anni scorsi.

Con un’introduzione capace di portare alla mente, per i colori e l’impostazione, quel Rayman videoludico nato dai creatori di Ubisoft, accompagnata dalla voce di Alberto Angela fuori campo, la storia dei Minions prende vita fin dalla loro genesi, quando non erano altro che esseri monocellulari, ma, al loro interno, già decisi a servire i cattivi, più cattivi, dell’intero globo.

Minions, per quanto buffi, sono davvero crudeli, quasi cugini, alla lontana, dei cari Gremlins, che tuttavia, mantenendo sempre un’aspetto tenero ed impacciato, non vanno mai incontro ad un cambiamento o una dicotomia che accenda, in essi, un lato puramente malvagio ed uno estremamente benevolo, come accadeva per le creature di Joe Dante.

Dove il film viene meno è nel messaggio di fondo, quello su cui davvero verte l’intera storia, che, per fortuna, Kevin e compagnia sanno tenere sempre a galla sul lato dell’intrattenimento, ma che non raggiunge mai alte vette come solitamente fa la concorrenza (vedi la Pixar). Sarebbe ingiusto, tuttavia, bocciare il lungometraggio, poiché, amicizia, comicità, divertimento ed un po’ di stupidità, mai troppo gratuita, sono elementi sempre presenti e presi in grande considerazione, ed i Minions sono un popolo davvero affascinante e difficile da dimenticare, che vi siano piaciuti o che li odiate.

Minions è una pellicola ben costruita, in definitiva, non un capolavoro della settima arte, ma una forma di intrattenimento divertente e godibile, visivamente eccezionale, con trovate geniali e momenti comici che fanno della cattiveria quasi un pretesto per dare vita ad un caos generale esilarante, unito ad una messa in scena ben impostata ed una colonna sonora da urlo. Con i brani pop utilizzati, il film di Coffin e Balda farà breccia nei cuori dei bambini, ma anche degli adulti, non portandoli a rimpiangere di aver passato un’ora e mezzo in sala a veder tre piccoli mostri andare da una parte all’altra del globo alla ricerca di un cattivo che si rispetti. Minions è, per questo, un film consigliato, pur con tutti i suoi limiti ed una certa ed astratta ripetitività di fondo, ma a KevinStuart e Bob questo, poi, non importa poi tanto, poiché niente conta quando dinnanzi a loro si materializza una “Banana!” e, una volta tanto, dei piccoli aspetti importanti, si può fare a meno anche noi.

Voto: ★★★ (su 5)

 

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Claudio Fedele

Nato il 6 Febbraio 1993, residente a Livorno. Appassionato di Libri, Videogiochi, Arte e Film. Sostenitore del progetto Uninfonews e gran seguace della corrente dedita al Bunburysmo. Amante della buona musica e finto conoscitore di dipinti Pre-Raffaelliti.
Grande fan di: Stephen King, J.R.R. Tolkien, Wu Ming, J.K. Rowling, Charles Dickens e Peter Jackson.

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