26 Aprile 2024

In occasione dall’uscita del nuovo volume di Limes – Rivista italiana di geopolitica, il Limes Club Pisa ha organizzato un incontro dedicato al tema chiave del numero, l’Arabia Saudita.

La moderatrice Barbarito introduce l’incontro portando all’attenzione di tutti una caratteristica curiosa e molto esemplificativa del paese in oggetto: l’Arabia saudita è l’unica nazione al mondo a chiamarsi come la sua casata regnante.


‘Saudita’ viene, infatti, da ‘Saud’, il capostipite della dinastia reale.

È piuttosto indicativo per capire quale sia il rapporto che lega il paese al Re. In Italia, e in generale in Occidente, siamo abituati a vedere nomi propri per attività di famiglia, ma si tratta di aziende commerciali di proprietà della famiglia stessa. Possiamo tradurre in Arabia Saudita lo stesso concetto: il paese appartiene al Re come una proprietà privata.

Il primo intervento è del Professor Tamburini, che va a illustrare l’impatto che la dinastia Saud ha avuto nella storia del paese. Agli inizi del 1700 troviamo gran parte della penisola arabica sotto il controllo dell’Impero Ottomano, eroso all’inizio del secolo successivo dal primo stato saudita, formatosi nel 1808. Questo primo embrione aveva il suo centro nei luoghi santi della religione musulmana, ovvero Medina e la Mecca, in ottemperanza a un sentimento di richiamo religioso espresso dal wahhabismo.

Nei decenni successivi vi fu un costante susseguirsi di conquiste e riconquiste tra i sauditi e gli ottomani, fino allo stabilizzarsi del dominio dei sauditi stessi.

Il ruolo della religione è così centrale, che il paese basa la sua legislazione sul Corano, che viene assunto come legge fondamentale, motivo per cui il paese non si dota di una Costituzione scritta.

La formalizzazione del Corano e della Sunna come equivalente di una carta costituzionale avviene nel 1992 e il professor Tamburini fa notare che non sia un caso che si tratti proprio del periodo della Guerra del Golfo, percepito come ‘l’arrivo dei crociati in Arabia’.


Nonostante l’istituzionalizzazione di una Costituzione, dal punto di vista pratico le differenze non sussistono. Il primo articolo recita infatti: ‘Il Regno è uno Stato Arabo, Islamico e la sua Costituzione è il Santo Corano e la Sunna del Profeta’.

Un arroccamento sulla posizione di stato confessionale a tutti gli effetti.

La pervasività della religione non appartiene solo al campo legislativo, ma a ogni dettaglio della vita del paese. Tenendo il Corano come faro della società, tutto ciò che da esso non viene regolamentato rappresenta un potenziale pericolo, quindi qualunque tipo di interferenza esterna viene osteggiata o rigidamente controllata. Ad esempio, negli anni ’30 e ’50, la radio prima e la televisione poi furono accettati con molta reticenza, in quanto possibili veicoli di espressione di concetti ‘non musulmani’. Questo atteggiamento ha portato frizioni anche di tipo diplomatico, come quando vi fu una polemica con Norvegia, Svezia e Svizzera per l’esposizione della bandiera all’esterno del palazzo delle rispettive ambasciate, perché tali bandiere contengono il simbolo della croce.

Segue l’intervento il Professor Marzano, mettendo a fuoco un altro aspetto dell’Arabia Saudita: la sua posizione come potenza regionale del Medio Oriente.

Uno dei motivi, oltre alla religione, per cui l’Arabia Saudita può vantare un ruolo di primo piano nell’area, è la sua posizione di paese esportatore di petrolio.

Il primo grande snodo del percorso saudita all’interno della questione del petrolio può essere datato al 1945, ovvero l’anno del primo incontro con gli Stati Uniti sull’argomento.

La conferma di attore rilevante nell’area va di pari passo con l’esportazione della Guerra fredda in medio oriente. In questo ambito le prime frizioni di delineano con l’Egitto, tra gli anni ’50 e ’60, in un contesto di contrapposizione di una giovane repubblica rivoluzionaria e una monarchia tradizionale.

Negli anni ’70 emerge un canale privilegiato tra gli Stati Uniti e Iran, interrottasi bruscamente dalla caduta dello Scià. La rivoluzione islamica comporta però un vantaggio per l’Arabia Saudita: nel momento in cui l’Iran, paese a maggioranza sciita, diventa uno stato confessionale, nascono dei contrasti col vicino Iraq, sunnita. Questi contrasti coinvolgono i due protagonisti su un piano strettamente territoriale, permettendo quindi all’Arabia Saudita di riottenere il ruolo di canale preferenziale per le relazioni diplomatiche con l’oltreoceano.

L’area d’influenza saudita va via via allargandosi, solidificando la sua posizione. Il primo mezzo di influenza culturale è l’investimento in scuole wahabite, che fanno capo a Riyad, visto che il wahabismo è l’interpretazione di riferimento per i sauditi.

L’Arabia Saudita comincia a voler certificare la sua egemonia locale non solo a livello culturale ma anche grazie al riconoscimento diplomatico: nel 2002 si propongono per mediare la complessa questione israelo-palestinese in un iniziativa di pace regionale conosciuta come ‘saudi initiative’.

Le ostilità con l’Iran riprendono con la fine del regime talebano in Iraq, il cui terreno di scontro è rappresentato oggi soprattutto dalla guerra in Siria e Yemen e in parte anche da Libano e dall’Iraq stesso.

La grande partita che gli arabi giocano nella penisola non può essere separata dalla questione petrolifera.

L’intervento del Professor Basosi comincia illustrando come dal 1945 fossero cominciate le relazioni usa-arabia saudita sull’argomento, con un consorzio statunitense che ottenne di poter costruire e sfruttare i pozzi per l’estrazione petrolifera nel territorio saudita. Consorzio che prese il nome di Aramco, arab american oil company.

L’accordo privilegiava in modo netto gli americani, che avevano il reale controllo del processo e dei profitti. La situazione cominciò a cambiare grazie all’opera di Abdullah Tariki, detto lo sceicco rosso, già direttore generale del dipartimento del petrolio e dei minerali all’interno del ministero delle finanze e dell’economia nazionale. Il compito di Tariki comprendeva l’analisi dei dati Aramco e la loro comunicazione alla famiglia reale. Le sue osservazioni lo portarono a rivendicare un maggior coinvolgimento saudita nel processo, ottenendo nel 1950 che i profitti Aramco fossero divisi in parti uguali tra USA e Arabia Saudita.

Grazie anche al coinvolgimento del Venezuela, Tariki ottenne una coalizione tra i paesi esportatori di petrolio, gettando le basi per la fondazione dell’Opec.

La grande svolta arrivò nel 1973, a causa dell’appoggio statunitense a Israele nella guerra dello Yom Kippur. Tre furono le più importanti conseguenze nell’ambito del commercio petrolifero.

  • I paesi arabi esportatori di petrolio emisero un embargo ai danni degli alleati di Israele e l’Arabia Saudita tagliano la propria produzione. Quest’ultima fu una decisione unilaterale e non dovuta all’Opec, come è opinione comune.
  • Tra Ottobre e Dicembre si decide la quadruplicazione dei prezzi del greggio, che determina quello che in occidente è chiamata ‘crisi petrolifera’ e in medio oriente ‘boom petrolifero’, da notare i diversi punti di vista.
  • Nazionalizzazione della Aramco, completata nel 1980.

L’ultimo intervento, quello del Professor Petroni si concentra sull’approccio imperialista dell’Arabia Saudita.

Petroni ricorda che il wahhabismo, oggi dominante in Arabia Saudita, è un movimento che fu inizialmente considerato eretico dai musulmani, ma si è sviluppato fino a far sì che anche in occidente si aderisca alla narrazione dei sauditi come rappresentanti dell’islam ‘puro’. Inoltre l’Arabia Saudita vanta sul suo territorio i luoghi santi della religione musulmana, che permette di veicolare la forza saudita all’estero e rendendo di fatto l’Arabia Saudita uno stato extraterritoriale.

Proprio per via di questa vocazione imperialista, i sauditi investono in attività di proselitismo ufficiali, in Asia e nell’Africa del Nord.

Come si è visto prima, l’Arabia saudita nasce dall’attività militare impiegata a causa della pretesa di unificare tutta la penisola. Impresa impedita dall’Impero Ottomano prima e da quello Britannico poi, ma questo non ha impedito ai sauditi di considerare tutta la penisola arabica come il suo terreno d’azione naturale.

L’approccio transfrontaliero ha avuto molti risvolti pratici negli ultimi anni. La più esemplificativa probabilmente è quella del 2011, in cui forze dell’ordine saudite furono impiegate nel Bahrein per sedare una rivolta di piazza, effettuando quella che a tutti gli effetti fu un’operazione di polizia, tradizionalmente appannaggio dello stato in cui sono necessarie e non di uno stato estero.

In altri paesi, come la Siria o il Libano, l’intervento diplomatico viene effettuato anche attraverso il dialogo con le comunità locali come le tribù, in nome della vicinanza e di una comune discendenza etnica, che può ben essere riassunta così: ‘in prima battuta sono figlio della penisola arabica, questa è stata unificata dal regno, quindi sono saudita’.

Vittoria Paoli

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