27 Luglio 2024

Foto in evidenza tratta da Vivi Zen.it.

Su Facebook c’è una nota pagina di poesia che si chiama Cardiopoetica, mi è sempre piaciuto questo nome, perché la poesia quando piace la si sente fin dentro al petto. Con lo stesso pathos mi accingo a chiamare questa mia rubrica Cardioeconomia. Non è esattamente ciò che scriverei in una tesi di laurea, ma la passione è la stessa, fidatevi.


Questa rubrica non si pone l’obiettivo di prendere alla leggera l’economia, ma al contrario di far riflettere il lettore – senza abusare della matematica – su come l’economia, in particolare l’economia politica, cerchi di teorizzare e spiegare i nostri comportamenti di ogni giorno, e in tal senso offrire degli spunti al lettore. Dunque la cardioeconomia è un’economia del quotidiano, semplificata a scopo divulgativo.

Per definire meglio l’ambito in cui ci stiamo muovendo vale la pena citare la definizione letterale, di origine greca, secondo cui economia significa “le norme della casa”, dove casa è intesa come i beni della famiglia, mentre l’aggettivo politica significa “che attiene alla polìs”, intesa come le città-stato greche. Dunque l’economia politica secondo la definizione originale si propone di studiare le norme dei beni di famiglia (o della casa) in un contesto collettivo. Allontanandoci dal rigore letterale ho sempre ritenuto che la definizione più passionale di economia politica fosse “la scienza sociale delle scelte compiute dagli individui per soddisfare i bisogni individuali o collettivi con le risorse a disposizione”, una definizione tanto pragmatica quanto pretenziosa: può davvero esistere una scienza sociale che si prefigga di spiegare le scelte degli individui? Qualcuno risponderebbe sì e qualcun altro no. Chi dei due abbia ragione rappresenta uno dei dibattiti più accesi della storia del pensiero economico, ma non è mia intenzione aprire un dibattito epistemologico, dunque spingiamoci oltre.

Adottando un approccio normativo, dove per normativo s’intende provare a spiegare come dovrebbero andare le cose e non come effettivamente esse vadano, ci risulta più facile seguire gli assunti teorici dell’economia neoclassica. L’economia neoclassica riprendendo il pensiero dell’economista classico John Stuart Mill ritiene che per un’analisi formale veramente rigorosa si debba prendere in considerazione un individuo generico ed identificarlo come l’agente ideale che deve prendere delle scelte. Questo individuo è l’homo oeconomicus, cioè un individuo con delle caratteristiche ben determinate che vanno a formare le basi della teoria. Immaginate dunque un individuo che ha dei bisogni da soddisfare e dei mezzi limitati per raggiungere questo benessere. L’individuo deve fare delle scelte per soddisfare al meglio i suoi bisogni con i mezzi a sua disposizione. Tuttavia il nostro homo ha determinate caratteristiche così riassumibili:

  • Ha delle preferenze determinate (Ad esempio preferisce mangiare le pere alle mele), che è in grado disporre in sequenza. Dunque per la proprietà transitiva visto che preferisce le pere alle mele e al contempo le banane alle mele, se si trovasse a scegliere tra pere e banane sceglierebbe le banane.
  • È perfettamente razionale, dunque ragiona in modo perfettamente logico e di fronte a una serie di scelte sa come agire per trarre il maggior benessere.
  • Ha piena informazione, questo vuol dire che conosce, o immagina, i possibili corsi d’azione da intraprendere e le conseguenze che essi avranno sugli altri e su di sé. Disponendo di informazioni complete è in grado di analizzare e prevedere nel modo migliore la situazione e i fatti del mondo circostante, al fine di operare la scelta più corretta per soddisfare il proprio benessere.

L’individuo con queste caratteristiche compie le sue scelte per massimizzare il proprio benessere con i mezzi a propria disposizione, dunque non c’è niente di più razionale. Ma davvero è così semplice prendere delle scelte per soddisfare al meglio i nostri bisogni con i mezzi a disposizione? Il primo vero problema si presenta al subentrare dell’incertezza.

Solitamente le scelte umane non sono mai sicure, anzi in ogni scelta umana c’è sempre grande incertezza relativa ai possibili risvolti, e quando subentra il rischio, cioè la probabilità che un evento si manifesti così come era stato calcolato oppure no, la faccenda si complica. Ma l’economia neoclassica ha previsto pure questo.

Immaginate che l’oggetto di una scelta sia un bene – materiale o immateriale – e che il benessere che ciascuno di noi ne può trarre sia rappresentabile con un propria funzione di utilità, funzione che dipende positivamente dal rendimento di una scelta (cresce se aumenta il rendimento) e negativamente dal rischio che essa comporta (diminuisce se aumenta il rischio). Questa funzione di utilità deve essere massimizzata all’interno di un vincolo di bilancio, che quasi banalizzando significa: il nostro benessere può essere soddisfatto entro il limite dei mezzi che abbiamo a disposizione per raggiungerlo, dunque ci sono delle combinazioni di mezzi che non potremo raggiungere mai poiché irraggiungibili, anche se idealmente darebbero una soddisfazione ancora maggiore. Le nostre scelte non sono infinite, dobbiamo tenere conto soltanto delle scelte possibili, rischiose o meno che siano. Le scelte possibili sono il vincolo di bilancio in cui possiamo massimizzare la nostra utilità.


L’individuo-homo oeconomicus in questo contesto ha tre possibilità:

  1. Essere avverso al rischio e dunque di fronte a due scelte che danno uno stesso rendimento atteso preferisce scegliere quella con un rischio minore. In generale l’essere avversi al rischio comporta preferire un rendimento minore per preservarsi dal rischio di grosse perdite. Si viene a configurare allora una situazione di sicurezza in cui a fronte di guadagni più bassi ci si copre dal rischio o comunque lo si limita;
  2. Essere propenso al rischio, dunque di fronte a due scelte che danno uno stesso rendimento atteso preferisce quella con un rischio maggiore. In generale l’essere propensi al rischio comporta preferire un rendimento maggiore senza tener conto dei rischi a cui si va incontro. Questa è una situazione molto instabile, poiché visto il rischio a cui si va incontro le perdite possono essere molto alte ma al contempo anche i guadagni potrebbero essere altrettanto alti;
  3. Essere indifferente al rischio, e dunque di fronte a due scelte che danno uno stesso rendimento atteso l’individuo è indifferente sul quale scegliere poiché non è interessato a quanto queste siano diversamente rischiose.

Sembrerebbe che all’interno di questi assunti sia abbastanza facile decidere come orientarsi, ma andiamo avanti. Per non complicare le cose ulteriormente con un doveroso ricorso alla matematica (Questa non è una tesi di laurea né tantomeno una rivista scientifica!) ho volutamente tralasciato il criterio dell’utilità attesa teorizzato da Von Neumann e Morgenstern.

Fino ad ora data la razionalità di questa teoria possiamo facilmente dire che la strada è tracciata: ogni scelta si racchiude in un problema di ottimizzazione della nostra personale funzione di utilità all’interno di un vincolo di bilancio (dunque entro i mezzi che abbiamo a disposizione). Ipotizzato il rendimento e calcolato il rischio non c’è niente di più semplice, nulla di più logico.

Invece non è così che va, e qui la panoramica si fa davvero interessante, perché nell’essere così frettolosi, seppur logicamente ispirati, ci siamo dimenticati che al mondo non esistono homo oeconomicus ma homo sapiens. Chi di noi è in grado di prevedere le reazioni possibili delle nostre scelte, i rischi ad esse associati oppure più semplicemente chi può definirsi un essere perfettamente logico e razionale?

Spesso gli individui compiono scelte che in condizioni di perfetta razionalità non prenderebbero, questo succede sistematicamente e il più delle volte in maniera ripetuta. Questa prima obiezione all’ipotesi di razionalità perfetta degli individui – posta alla base del modello neoclassico – ha aperto il campo a nuovi studi nell’ambito delle scienze sociali e dei comportamenti degli individui nella vita di tutti i giorni. Il punto di partenza è che la realtà sia ben più complessa rispetto ai modelli teorici e dunque per fare una disamina quanto più corretta delle scelte degli individui bisogna tenere conto del funzionamento dei processi decisionali e abbandonare consequenzialmente la visione dell’homo oeconomicus.

Per questo l’economia politica a partire dagli anni ’50 si è dovuta avvicinare alle altre scienze sociali, soprattutto alla psicologia, ed è in questo contesto che si sono sviluppate l’economia comportamentale e cognitiva.

Qual è allora il processo che guida le nostre scelte?

Quando gli individui homo sapiens compiono una scelta, il più delle volte sono caratterizzati da mancanza di informazioni e, in accordo alla teoria dei processi duali, da due sistemi cognitivi diversi: uno intuitivo e automatico, l’altro riflessivo e razionale. Chiameremo il primo “sistema impulsivo” ed il secondo “sistema riflessivo”. Un modo di comprendere meglio questi due sistemi è quello di associare il sistema impulsivo alle reazioni viscerali ed il sistema riflessivo al pensiero consapevole.

Come facciamo allora a scegliere in modo da massimizzare il nostro benessere con i mezzi che abbiamo a disposizione secondo questi due processi decisionali? Per tentare di rispondere a questa domanda vale la pena citare alcuni esempi liberamente tratti – e riadattati – dal libro “Nudge, la spinta gentile di Cass R. Sunstein e Richard H. Thaler.

Dory è la cuoca di una mensa scolastica, una sera si trova a cena con un suo amico che si occupa di marketing in un’azienda, decidono di sperimentare una nuova disposizione degli alimenti in cui le verdure sono messe per prime e i dolci in fondo alla sala. Con loro sorpresa i due scoprono che disponendo il cibo in questo modo aumenta in modo evidente il consumo di verdure e diminuisce quello di dolci. In seguito a questa scoperta i due capiscono che possono sfruttare la cosa in diversi modi:

(a) Spingere i bambini a mangiare in modo sano disponendo gli alimenti in modo strategico;

(b) Disporre gli alimenti in modo da far rialzare i profitti alle aziende disposte a pagare loro una tangente;

(c) Rispettare la libera scelta senza imporre forzature e dunque disporre gli alimenti in modo del tutto casuale;

(d) Disporre gli alimenti in modo da massimizzare i profitti della mensa;

(e) Disporre gli alimenti rispettando le preferenze dei bambini.

In questo caso specifico la mossa migliore per l’utilità individuale dei due sarebbe l’alternativa (b), mentre quella per la collettività sarebbe l’alternativa (a). È immediato notare come in questo caso emerga un primo conflitto tra interesse privato e interesse collettivo, conflitto che potrebbe venire superato soltanto qualora tra i due nascesse una certa cooperazione ispirata  da principi morali ed evolutivi. Ma com’è possibile cooperare nel dilemma tra benessere individuale e collettivo? Per approfondire questa strada meriterebbe dare spiegazione della teoria dei giochi, in particolare del dilemma del prigioniero, dell’ottimo paretiano e dell’Equilibrio di Nash, poi servirebbe introdurre nozioni di evoluzionismo ed esplorare il campo di altre scienze sociali. A questa strada lascio sbarrata la via, in attesa di un nuovo episodio di questa rubrica.

Con riguardo esclusivo alle scelte degli individui, l’esempio di Dory ci permette di fare altre considerazioni valide. La disposizione degli alimenti all’interno della mensa in questo caso è un nudge – letteralmente pungolo -, cioè una spinta gentile che facendo leva sulle decisioni impulsive orienta con una certa delicatezza le scelte degli individui verso un determinato fine. Dory è quello che si chiama architetto delle scelte, il suo è un compito molto importante: influire sulla libertà di un altro individuo orientando le sue scelte in un modo piuttosto che in un altro.

Un altro esempio citato da Thaler e Sunstein è nell’enorme effetto di risparmio che ha avuto la strategia applicata all’aeroporto di Amsterdam sulle spese di pulizia. La strategia consisteva nell’attaccare in un punto del water dei bagni maschili un adesivo con una mosca. Inevitabilmente gli uomini nel prender la mira si concentravano su quel punto preciso, senza sporcare per terra. Con una spesa minima – un adesivo – si è ottenuto un notevole risparmio facendo leva sull’impulsività umana per guidare le scelte degli individui. Il genio che ha concepito questa strategia è un altro architetto delle scelte. Noi ogni giorno ci confrontiamo con ambienti elaborati ad hoc da architetti delle scelte. Pensate alla comunicazione politica, a come viene presentato un quesito referendario sulla scheda elettorale, alla disposizione dei cibi nei supermercati, all’interfaccia dei siti web che vincola verso una scelta, alla disposizione dei segnali stradali, alla musica commerciale, e così via discorrendo.

Che i nudge esistano è ormai una realtà evidente, serve dunque tornare all’esempio di Dory e chiedersi quale sia la scelta preferibile tra le possibili alternative. La risposta di Sunstein e Thaler è la (a), questo perché secondo loro l’architetto delle scelte dovrebbe guidare gli individui non razionali e spesso inconsapevoli, che dunque decidono tramite due processi di cui uno impulsivo, a compiere le scelte migliori per se stessi e per la collettività.

In questo senso i due studiosi propongono, con il loro paternalismo libertario, una teoria secondo cui la disposizione dell’architettura delle scelte debba avvenire nel rispetto della libertà individuale, quindi senza imposizioni o divieti, ma secondo un fine paternalistico, dove paternalismo più che nell’accezione classica è da intendere come guidare gli individui a compiere le scelte migliori per se stessi e per la collettività. Un nudge in questo senso è una spinta che si è liberi di ignorare, che può essere superata persino con la ragione, una spinta che non preclude la libertà decisionale, ma che è ugualmente presente e ci influenza. Pensate ai risvolti incredibili dell’applicazione di questa teoria nel settore pubblico come nel privato, nelle istituzioni come nella vita di tutti i giorni.

In definitiva, scegliere al meglio in un mondo complesso caratterizzato dall’incertezza non è un compito facile, scegliere bene per sé è tanto difficile quanto scegliere bene per un gruppo. In questo panorama frastagliato e forse confuso, emerge chiaro che per quanto si possa razionalmente concepire l’esistenza teorica di una scelta migliore, nessuno verrà mai a dirci quale sia la migliore che possiamo adoperare. D’altra parte non sempre si trova risposta a certi quesiti, consideriamo ad esempio l’amore, se chiedete un consiglio ad un vostro amico per un problema di cuore, potreste anche parlarne all’infinito e teorizzare ogni possibile conseguenza razionale, ma per quanto certi della vostra risposta può succedere che una volta presa una scelta il quanto più razionale possibile, questa non trovi comunque corrispondenza nell’altro. Questo succede perché non si è mai da soli a scegliere, ogni scelta comporta il confronto con scelte basate su interessi, irrazionalità, defezioni informative e soprattutto libertà altrui. Libertà di agire al meglio, di farsi del male o addirittura di scegliere a caso. Calcolare un esito partendo da presupposti sbagliati ci porta a sbagliare, e purtroppo o per fortuna, tutti sono liberi di ignorare persino l’evidenza, ne sono un esempio le euristiche sociali, regole pratiche che spesso governano i nostri processi decisionali più impulsivi, traendoci in inganno.

Queste nozioni ci riportano al problema fondamentale insito nella nostra condizione di homo sapiens: l’imperfezione rispetto all’homo oeconomicus posto alla base della teoria neoclassica. Per questo esplorare le nuove dinamiche emerse nell’interdisciplinarietà con le altre scienze sociali, per cercare di avvicinarsi ad una risposta o ad un modello più vicino alle caratteristiche umane è la vera sfida dell’economia politica.

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