27 Aprile 2024

Donne, bambini, volti rassegnati, stanchi, piccole case costruite con sabbia e fango, luoghi angusti, condizioni di vita precarie, piccoli gesti che raccontano un mondo e una cultura. Tutto questo e molto altro ci rivelano le fotografie di Giulia Pacini, giovane studentessa e fotografa livornese che martedì 24 maggio alle 18 presenterà la sua prima personale intitolata I rise: Women in Tanzania presso il caffè Le Cicale Operose, a Livorno.

@ photo by Giulia Pacini
@ photo by Giulia Pacini

Lo scorso 2 agosto, Giulia è partita come volontaria per Dodoma, in Tanzania, con l’aiuto del Centro mondialità di Livorno. Assieme ad un’altra ragazza (un’ostetrica) ha trascorso un mese in Africa, frequentando il Santa Gemma Hospital e aiutando e assistendo molte madri, infermiere, persone malate. “In ospedale regnava il caos. C’era una stanza dove tenevano scatoloni con le medicine ed erano ammassati a casaccio. Volevo aiutare e così ho riordinato. Ho messo tutte le scatole negli armadietti” mi confessa Giulia con un grande sorriso. “Ho anche assistito al mio primo parto. Non appena il bambino è uscito, mi è subito stato messo in braccio. Ho provato un’emozione fortissima!”.


Giulia è sempre stata interessata al volontariato e le sta a cuore in particolare l’Africa, le condizioni di vita di quel continente. Come è tipico del suo carattere, cerca di integrarsi subito alla nuova realtà e si adegua alla cultura locale, ai suoi usi e costumi. Ne è affascinata ed è proprio attraverso la fotografia che cerca di fissare queste sensazioni. Immortala le tipiche abitazioni di Dodoma, le sue donne, i suoi bambini, i momenti della loro quotidianità, le loro storie.

Nelle sue foto vediamo il cuore di questa popolazione che vive nella più completa povertà, senza un letto dove coricarsi ma solo pochi stracci su cui sdraiarsi e trovare riposo, intere famiglie riunite in un’unica stanza, pochi utensili per cucinare, per la cura personale. Gli sguardi dei suoi soggetti sono fissi, rassegnati, stanchi. Sono soprattutto donne le protagoniste delle foto di Giulia, donne che spesso sono sole, lavorano, si prendono cura dei propri figli senza un uomo accanto. Ragazze che rimangono incinte troppo presto e che sono accompagnate in ospedale dalle madri o completamente da sole. “La cosa mi rattristava molto, perché da noi questo non succede. Qua si cerca di condividere questi bei momenti con il partner – non solo con i famigliari. Là invece – mi spiegava l’ostetrico dell’ospedale – è normale così. I mariti, i partner, non sono mai presenti in queste situazioni. E allora ho capito che semplicemente quella è la loro realtà, la loro normale quotidianità. Non potevo giudicarli solo perché la situazione era diversa dalla nostra, non era giusto”.

@ photo by Giulia Pacini
@ photo by Giulia Pacini

Esplorando Dodoma, Giulia entra in contatto con molte persone del luogo, parla con loro, cerca di capire la loro situazione. “Un giorno una ragazza mi invita ad entrare in casa sua. Ha 15 anni ed è già madre di una bellissima bambina, Evelin. Le chiedo chi sia e dove fosse il padre e lei mi risponde che è un uomo molto più grande, che vive lontano e che lo vede di rado”.

Ma non c’è solo questo. Giulia infatti conosce anche molte donne emancipate, con un lavoro da medico o infermiera, donne che lavorano duramente e che provano a fare la differenza ogni giorno. Proprio per questo la mostra si intitola I rise: io mi rialzo, mi rimetto in piedi – e questo accade ogni singolo giorno, nonostante le difficoltà della vita e gli ostacoli che si interpongono in essa. Il titolo viene direttamente dalla penna della poetessa di colore Maya Angelou e dalla sua “Still I rise”. Maya, vittima di discriminazioni razziali e di genere, per tutta la vita si è fatta portavoce dei diritti della sua gente e delle donne. La poesia è stata la sua arma per combattere la violenza e le ingiustizie e affermare la propria dignità. 

@ photo by Giulia Pacini
@ photo by Giulia Pacini

E poi ci sono i bambini, gli altri soggetti protagonisti delle fotografie di Giulia. Inizialmente impauriti e diffidenti verso i Mzungu, i “bianchi” nella lingua locale, poi invece sempre più curiosi:Sei come un’attrazione per loro. Ti seguono e ti urlano in continuazione Mambo Mzungu – Ciao Bianco!”.

La mostra verrà allestita con 18 fotografie del viaggio in Tanzania: 9 foto di donne e 9 di bambini.


 

 

 

L’artista

mostra Giulia Pacini-Uni Info News

Classe 1994, ragazza semplice, acqua e sapone, Giulia Pacini fin da piccola inizia a far parte del mondo della fotografia. La madre con la sua macchina analogica le scatta continuamente foto, fin da bambina, mentre il padre è un appassionato del settore e la loro casa brulica di libri sull’argomento.

La sua prima reflex la riceve per il suo 15° compleanno ed è proprio da quel momento che comincia a cimentarsi nel mondo della fotografia, prima frequentando dei corsi e poi continuando da sola.

Ama scattare e con le sue foto le piacerebbe raccontare delle storie, non comuni ma di chi è più in difficoltà, dei più deboli ed emarginati. “Ho imparato durante la mia vita che giudicare è un’arte da miopi, che è fondamentale la conoscenza della diversità, che va apprezzata in modo che diventi una risorsa, fonte di ricchezza e stimoli per la crescita”.

Ha viaggiato molto e continuerà a farlo, per scoprire nuove realtà e culture che la arricchiscano ancora di più e la possano mettere continuamente in gioco. Una delle sue ambizioni è anche quella di rendere consapevoli le persone delle diverse realtà che ci circondano.

Così scriveva ad un’amica una persona molto importante per lei, Vittorio Arrigoni :

“Bisogna allora lasciare tracce del proprio passaggio nei cuori, innanzitutto dei poveri incontrati e delle vittime di un’ingiusta guerra, mostrando loro come esiste un occidente alternativo, che si sa spogliare dei propri dettami culturali di superbia e arroganza, che sa porsi come accogliente ed empatico.” ….. ” Che porga le mani e non le ritragga sottraendo, ma che anzi sia in grado di porgere doni, che si mescola nell’anonimato per generare alleanza, sotto nessuna bandiera che non sia emblema di pace, solidarietà e convinta amicizia. Il motivo umano è quello.”

 

Annalisa Castagnoli

 

 

 

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Annalisa Castagnoli

Laureata in Storia dell'Arte Contemporanea (Università di Pisa) mi piace raccontare storie e scrivere le mie "impressioni" su tutto ciò che vedo o ascolto. I libri sono il mio rifugio sicuro, con loro mi sento sempre a casa!
Oltre a UIN collaboro anche per Exibart.

E-mail: annalisa.castagnoli15@gmail.com

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