27 Luglio 2024

(La prima parte di questo approfondimento è disponibile a questo link )

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La migliore rappresentazione dell’intento artistico del gruppo nonché del contesto socio-culturale da cui s’è generato,
secondo il mio parere, è il brano intitolato Velleità che è presente nel primo album.


Cosa sono le velleità secondo Niccolò Contessa?

Nelle varie interviste da lui rilasciate egli spiega il senso di Velleità come sindrome dell’individuo moderno il quale cerca di costruire la propria originalità mediante lo stile, senza andare in ricerca di occupazioni forti, ma soltanto di passioni deboli, di passioni che si fermano ad un livello superficiale d’immagine e non toccano la vera essenza del sé; occupazioni che finiscono per divenire delle maschere che ognuno porta per paura di esprimere la propria identità o per sopperire alla dispersione di essa.

La canzone, come tante altre dell’album, sembra essere un collage di marche, di stereotipi e di categorie, come se fosse riempita di hashtag: #hipster #indie #radical-chic #bulimiche #anoressiche #artisti #69’ #79’ #89’ #59’. Sembra che gli attori della commedia ritratta da Niccolò Contessa facciano a gara a chi ne ha di più, a chi è inserito in più categorie in una sfida diretta all’affermazione della propria originalità. Il significato di velleità rimanda a qualcosa di molto di più di una semplice “sindrome alla moda”, ma rappresenta anche la reazione (o l’omologazione inconsapevole) al contesto socio-culturale della “modernità liquida” in cui, a causa della grande emancipazione offerta a tutti gli individui sul piano della comunicazione e della visibilità (basti pensare al fenomeno del web) e dell’eccessiva commercializzazione dei prodotti di cultura  ha portato ad una scioglimento dell’essenza e della solidità della cultura stessa.

Oggi infatti appare quasi indistinguibile la vera cultura da quella di massa, quella “da consumo”. Le influenze reciproche tra mercato e l’ideologia postmoderna (intendendo per ideologia le basi di  idee dal quale è scaturito il postmodernismo ), hanno reso sfiducia all’individuo offrendo la stessa parità di valore a tutte le opere prodotte dai sé dicenti “produttori di cultura”, e trasformando di conseguenza tutti gli intenti in velleità, tutte le buone e grandi intenzioni in un nulla di fatto. E’ vero, che tutti oggi sono “un po’” scrittori, fotografi, registi, dj, come dice la canzone, ed è anche vero che molti lo fanno per nascondersi dietro ad uno stile, ma in tutto questo si respira anche una sorta d’impossibilità, impossibilità scaturita da un contesto in cui tutti gli intenti possono essere decostruiti in un batter d’occhio, in cui le velleità per causa o per effetto sembrano aver sostituito il vecchio significato di cultura. E’ una cultura da velleità, quella descritta nel primo album, una cultura da ignoranti; una cultura da Cani. A questo proposito mi permetto di citare Bauman e mi dispiace nominare invano, in questo articolo intriso di velleità, il nome di uno dei pochi “grandi maestri” a noi rimasti.
“Una società può essere definita liquido-moderna se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. [..] In una società liquido-moderna gli individui non possono concretizzare i propri risultati in beni duraturi: in un attimo, infatti, le attività si traducono in passività e le capacità in incapacità. Le condizioni in cui si opera e le strategie formulate in risposta a tali condizioni invecchiano rapidamente e diventano obsolete prima che gli attori abbiano avuto una qualche possibilità di apprendere correttamente” (Zygmunt Bauman, Vita liquida, introduzione pag. VII).        

La traduzione di capacità in incapacità, in questo senso, accomuna sia chi è capace che chi è capace.

Nell’ambito artistico postmoderno infatti anche chi è capace e creativo può lo stesso essere un velleitario in quanto il proprio risultato non può essere consolidato se non in un bene di consumo, un bene dalla vita breve, con la sua fine ed il suo inizio stabilito dal mercato. E’ difficile non essere velleitari ai giorni nostri. E Niccolò questo lo sa bene, lo sa in quanto il suo intento non è quello di ergersi a grande maestro o a assumere i panni di un accusatore della modernità e delle sue varie subculture (come quella chiamata Hipster), anzi tutt’altro. L’ironia e l’azione caricaturale con cui ritrae il contesto giovanile della Roma in cui vive è diretto anche a sé stesso: anche i Cani sono un gruppo #Hipster #Indie #Hardcore #Punk-electro #Pop ed anche lui come gli altri fa parte di quel vortice del quale sta parlando. Anche lui, Niccolò Contessa è un velleitario, anche I Cani vengono definiti da lui stesso come prodotto di una velleità:  “l’ennesimo gruppo pop romano”. Ciò che lo differenzia sta nella sua abilità artistica, nell’abilità a costruirsi un’immagine e nel suo intento di non ergersi con presunzione sugli altri. E’questa la chiave del suo successo: Niccolò sa che “I Cani” non sono nulla di più che un prodotto delle sue velleità e, giocando, ironizzando sul significato di queste, è riuscito a creare un immagine che nel suo“essere niente” comunica un senso di frustrazione condiviso dalle generazioni nate e cresciute nella post-modernità.  11015227_10205076899675560_1149340364_n


 

Gabriele Bacci

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Gabriele Bacci

Sono nato nel Luglio del '95. Insegnante di sostegno e psicologo iscritto all'albo della toscana n° 9744, esercito la mia professione da libero professionista e mi sto specializzando in psicoterapia psicoanalitica. Sono appassionato di filosofia e psicoanalisi.

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