29 Aprile 2024

Per le Antiche Scale 

Pubblicato nel 1972, dall’editore Mondadori, Per le antiche scale è una raccolta di racconti ambientati in manicomio, luogo familiare a Mario Tobino in quanto non solo scrittore ma anche psichiatra.

La struttura narrativa dell’opera propone al lettore una scaletta di venti racconti brevi dove in ognuno di essi si presenta un caso clinico diverso, con un proprio retroscena particolare che arricchisce l’insieme complessivo di una varietà caleidoscopica il cui comune denominatore risulta essere il protagonista Anselmo, attraverso il quale è possibile riconoscere l’alter ego dell’autore stesso.

Grazie ad un’analisi generale dei numerosi pazienti, supportata da un adeguato uso della terminologia medica che fornisce un arricchimento essenziale per conferire un plus realistico alla storia, siamo condotti, guidati dalla voce ricca di pìetas di Anselmo, lungo i corridoi della follia umana che, nel lento e tortuoso districarsi delle sue sfaccettature, prende a modello l’Inferno dantesco ricalcandone quel sentimento di dolore, strazio, pena, solitudine e compassione a cui Tobino sembra ispirarsi.

La struttura stessa del libro, a racconti, può ricordare la suddivisione dantesca dei trentatré canti infernali, o direttamente i gironi dell’Inferno, ma ai peccati ed ai peccatori lo scrittore del novecento sostituisce le malattie ed i pazienti e proprio per questo è possibile tracciare un ulteriore parallelismo tra il poeta fiorentino ed il protagonista di Per le antiche scale: laddove il primo, con il procedere del viaggio, chiede, studia, analizza e ottiene le storie che hanno segnato il giudizio ultraterreno dei dannati (così come di coloro del Purgatorio e del Paradiso) provando costantemente una profonda empatia nei riguardi degli innumerevoli personaggi che contraddistinguono ogni cantica; in egual modo Anselmo, la cui missione non è la salvezza della propria anima momentaneamente smarrita, ma la ricerca di una cura o quantomeno di un modus operandi attraverso cui comprendere e curare le condizioni dei malati di mente del manicomio, si interessa a quest’ultimi con quell’umanità professionale grazie alla quale è possibile andare oltre l’elementare (pre)giudizio di relegare i matti come scarti della società o prodotti difettosi del mondo, figli di un sfortunata variazione genetica degenerativa.

Lo sguardo complessivo che Mario Tobino offre del manicomio è quello di un’istituzione complessa e dinamica, ma essenziale di cui la civiltà non può fare a meno in quanto luogo sicuro non tanto per coloro che vivono nella “normalità” all’infuori delle sue mura, ma perché parentesi di studio e pace dove i suoi abitanti possono essere protetti dai pericoli del mondo esterno così come dai propri; tutt’altro che compassionevole, la penna dell’autore non indugia nel sottovalutare la gravità che la schizofrenia, la depressione, la mente stessa rappresentano per i malati e di conseguenza non vengono meno le critiche quando si vuole, nell’ignoranza di chi non vive di quel mestiere, liquidare i “matti” come persone stravaganti oppure quando non si porta loro rispetto, ricordando che se da una parte questi hanno degli evidenti disturbi, dall’altra restano e sono sempre esseri umani.

Analizzando racconto per racconto ci si imbatte in maniaci depressivi, vittime di potenti allucinazioni, erculei cavatori dal volto di cherubini (un forte richiamo, in questo caso, a Uomini e topi di Steinbeck), a suore indotte a rinnegare Gesù (naturale pensare alla Gertrude di Manzoni), fanciulle in preda a sogni blasfemi, credenze popolari un tempo materia adatta per una caccia alle streghe o a vecchi marinai in attesa di salpare per un’ultima destinazione i cui viaggi passati hanno quel contorno metaforico che richiama The rime of the ancient mariner di Lord Byron.

C’è, infine, l’amore per il poeta Dante, percepibile anche a livello lessicale, figura di primaria importanza per Mario Tobino tanto che nel 1974 pubblicherà “Biondo era bello” di cui Dante è il protagonista; l’attaccamento alla campagna toscana che trova il proprio punto di forza nella struttura a narrazione a cornice che richiama il Decameron del Boccaccio, fino agli omaggi alla letteratura classica in quelli che sono i nomi di Virgilio, Ulisse e Circe; il tutto senza mai omettere un’amara vena ironica e critica nei riguardi della politica, specie nei confronti degli anni del fascismo, come ben si evince dal racconto “Negazione e immortalità”.

Per le antiche scale disegna con precisione la degenerazione della mente umana con tinte tanto forti quanto decadenti, tracciando una mappa ben delineata di quello che è un luogo dove i sommersi annegano sempre più affondo negli oscuri meandri della malattia ed i medici hanno il compito di alleviare quella lenta discesa, tentando al contempo di dar loro la speranza di una cura; se, però, c’è un qualcosa che Mario Tobino vuole sottolineare con enfasi è che ciò che colpisce la mente non ha ripercussioni sul cuore: i matti possono affogare nella tenebra della ragione deviata, ma l’essenza dei loro sentimenti rimane pura: amore, rabbia, egoismo, generosità, sono l’ultima scintilla che continua a far di loro, in tutto e per tutto, uomini e donne.

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Claudio Fedele

Nato il 6 Febbraio 1993, residente a Livorno. Appassionato di Libri, Videogiochi, Arte e Film. Sostenitore del progetto Uninfonews e gran seguace della corrente dedita al Bunburysmo. Amante della buona musica e finto conoscitore di dipinti Pre-Raffaelliti.
Grande fan di: Stephen King, J.R.R. Tolkien, Wu Ming, J.K. Rowling, Charles Dickens e Peter Jackson.

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