19 Marzo 2024

A cent’anni dalla nascita di Federico Fellini vi proponiamo un ritratto del grande regista attraverso un medley della sua vita.

Oggi, 20 gennaio 2020, ricorre il centenario della nascita del più grande regista italiano, il romagnolo Federico Fellini, uno dei tanti figli di quella generazione che intorno ai vent’anni ha vissuto la seconda guerra mondiale, e che più delle altre al termine è stata chiamata a ricostruire un’Italia distrutta sotto ogni punto di vista, anche e soprattutto culturale. Se volessimo dare un percorso logico al racconto di una personalità tanto complessa, come in un medley fatto di tanti momenti diversi della sua vita, di ritagli dei suoi film e dei temi a lui più cari, non potremo che partire proprio dall’aspetto biografico. È la vita stessa di Federico Fellini che ha permeato la sua produzione cinematografica, emergendo a tratti, e più o meno intensamente, in tanti dei suoi film.

Più volte infatti Fellini ha raccontato dietro la cinepresa l’infanzia e l’adolescenza della sua generazione, in particolare la sua, vissuta a pochi chilometri da Rimini: un periodo permeato da sabati fascisti, da un’educazione rigida, dal perbenismo di stampo cattolico che a lui stava un po’ troppo stretto; lo si vede in ‘Amarcord’ come nei flashback del suo capolavoro ‘Otto e mezzo’. Una rigidità da cui amava fuggire, inventandosi storie e personaggi, che poi disegnava, dando vita a fumetti satirici e caricature, fino a sbarcare a Roma, dove in piena guerra tentò la carriera di giornalista, di vignettista, poi la radio e infine l’approdo come sceneggiatore e regista. Iniziò presto la sua carriera da sceneggiatore, quando a soli 25 anni partecipò alla stesura della sceneggiatura di ‘Roma città aperta’ di Roberto Rossellini. Siamo in pieno periodo neorealista, il movimento che dominerà il cinema d’autore del dopoguerra italiano, un mondo che Fellini conoscerà a fondo, fino a distaccarsene per dare vita al proprio cinema. A quegli anni risalgono gli incontri più importanti della sua vita, tra tutti l’incontro con Tullio Pinelli e Ennio Flaiano, che saranno gli sceneggiatori con cui darà vita ai suoi più grandi capolavori.


È del 1952 il suo esordio alla regia, con un soggetto scritto insieme a Michelangelo Antonioni, una sceneggiatura coscritta con Ennio Flaiano e un’interpretazione magistrale di Alberto Sordi: ‘Lo Sceicco bianco’, un film in cui il realismo viene contagiato da elementi onirici, è l’inizio di uno stile nuovo, che in partenza non viene apprezzato dal pubblico.

Da quel primo film del 1952, la produzione cinematografica di Federico Fellini non si è più fermata, culminando, dopo diversi premi e riconoscimenti (tra cui 3 oscar e 12 candidature), nell’oscar onorario alla carriera, consegnatogli da un’emozionata Sofia Loren a pochi mesi dalla morte, nel 1993, sotto la commozione generale di tutta l’Academy.

E in effetti a venticinque anni dalla sua morte, proprio tra gli attori più gettonati di Hollywood, sono molti quelli che riconoscono in Fellini un maestro assoluto del cinema, da Leonardo Di Caprio fino a Scarlett Johansson, ma nell’analizzare i perché del suo successo internazionale, sono tanti gli elementi da considerare. Innanzitutto le collaborazioni fortunate, per prime quelle con due grandi scrittori e sceneggiatori quali Pinelli e Flaiano, in secondo luogo il legame con Nino Rota, autore delle colonne sonore dei suoi film più celebri. Tuttavia la più fortunata collaborazione, perlomeno dal punto di vista pop, resterà quella con l’attore Marcello Mastroianni, da molti definito proprio come l’alter ego di Fellini nei suoi film. Mastroianni non è il solo grande attore legato a Fellini, sono anzi molte di più le attrici consacrate al pubblico dai suoi film, tra le quali spiccano sicuramente Anouk Aimée, Sandra Milo, Claudia Cardinale, Anita Ekberg e infine Giulietta Masina, suo inseparabile – ma combattuto – amore, che aveva sposato nel 1943.

Non è un caso che Fellini, un po’ come Mastroianni nei suoi film, si circondi di donne: la sua passione per il genere femminile infatti ricorre più volte nella sua burrascosa vita sentimentale come nei suoi film, lo si capisce bene guardando ‘Otto e mezzo’ o ‘La dolce vita’; e non solo le donne ma anche una città sarà immortalata per sempre nel suo cuore come nella sua cinepresa, ed è Roma.

Alla Città Eterna Federico Fellini ha dedicato anche ‘Roma’, uno dei suoi film più audaci e complessi, un’opera estetica e allegorica di notevole valore ma di non facile digeribilità. Non adatta a tutti. Non almeno quanto ‘La dolce vita’, film che erroneamente ha consacrato Cinecittà nell’immaginario dell’Italia-american-dream di quegli anni, ma che è quanto di più lontano ci sia dall’osannare lo stile di vita delle star del cinema di via Veneto. Al contrario Fellini in quel film anticipa la decadenza della società, lo fa all’inizio degli anni ’60 e con un’estetica difficilmente raggiungibile, attraverso il connubio tra Mastroianni e la Ekberg che fanno il bagno nella Fontana di Trevi di notte. E si sa, Roma di notte è tutta un’altra cosa.

Lo racconta bene il suo amico Vincenzo Mollica, giornalista e scrittore storico della Rai, ormai prossimo alla pensione. In una recente intervista Mollica ha raccontato di quando con Federico Fellini giravano la notte per il centro di Roma, in particolare per via della Conciliazione, in cerca di ispirazione, di storie, di personaggi da narrare. Questa forse è l’immagine più forte dell’autenticità tipica della penna di Fellini, che prende storie di vita e le filtra a seconda della propria visione, per restituirle al grande pubblico immerse in un realismo onirico. Uno stile narrativo e una caratterizzazione che rendono i personaggi così tanto reali da risultare irraggiungibili a chiunque. Fellini nei suoi giri di notte si ferma più volte alle cabine telefoniche, chiede a Mollica di aspettarlo, poi ripartono, però a chi doveva telefonare così spesso il regista, ce lo lascia intendere Mastroianni in ‘Otto e mezzo’.


Federico Fellini è stato un “visionario, che – come afferma lui stesso – è l’unico realista”, è sotto questa luce che i suoi film hanno quasi sempre più chiavi di lettura, e fermarsi a un primo sguardo, alla scena così per com’è presentata allo spettatore, non esaurisce mai del tutto il valore dell’opera. I più celebri film di Fellini, specie quelli dove è presente Mastroianni, sono permeati da una dicotomia che riprende i primi due stadi kierkegaardiani dell’esistenza: la dimensione estetica e la dimensione etica, due stili di vita che si contrappongono, entrando in conflitto e offrendo due differenti strade. Tutto è riconducibile a questo dualismo, ma ad essere sinceri è in due film più che in altri che emergono tutti i temi cari a Fellini, e sono la Roma dei paparazzi della ‘Dolce vita’ e la vita tormentata del regista Guido di ‘Otto e mezzo’.

Nella ‘Dolce vita’, pellicola che si apre con un elicottero che passa sopra gli attici della Roma-bene che vive la sua trasformazione all’inizio degli anni ’60, la dimensione etica e la vita estetica vivono in un sottile contrasto, quasi una linea di demarcazione, e Fellini con magistrale arte cinematografica, conduce lo spettatore a calpestare il confine tra queste due; lo fa attraverso le vicende del protagonista Marcello, che si abbandona lentamente alla decadenza della mondanità, fino a rifiutare la mano finale, l’unica che può ancora salvarlo, rappresentata dalla purezza della ragazzina sulla spiaggia. Fellini con una scena di puro cinema, senza usare parole, conduce lo spettatore verso una scelta: stai con Marcello, o stai con la ragazzina? È una critica spietata la sua, che emerge dalla leggerezza di chi ha conosciuto bene quel mondo, di chi ne è stato affascinato al punto di esserci cascato in pieno, un po’ come il suo Marcello.

Il tema della decadenza della società vissuta come dualismo tra la vita etica ed estetica, è portato alla luce in modo ancora più intimo in ‘Otto e mezzo’. Sono passati appena tre anni dalla ‘Dolce vita’, Fellini ha finito di girare il suo episodio del film a più mani ‘Boccaccio ‘70’, e si trova in un periodo di blocco, dove accumula idee vaghe, confuse e soprattutto senza una conclusione, deve presentare al suo produttore Rizzoli le tante idee, ma è sempre più sicuro di rinunciare, poi durante il compleanno di un macchinista si siede su una panchina e ha l’illuminazione finale: il film parlerà proprio di questo, dell’indecisione di un regista nel concludere il proprio film. Sarebbe facile leggere questo significato in ‘Otto e mezzo’, ma se così fosse saremmo totalmente fuori strada. Al contrario ‘Otto e mezzo’ è un film poliedrico e onirico, dai tanti significati, un film che parla dell’indecisione di un regista, del senso della sua vita, del rapporto con le donne che ha amato, delle tante sfaccettature di cui è composta la nostra personalità, del senso religioso, della ricerca continua, della smania di vivere, e soprattutto è un film sul valore dell’arte, in questo caso del cinema. Il tutto è condito dai molti flashback della vita del protagonista, che racconta, attraverso la sua famiglia e la sua infanzia, le sensazioni più intime, più personali e tutta la magia di una mente complicata, ironica e sensibile.

Non solo, perché in ‘Otto e mezzo’ Fellini presenta la magia, il senso del peccato (extra Ecclesiam nulla salus, dice il cardinale quando il protagonista lo incontra alle terme) e tutto si fonde in un motto ripetuto da un’indovina incontrata in una serata di gala: “asa nisi masa”, l’anagramma di anima. Un film complesso, dove Mastroianni interpreta il suo più grande personaggio di sempre, combattuto tra uno stile di vita etico che ha imparato da bambino e la vita estetica che lo ha tentato per tutta la vita, e in questa perenne indecisione è permeato di tante facce diverse: il seduttore disincantato, il cinico predatore, il nostalgico “fanciullino”. Otto e mezzo è un circo di ritagli di vita, una “sarabanda” (come lui ripeteva spesso) di incontri e ricordi, di passioni e sogni, è la sua vita accostata ad un film in via di sviluppo, ma nessuno sa se valga davvero la pena girarlo, non lo sa nemmeno il critico del monologo finale, è il senso della vita tanto cercato e mai raggiunto, che si scioglie in un “lampo di felicità improvviso” nel finale, finendo in una banda, come al circo, come nei giorni di festa in paese. È la vita secondo Fellini, molto più che un film.

A dire il vero Federico Fellini ha molto da insegnarci ancora oggi, e questo medley narrativo un po’ sgangherato, scritto come fosse un monologo di Guido in ‘Otto e mezzo’, non vuole essere che un incipit, che apra la strada della curiosità, con l’obiettivo di introdurre il lettore a uno dei più grandi registi, scrittori e sceneggiatori del novecento, un visionario che con la propria immaginazione ha lasciato un impronta indissolubile nella storia del cinema.

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