3 Ottobre 2024
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Il M° Marcello Lippi

Il 25 febbraio sarà rappresentata al Teatro Verdi di Pisa l’opera The Tell-Tale Heart composta nel 2004 dal M° Bruno Coli appositamente per il baritono genovese Marcello Lippi. L’opera sarà eseguita in sala Titta Ruffo per il ciclo delle opere da camera (per maggiori informazioni teatrodipisa.pi.it). Trattandosi di un’opera assai particolare (tanto per il soggetto quanto per la realizzazione) ho ritenuto opportuno presentare un articolo che contenesse una breve introduzione a quanto andremo ad assistere a fine mese, pertanto ho chiesto al M° Lippi, professionista di altissimo profilo e già direttore artistico del Teatro di Pisa, se potesse rilasciare una breve intervista ad Uni Info News. Il Maestro –  con la sua consueta cortesia e gentilezza – ha subito accettato la proposta, motivo per cui lo ringrazio sentitamente anche a nome della Redazione.

Luca Fialdini: L’opera che interpreterà il 25 febbraio, The Tell-Tale Heart di Bruno Coli, è tratta dall’omonimo racconto di Poe (ossia Il cuore rivelatore). Qual è il suo rapporto con Edgar Allan Poe e le sue opere?
Marcello Lippi: Complicato, i suoi racconti fantastici hanno un effetto decisamente ansiogeno su di me. Sono piccoli capolavori horror che affrontano con coraggio il paranormale e l’assurdo. In questa opera in particolare si scava nella mente malata del protagonista che ha ucciso perché ossessionato dagli occhi del vecchio che lo guardavano (un elemento molto comune nei romanzi psicanalitici) e confessa il delitto perché sente (solo lui) il battito del cuore del vecchio da sotto il pavimento dove lo ha nascosto. La sua vittima è morta e dunque questo battito è nella mente dell’omicida. Paranormale ed assurdo dunque raccontati con rara maestria creando un ambiente di profonda angoscia. Poe non è solo un autore neogotico, ma ha il coraggio di aprire la strada al racconto psicologico. La lettura dei suoi Racconti fantastici non mi ha mai lasciato tranquillo. Diverso ovviamente il rapporto con le sue opere poetiche, i romanzi ed i polizieschi.


L. F.: The Tell-Tale Heart è un’opera molto particolare, ossia un monologo per baritono solo, il cui unico personaggio è un folle omicida. Ha incontrato difficoltà nell’interpretare un personaggio dalla così forte caratterizzazione?
M. L.: Enormi difficoltà. L’esecuzione di quest’opera mi lascia svuotato, privo di risorse fisiche e psichiche. E’ innanzitutto una prova d’attore molto grande, una sfida con me stesso condotta all’estremo: mi viene richiesto di superare il limite della pazzia, per rendere credibile la follia del protagonista, ma nello stesso tempo devo essere lucidissimo mentalmente per intonare le note esatte, spesso di non facile intonazione, e ricordare bene il testo, che è in inglese. Il personaggio si contraddice continuamente, nel suo desiderio di convincere gli ascoltatori che lui non è pazzo, perché un pazzo non avrebbe potuto commettere così bene quell’omicidio; però gli scatti di nervi, sin dalla prima nota, le urla improvvise, tradiscono invece che la realtà è proprio quella che Lui vuole nascondere e riaffiora sotto forma di un suono di campanello che sente continuamente e d’improvvisi atteggiamenti autistici di difesa davanti all’ossessione. L’ulteriore sfida sta poi nell’essere solo in scena per un’ora recitando un monologo in cui tutto è raccontato e niente avviene e catturare sempre l’attenzione del pubblico, ripeto, recitando in inglese. In questo deve ovviamente aiutarmi il regista, ma penso che con Lorenzo Mucci non avrò problemi perché è uomo di teatro e saprà come mettermi nella condizione di interpretare al meglio il personaggio.

L. F.: Come ha spiegato Lei stesso alla presentazione delle opere da camera che saranno rappresentate al Teatro Verdi nel corso di questa stagione lirica, il M° Coli ha scritto quest’opera per Lei, modellando il personaggio sulla Sua vocalità. Dato il peso che il baritono ha in The Tell-Tale Heart, Lei ha direttamente influenzato la stesura del libretto od il momento compositivo vero e proprio?
M. L.: Il libretto è il testo di Edgar Allan Poe integrale senza nessun tipo di rielaborazione, solo con qualche ripetizione di parole. Il momento compositivo è stato un lungo periodo di confronto tra due artisti che sono diventati anche molto amici nella vita. Il maestro Coli mi convocava a casa sua, mi faceva ascoltare le pagine appena create, le commentavamo insieme, oppure spesso mi telefonava, mi diceva “ascolta” e si metteva al pianoforte. E’ stata un’esperienza bellissima. Io non ho influito sulla musica se non in piccolissime cose: per esempio ho chiesto ed ottenuto che ogni tanto ci fosse qualche istante di silenzio per il cantante per recuperare energie e riposare ed il maestro mi ha accontentato scrivendo pregevoli momenti orchestrali. Spesso il maestro Coli mi telefonava per chiedermi se fossi stato in grado di fare alcune follie vocali, come cantare in voce di falsetto, cantare le note più basse  dell’ottava 2 (non ci cantano nemmeno i bassi profondi) con voce di Popeye, fare grandissimi acuti e subito note bassissime….insomma, ogni tanto studiava come torturarmi un po’! Aveva chiaro sin dall’inizio che la follia si sarebbe dovuta manifestare nella musica e nella voce e così è stato, con rara maestria.

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Il M° Bruno Coli

L. F.: La composizione di quest’opera risale al 2004, quindi è lecito dire che si tratta di musica contemporanea. Qual è il suo rapporto con la musica contemporanea, in particolare con l’opera contemporanea?
M. L.: Questa domanda mi mette un po’ in difficoltà perché mi richiede una valutazione sulla musica contemporanea come se questa avesse un’uniformità di stili e movenze. Devo distinguere: certa musica contemporanea ha perso dagli anni ’60 in poi ogni contatto con il pubblico, nel suo rifiuto ostinato e violento della consonanza e della bellezza; si è rinnegato, in nome di teorie avulse dalla realtà, il principio stesso di artigianato, di conoscenza compositiva. Certa musica “aleatoria”, fatta a caso, sul momento, con segni astrusi sullo spartito, rinnega di fatto quella conoscenza di base che ogni musicista deve avere. Dà l’impressione, e spesso è più di un’impressione, che chiunque potrebbe scrivere una musica così, anche senza conoscere nemmeno le note musicali. Nel campo dell’opera si è rinnegato il rapporto testo-musica, facendo contrastare i due elementi, respingendo con orrore qualunque accenno di melodia o di consonanza. Si è teorizzato ciò al punto da ghettizzare autori sommi come Nino Rota o Giancarlo Menotti perché osavano usare ancora la melodia; la loro musica era catalogata come “facile”, il peggior insulto che si potesse dare. Così l’opera contemporanea ha perso il contatto con il pubblico che invece il Bello lo richiede e cerca. Oggi molti compositori tornano ad una musica più comprensibile e teatrale con convinzione e io li incoraggio. La nostra stagione da camera è infatti un luogo dove i nuovi compositori possono fare eseguire la loro musica, ma spesso abbiamo eseguito autori contemporanei anche nella sala grande. L’opera di Coli, scritta per grande orchestra ed eseguita così al Teatro Sociale di Rovigo, sarà purtroppo eseguita a Pisa in forma cameristica per pochi strumenti, per esigenze di budget.

L. F.: Il legame tra la musica contemporanea ed il pubblico è molto instabile: a differenza di quanto accadeva in passato, ossia che il pubblico chiedeva costantemente nuove sinfonie, nuovi concerti e nuove opere, oggi gli spettatori preferiscono i compositori del passato. Secondo Lei, ci sono ancora occasioni in cui la musica contemporanea possa tornare ad occupare un posto di primo piano nel panorama culturale moderno?
M. L.: Assolutamente sì, purché si accetti il fatto che il pubblico si sia impoverito culturalmente, dato l’impoverimento generale della nostra società, e non gli si possa chiedere di confrontarsi con operazioni intellettualistiche prive di fascino. Chi viene a teatro lo fa per passione, ma cerca la Bellezza, non le elucubrazioni mentali di un autoreferenziato Vate della musica. Il “tutto esaurito” per l’opera “Lyric Puppet show” di Simoni nella sala Ruffo del Teatro Verdi di Pisa testimonia che il pubblico ha voglia di una musica nuova contemporanea che lo affascini e stimoli intellettualmente. Il successo che ha avuto il Musical in questi anni testimonia che siamo nella società dell’immediatezza, il pubblico si riconosce ancora nelle storie efficaci, nelle melodie da fischiettare per strada, nella musica come arricchimento spirituale e come speranza di un mondo migliore.

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Edgar Allan Poe

L. F.: La Sua attività di cantante l’ha portato ad esibirsi frequentemente all’estero. Come valuta la situazione musicale, in Italia e all’estero?
M. L.: Per risponderle adeguatamente non basterebbe un libro. La cruda verità è che io lavoro prevalentemente all’estero perché laggiù il mio lavoro viene retribuito regolarmente, in Italia no. Il cantante oggi è un lavoratore al quale viene chiesto sempre più spesso di esibirsi gratuitamente o quasi e che poi, per avere il compenso pattuito in contratto, deve fare causa ai teatri per riavere dopo anni quanto gli spetta. Non così al teatro di Pisa che si fa vanto della propria serietà e retribuisce gli artisti il giorno dopo la recita. Con questa politica possiamo ospitare i migliori cantanti, i quali sanno che riceveranno il giusto compenso regolarmente. I teatri in Italia sono ormai da tempo gestiti da manager in prestito dalla politica e da dirigenti riciclati da attività amministrative varie, l’importante è, giustamente, il budget, ma non si pensa più alla cultura, all’arte, alla Bellezza. Ne è testimonianza il fatto che sono pochissimi i musicisti di fama alla guida dei teatri, vengono considerati inutili perché si pensa che il loro lavoro lo possa fare chiunque. E così i teatri muoiono lentamente.

L. F.: Data la situazione che sta attualmente vivendo la musica in Italia, qual è il Suo consiglio per i giovani musicisti?
M. L.: Più che un consiglio, credo che i giovani musicisti abbiano bisogno di un abbraccio e di una voce controcorrente che dica loro “Andate avanti, più cercano di farvi smettere più andate avanti”. Il musicista vero lo è per vocazione, non potrà mai essere felice se non assolverà il compito che gli è stato destinato. L’artista vive una necessità, anche l’artista stupido ed incosciente, quello che cerca un’affermazione personale e non vive la propria arte come un servizio agli altri. Benedico quindi i giovani che in questo tempo buio, nel quale chi è ignorante non si vergogna più di esserlo ma se ne vanta, iniziano questo cammino virtuoso che li farà crescere ed essere uomini veri e lotto perché ci sia un palcoscenico che li aspetti, perché ci deve essere un premio alla loro fatica. Diamo un futuro alla musica! Il mondo ne ha bisogno.


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Luca Fialdini

Luca Fialdini, classe '93: studente di Giurisprudenza all'Università di Pisa e di pianoforte e composizione alla SCM di Massa e sì, se ve lo state chiedendo, sono una di quelle noiose persone che prende il the alle cinque del pomeriggio. Per "Uni Info News" mi occupo principalmente di critica musicale.

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