25 Aprile 2024

Non ci sono tutù o ventagli colorati nella nuova versione di Io, Don Chisciotte per la regia e coreografia di Fabrizio Monteverde, creata per il Balletto di Roma, compagnia con la quale negli ultimi vent’anni ha stretto un profondo sodalizio artistico, in scena al Teatro Verdi di Pisa lo scorso 8 febbraio.

Monteverde non teme il confronto con il repertorio classico, come già ampiamente esplorato con i grandi successi ottenuti insieme alla storica compagnia romana di Romeo e Giulietta,Otello, Bolero, Cenerentola,Il Lago dei Cigni, ovvero Il Canto.


Attratto dal raccontare storie, “lo spazio che c’è tra una parola e l’altra”, il coreografo ha saputo dare una forte impronta autoriale nelle sue coreografie. Come lo si evince dal titolo Io, Don Chisciotte, il suo cavaliere errante è stato abilmente rivisitato in una chiave più realistica e contemporanea, volta a indagare i risvolti psicologici e introspettivi dei protagonisti.

Don Chisciotte della Mancia 

Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes è un uomo diventato pazzo dal tanto leggere e compie una scelta ben precisa: vivere in un mondo che forse non esiste più, ma al quale affida il suo animo combattente. Un cavaliere errante che, in sella al suo destriero Ronzinante e insieme al suo fedele scudiero Sancho Panza, decide di intraprendere un viaggio avventuroso per combattere le ingiustizie guidato da grandi valori morali e dall’amore per Dulcinea del Toboso. Battaglie che puntualmente finiscono con una sua rovinosa sconfitta.

ph Gabriele Orlandi

Don Chisciotte nella società di oggi

Monteverde lo immagina come un outsider di una società che non riconosce il senso della poesia. È un senzatetto con un’ampia giacca sdrucita, ma sempre accompagnato dai suoi amati libri.

Interpretato abilmente da Francesco Costa, il cavaliere errante contemporaneo è un fragile sognatore dimenticato da una società composta da uomini comuni, di passaggio, che attraversano il palcoscenico e idealmente la vita, camminando velocemente senza porre l’attenzione ai valori di un tempo. Perfino il suo destriero Ronzinante è un reietto della società: un’automobile da rottamare.

Come la locuzione latina “nomen omen” Monteverde immagina il basso e grassottello Sancho Panza, interpretato da Azzurra Schena, come un’altra outsider, una senza tetto in dolce attesa.

Entrambi accomunati dalla solitudine della vita di strada, cercano di evadere dalla realtà attraverso dei viaggi mentali dovuti all’abuso di sostanze stupefacenti. Mentre nel balletto classico ottocentesco di Marius Petipa Don Chisciotte sogna la donna amata Dulcinea, dopo essere stato sconfitto dai mulini a vento, qui il cavaliere s’immagina l’amore più terreno e meno idealizzato con le donne di strada durante un “trip” mentale.


ph Gabriele Orlandi

Il continuo gioco di rimandi con il balletto classico è evidente oltre che nella scelta musicale di Ludwing Minkus, anche nella scena finale nella quale alcune danzatrici colpiscono con arco e frecce il cuore di Don Chisciotte, così come il Cupido di Petipa tentava di far innamorare il cavaliere con le sue frecce.

Se Dulcinea rappresenta il prototipo della principessa nobile nell’animo e nell’aspetto nel Don Chisciotte di Cervantes, nella coreografia di Monteverde, interpretata da Roberta De Simone, è una donna che, mossa da un senso di rinnovata umanità, si allontana da una società fredda e indifferente.

Questo dualismo emarginati e società è molto evidente nelle gestualità: i primi intensi, fluidi e coinvolgenti, sono contrapposti agli altri, uomini e donne comuni, che eseguono movimenti più forti, schematici, seguendo linee geometriche precise e pulite anche durante le danze spagnoleggianti.

Struggente è il finale nel quale Sancho come una novella Maria, lava il corpo del Don Chisciotte cosparso di sangue. La tradizionale iconografia del Don Chisciotte viene ripresa con grande effetto drammatico utilizzando la bacinella d’acqua come elmo e un bastone come lancia.

ph Gabriele Orlandi

A tutti gli illusi

La dedica sonora della voce recitante in apertura di sipario, A tutti gli illusi, tratta dal Don Chisciotte, diario intimo di un sognatore, di Corrado D’Elia, è un chiaro invito a sognare e cercare qualcosa in cui credere, che siano viaggiatori, cavalieri erranti o teatranti. Così come il Don Chisciotte, l’eroe che nonostante tutto lotta, cade e si rialza. Questa è la battaglia, ancora attuale, dell’irriducibile Don Chisciotte che tutti noi dovremo portare avanti.

A tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento.
Ai pazzi per amore, ai visionari,

a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno.
Ai reietti, ai respinti, agli esclusi. Ai folli veri o presunti.
Agli uomini di cuore,
a coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro.
A tutti quelli che ancora si commuovono.
Un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni.
A chi non si arrende mai, a chi viene deriso e giudicato.
Ai poeti del quotidiano.
Ai “vincibili” dunque, e anche
agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo.
Agli eroi dimenticati e ai vagabondi.
A chi dopo aver combattuto e perso per i propri ideali,
ancora si sente invincibile.
A chi non ha paura di dire quello che pensa.
A chi ha fatto il giro del mondo e a chi un giorno lo farà.
A chi non vuol distinguere tra realtà e finzione.
A tutti i cavalieri erranti.
In qualche modo, forse è giusto e ci sta bene…
a tutti i teatranti.

 

 

 

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Marta Sbranti

Marta Sbranti, classe 1989. Dopo il Diploma presso l'Istituto d'Arte Franco Russoli di Pisa mi sono laureata in Scienze dei Beni Culturali curricula storico-artistico. Ho conseguito la Laurea Magistrale in Storia delle Arti Visive, dello Spettacolo e dei Nuovi Media, presso l'Università di Pisa. La mia tesi di laurea "Musei e Danza" unisce le mie due grandi passioni la danza e l'arte, che coltivo fin da piccola.
"Toccare, commuovere, ispirare: è questo il vero dono della danza".
(Aubrey Lynch)

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