27 Luglio 2024

 

Il 14 e il 15 novembre il Teatro Goldoni di Livorno è stato lieto di aprire la sua stagione di prosa con un caposaldo della letteratura del Novecento firmato Umberto Eco “Il nome della rosa”, nella sua prima trasposizione teatrale attraverso il lavoro drammaturgico di Stefano Massini ( autore recentemente della “Lehman Trilogy” di Luca Ronconi) e la regia di Leo Muscato.

   Portare sul palcoscenico “Il nome della rosa” è stata indubbiamnete un’ardua e appassionante sfida per Massini e Muscato: il thriller e l’indagine da una parte; i tanti riferimenti colti e trasversali, il contesto storico e religioso, l’attualità dei temi, lo scontro tra oscurantismo e liberalismo dall’altra, facendone un esplicito omaggio all’autore recentemente scomparso. Ne è uscito uno spettacolo che si potrebbe definire un kolossal, per le compagnie coinvolte (ben 3, ovvero quelle degli Stabili di Torino, Genova e del Veneto), per l’imponenza e la varietà delle scenografie (curate da Margherita Palli) e per l’alto numero di attori coinvolti. Una narrazione che spazia tra il thriller, il fantasy, l’erudizione e la saggistica, in un’ambientazione costantemente enigmatica e onirica.


Il confronto con romanzo e film era il rischio maggiore, anche se – come ammette Muscato – “la struttura stessa del romanzo è di forte matrice teatrale. Vi è un prologo, una scansione temporale in sette giorni, e la suddivisione di ogni singola giornata in otto capitoli, che corrispondono alle ore liturgiche del convento”. Ogni capitolo è introdotto da un sottotitolo, che nel caso dello spettacolo assume le vesti del monologo tenuto dal frate ormai anziano che racconta, di modo tale che il lettore-spettatore già si orienti su ciò che andrà ad accadere. 

L’obiettivo di Muscato era proprio quello di rimuovere ogni immaginario precostruito dal romanzo di Eco e dallo splendido adattamento cinematografico di Jean Jacques Annaud: per fare ciò ci si è affidati alla scelta scenica di un uso massiccio, ma assolutamente suggestivo, di videoproiezioni, che hanno la capacità di evocare ambienti e atmosfere quasi fiabesche, oniriche; il tutto amalgamato con una mirabolante cornice architettonica, in un susseguirsi di transizioni spaziali che scandiscono la vicenda.

Adso da Melk, il vecchio frate benedettino intento a ricordare gli avvenimenti di cui è stato testimone in gioventù, diventa in questo spettacolo un io narrante sempre presente in scena, in stretta relazione con i fatti che lui stesso racconta, accaduti molti anni prima in un’abbazia dell’Italia settentrionale. Sotto i suoi (e i nostri) occhi si materializza un se stesso giovane, poco più che adolescente, intento a seguire gli insegnamenti di un dotto frate francescano, in passato inquisitore: Guglielmo da Baskerville. Il ricordo del vecchio Adso diventa così la struttura portante dell’intero impianto scenico, visto come “una scatola magica in continua trasformazione che possa evocare i diversi luoghi dell’azione: dalla biblioteca alla cappella, dalla cella alla cucina…”.

Il lavoro drammaturgico di Massini riesce comunque a mantenere una sostanziale fedeltà al testo originale, conferendo all’azione una sua compattezza, una sua efficace scorrevolezza e un ritmo asciutto, facendosi aiutare dalle musiche originali, miste a canti gregoriani eseguiti dagli stessi interpreti (notevole la voce di Arianna Primavera nell’etereo canto della ragazza, fra l’altro unica donna presente nel cast) creando così una dimensione percettiva quasi surreale, di assoluto fascino, che porta lo spettatore per un attimo a dimenticarsi del film di Annaud ed entrare dentro alle parole che escono dai personaggi.

Stefano è riuscito magistralmente a condensare in 2 ore di spettacolo il pathos, l’azione e la morale che sono alla base del nome della rosa, in una sinstesi perfetta in cui lo spettatore si sente partecipe alla risoluzione del caso, grazie ai ragionamenti che Guglielmo da Bakerville condivide con il pubblico. In definitiva uno spettacolo davvero ben progettato e coinvolgente che consigliamo a tutti di andare a vedere.

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"Il nome della rosa" spettacolo teatrale
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Chiara Sabbatini

Nata a Livorno il 25/09/1995 e laureata in Scienze dei Beni Culturali all'Università di Pisa. Coltivo da sempre una passione per l'arte e la letteratura, amo il cinema e il teatro e scrivo poesie nel tempo libero. Viaggiare mi affascina e non perdo occasione di ampliare i miei orizzonti. Fare del mio diletto, la giornalista, una professione, sarebbe un sogno che si avvera. Spero di appassionarvi con i miei articoli legati al campo dell'Arte e della Cultura.

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