10 Dicembre 2024

 “Le mie città nascono da incontri: il mio con un angolo della terra, quello dei miei piani imperiali con gli incidenti della mia esistenza d’uomo….”

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Ritratto di Adriano, Palazzo Massimo alle Terme, 117 d.C.

Qualche settimana fa, abbiamo cominciato insieme un viaggio a Villa Adriana ma, a causa dell’estensione della Villa (e soprattutto, della gran quantità di cose da raccontare), ci siamo dovuti fermare per una sosta al Teatro Marittimo. E’ però il momento di riprendere la nostra visita, proprio da dove ci siamo fermati ad osservare un imperatore speciale, che nella solitudine del suo isolotto artificiale, gestisce da solo le sorti del mondo ma soprattutto, si lascia rapire dalla Bellezza dell’arte e da profondità che danno le vertigini. Che Adriano desiderasse lasciarsi alle spalle il mondo reale, secondo me, lo possiamo capire proprio dalla Villa, in cui ha deciso di riportare tutti i luoghi del Mondo, per non smettere mai di viaggiare almeno con il sogno. Dal Teatro Marittimo e dalla adiacente Sala dei Filosofi, ci spostiamo quindi verso l’ala della Villa dedicata al grande amore dell’imperatore per la cultura: le prime strutture in cui ci imbattiamo sono infatti le biblioteche, con il loro cortile. Le due strutture, interpretate come la Biblioteca Greca e quella Latina, avevano la facciata principale sul giardino, che aveva una fontana parallela al muro della Terrazza, ed erano collegate attraverso un portico. La Biblioteca Greca era su tre piani, e quello superiore doveva perfino essere riscaldato attraverso un sistema di praefurnia e suspensurae (l’aria, riscaldata da forni situati al piano inferiore, correva in intercapedini sotto il pavimento e dietro ai muri, lo stesso metodo utilizzato per gli ambienti termali). La Biblioteca Latina, a due piani ha due sale disposte una dietro l’altra, di cui quella anteriore, aperta sul giardino con fontana, presenta nicchie rettangolari, mentre la sala doveva avere nell’abside sul fondo un gruppo statuario: entrambi gli ambienti erano rivestiti di marmo, sia sul pavimento che sulle pareti. Per quanto riguarda il Cortile, in realtà la struttura non è pertinente alle biblioteche, ma si tratta, come intuibile dalla tecnica muraria utilizzata (opus incertum), di un peristilio di età repubblicana poi riutilizzato per fare da collegamento tra i vari edifici circostanti. Di età repubblicana doveva essere anche il ninfeo sul lato N.


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Gli Hospitalia.

Alle spalle di queste strutture, troviamo gli Hospitalia, il Triclinio Imperiale e la Terrazza con il Padiglione di Tempe. Gli Hospitalia sono un complesso con un ampio corridoio coperto da mosaico bianco e nero, su cui si apre una doppia serie di cubicola (stanze da letto), che ospitavano ciascuno 3 letti. In fondo al corridoio centrale c’è una sala con nicchie sul fondo, anche queste probabilmente repubblicane. Una scala porta al Triclinio Imperiale, costituita da una sala per i banchetti con mosaico pavimentale circondata da due corridoi su cui si aprono numerosi ambienti. La Terrazza è un altro dei luoghi più suggestivi della villa, con il suo strettissimo rapporto col paesaggio, quasi intimo. Sulla terrazza si alza un padiglione a tre piani, di cui quello inferiore è un ninfeo. La sala affacciata sulla valle è decorata molto finemente, con statue e marmi, perfino più del Triclinio.

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Il palazzo.

Dall’altro lato del Cortile delle Biblioteche, arriviamo al Criptoportico Repubblicano, e da qui al Palazzo Imperiale vero e proprio, nell’area della villa repubblicana, di cui sono tate riutilizzate le strutture. Vi si accedeva da una scala dal Cortile delle Biblioteche, e la struttura è composta da un gioco di cortili, giardini e sale, circondati da colonne. Sul lato E, c’era un grande giardino, detto Giardino Superiore. Nella parte N del palazzo c’è un ambiente con piccole nicchie sul muro di fondo, probabilmente una biblioteca, nelle nicchie dovevano starci i libri. Siamo insomma davanti alla figura di un uomo che ha fatto dell’Arte e della Cultura la sua ragione di vita. Da qui si accede al Triclinio dei Centauri, una sala absidata,  suddivisa in tre navate da due file di colonne, che prende il nome da una delle raffigurazioni del mosaico pavimentale, il quadro con i Centuari assaliti dalle Belve, che si trova, caso strano, a Berlino, e altre rappresentazioni oggi ai Musei Vaticani. Al centro del palazzo, un pavimento a mosaico bianco con marmi colorati di età repubblicana: da questa sala si accede a un’esedra delimitata da file di colonne che introduce in un cortile; sull’altro lato, un ninfeo con fontane e gradinate. Infine, dall’altro lao, il Triclinio Estivo, con altre nicchie per statue e fontane, probabilmente un’altra area adibita a banchetti.

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Edificio dei Pilastri Dorici.

Passando poi accanto a un piccolo edificio detto “Dai pilastri Dorici” (la fantasia spesso viene a mancare), arriviamo finalmente a un altro dei luoghi famosi della Villa: la grande Piazza d’Oro, con i suoi spazi sconfinati. L’edificio ha un grande giardino centrale, con una vasca rettangolare affiancata da una serie simmetrica di aiuole e vasche, circondato da un portico a pilastri con semicolonne addossate. Lo spazio coperto era suddiviso in due navate da colonne in cipollino e granito verde. La tipologia degli ambienti, la presenza di giochi d’acqua, l’impiego esclusivo di opus sectile per tutti i pavimenti di questo edificio e l’uso di rivestimenti parietali a lastre di marmo, fanno interpretare quest’area come area di rappresentanza della Villa e, in effetti, si tratta di qualcosa di maestoso, uno spazio immenso, in cui sembra di potersi perdere, ma comunque restando al sicuro: una sorta di angolo in cui poter lasciar correre la mente restando ben saldi a terra: possiamo solo immaginare cosa doveva essere quando era abbellito da statue, marmi, mosaici, veri e propri capolavori che ci hanno sottratto il tempo e gli antiquari del ‘500.

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La Piazza d’Oro
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Edificio con Peschiera

Torniamo però indietro verso il Palazzo, per incontrare la Caserma dei Vigili, l’edificio con la Peschiera e infine il grande Ninfeo-Stadio. Direttamente collegato a Nord con il Pecile, le Terme e attraverso un passaggio sotterraneo con il Teatro Marittimo e la Sala dei Filosofi, il Ninfeo-Stadio aveva l’accesso principale dall’Edificio con Tre Esedre. In asse con la sala era un cortile fiancheggiato da portici, attraverso i quali si poteva raggiungere l’Edificio con Peschiera sul lato opposto. L’ala settentrionale è costituita da un giardino porticato ornato da una lunga vasca rettangolare, fiancheggiata da due fioriere delle stesse dimensioni. Seguiva un’area delimitata da pilastri, che forse sorreggevano un pergolato, con fontana quadrata al centro e sei fontane minori di forma esagonale all’esterno. Sul lato opposto, in una grande fontana a esedra con nicchia centrale e cascatelle, è un grande podio rettangolare circondato da colonne: probabilmente un triclinio estivo.

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Edificio delle tre esedre

Da qui, attraverso l’edificio con le Tre Esedre, torniamo al Pecile di cui abbiamo già parlato.

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La cavea del Teatro Greco
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Il tempio di Venere con la copia della statua di culto.

Ma la visita non finisce qua: ci sono infatti due edifici, un po’ distaccati dal resto del complesso, il Teatro Greco e il Tempio di Venere. Il teatro Greco era un piccolo teatro di corte per un ristretto numero di spettatori. Come tutte le altre strutture della villa, si adatta al paesaggio e alle sue curve in una completa armonia tra uomo e natura. E’ ancora percepibile l’andamento della cavea, distinta in due settori da un’unica scalinata centrale; alla sommità è un piccolo ambiente, forse la tribuna dell’imperatore. Il tempio di Venere invece è un ninfeo che si affaccia sulla vallata, costituito da un’area semicircolare al cui centro stava il tempietto: ai lati di questo erano due absidi con fontane. La statua di Afrodite, del tipo Cnidia, rinvenuta negli scavi è attualmente esposta presso l’Antiquarium del Canopo. Sono ancora visibilii resti del pavimento in opus sectile, che presenta un disegno diverso per ciascun ambiente del Ninfeo.


 

Ed è qui che finisce la nostra visita, anche se, come potrete immaginare, la Villa non è solamente questo, ma ci sono molti altri edifici, come le Terme, le Cento Camerelle e tante altre strutture di cui non ho potuto parlarvi. Si tratta infatti di una visita che non può annoiare, la Villa riesce sempre a sorprenderti, dietro ogni angolo, dietro ogni struttura, si aprono altre strade, altre vie, altri spazi sconfinati e architetture fantastiche. E’ come se l’Imperatore avesse deciso di portarci con sé, nel viaggio della sua vita, attraverso tutti i luoghi che ha percorso e quelli che ha solo immaginato. E’ come se avesse assunto fino in fondo il suo ruolo di Padre della Patria, non solo come guida politica e militare, ma anche e soprattutto come guida spirituale, un vero e proprio esempio da seguire, nel segno di una filosofia profonda, che coinvolge l’anima e il sogno. E’ impossibile, nei vari percorsi tracciati per noi dal suo sogno, non sentire il desiderio di perdersi e scoprire gli angoli più nascosti e segreti che qualcuno, tanto tempo fa, ha deciso di realizzare per tracciare un segno della sua strada e, perché no, della nostra.

“Sapevo bene che quella valle angusta, disseminata d’olivi, non era il Tempe, ma ero giunto in quell’età in cui non v’è una bella località che non ce ne ricordi un’altra, più bella, e ogni piacere s’arricchisce del ricordo di piaceri trascorsi. Consentivo ad abbandonarmi a quella nostalgia ch’è la malinconia del desiderio. A un angolo particolarmente ombroso del parco, avevo persino dato il nome di Stige; a una prato costellato d’anemoni quello di Campi Elisi, preparandomi così a quell’altro mondo i cui tormenti somigliano tanto a quelli del nostro, ma le cui gioie nebulose non valgono le nostre.”

 

Giulia Bertolini

Fonti: Ward-Perkins, Architettura Romana

MiBact

sito della Villa Adriana

UNESCO

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Giulia Bertolini

Sono nata a Livorno nel 1992, e fin da piccola alla fatidica domanda "Cosa vuoi fare da grande?", ho sempre risposto "L'archeologa", avendo bene in mente, lo ammetto, Indiana Jones. Dopo aver frequentato il liceo classico di Livorno, mi sono iscritta prima alla facoltà di Beni Culturali e poi alla magistrale in Archeologia dell'Università di Pisa perché, nonostante tutto, il grande sogno di "fare l'archeologa" non mi ha abbandonata. Le mie grandi passioni sono pala, piccone, pennellino e trowel, perché non c'è niente di più bello che portare alla luce anche i frammenti più piccoli e sapere di essere la prima persona a sfiorarli dopo secoli, ma anche tutto ciò che abbia l'odore dell'antichità, dai musei, ai siti archeologici, ai grandi personaggi.

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