È dalle 22.00 del 15 Luglio che tutti, su televisioni e social, stiamo cercando di capire cosa diavolo stia succedendo in Turchia. Qualcuno in realtà se lo chiede già da Novembre, e forse da un po’ prima.
Partendo dal fatto che invidio tantissimo tutti coloro che hanno in bocca la verità assoluta (chapeau), mi rendo conto bene che nessuna anima viva saprà mai la verità sul colpo di Stato. Sulle peregrinazioni del Sultano e del suo aereo. Sulle elezioni. Sulle bombe ad Ankara. Sui morti di Gezi Park. Potrei continuare fino a riempirne dieci di pagine, perciò ci do un taglio.
Ma ci siamo chiesti in Turchia la popolazione come abbia vissuto quelle ore? Cosa ne pensi del colpo di Stato, di Erdoğan, delle morti civili, della reintroduzione della pena di morte e del cambio dei vertici militari e giudiziari del Paese.
Non credo. Perché Erdoğan è cattivo (e fin qui siamo tutti d’accordo, credo) perciò deve essere spedito a calci da Putin rotolando per i sassi della Cappadocia.
Per quanto al momento non potrei desiderare altro, il fallimento del colpo di Stato dimostra che quello che vogliamo noi è del tutto ininfluente.
Perché il popolo, in Turchia, sta con il governo.
E se nelle città la sua popolarità può variare, e non essere così consistente, non crederete mai alla quantità di consenso che quell’uomo riscuote negli antri sperduti dell’Anatolia. A sud, soprattutto, ovviamente dove non vivono le maggioranze curde (curdi che al momento sono diventati il secondo Jinn per il Presidentissimo e il suo entourage, almeno).
E questo perché? Sostanzialmente – come sempre – per due ordini di motivi:
- Economici
- Sociali.
I tredici anni di politica nazionale di Erdoğan sono stati anni di benessere e stabilità politica, ma soprattutto economica.
Fortuna, per alcuni, stabilità che porta investimenti, per altri. Fatto sta che il “miracolo economico” è avvenuto, il Pil del Paese è triplicato, ed Erdoğan (appoggiato già dalle coscienze popolari) ha ottenuto l’appoggio riconoscente anche della piccola-media borghesia, in ascesa durante il suo mandato.
E poi c’è la questione sociale, più delicata.
Parliamo di contesti, come è facile immaginare, nei quali il tasso di istruzione è ridotto all’osso, e come avviene in ogni parte del mondo, con il crescere della povertà e l’abbassarsi del livello culturale, l’ignoranza e la religione prendono il sopravvento nella vita sociale.
E la differenza tra un uomo religioso con cognizione ed uno religioso per ignoranza, è grande.
(Parlo di uomini, non a caso. Avete visto una donna in piazza Taksim o sul ponte sul Bosforo? No, eppure le donne hanno diritto di voto, e – ci sarebbe da obiettare qualcosa, ma evito – sono molte le associazioni femminili che supportano Erdoğan, benché lui cerchi in ogni modo di togliergli ogni diritto.)
A scendere in piazza sono state persone alle quali Erdoğan ha fatto sentire il fiato sul collo del disordine sociale, che si sono strette attorno al supremo leader contro la minaccia jihadista (facendo dimenticare il fatto che Recep e Al-Baghdadi fossero compagni di merende) e contro la minaccia curda dei cattivissimi del Pkk.
Persone che hanno creduto che una personalità forte potesse unificare il Paese impedendo alle minacce esterne (sì, perché i curdi non sono turchi) di infiltrarsi nei tessuti sociali e burocratici. Vi ricorda nulla? La sua marcia su (Nuova) Roma il raïs l’ha avuta Venerdì.
Persone che hanno visto nel Noveau Régime dell’Akp quasi una salvezza, da un laicismo di Stato illuminato, da una costrizione ghibellina che l’Occidente ha salutato come traguardo d’arrivo al modernismo, condizione necessaria per l’accettazione nel Primo Mondo. Ma che il popolo, che pur vede Mustafa Kemal come Atatürk– il padre dei turchi – ha visto invece come la cosa più lontana dalla democrazia.
E non si parla di difesa del fondamentalismo. Si tratta di distinguere la difesa oltranzista delle tradizioni anacronistiche dell’Islam dal rigetto delle riforme “estremiste” di Atatürk prima e di İnönü poi. È sempre il solito vecchio dilemma: la democrazia imposta può definirsi libertà? Le altı ok kemaliste sono state imposte al popolo, che da un giorno all’altro si è visto privato della propria libertà ostensiva religiosa, e si è visto imporre un’uguaglianza negativa, fatta di privazione e non di accettazione.
“Kemal non ha chiesto alla mia gente cosa volesse, né cosa domandasse.”
Ho provato a capire cosa ne pensino i giovani turchi del nuovo sultanato, ho provato a capire perché un popolo che noi consideriamo oppresso sia invece sceso in piazza, abbia fronteggiato i carri armati, abbia fatto fronte comune dinanzi alla minaccia di rovesciamento.
E se le risposte cambiano in base al livello geografico/classista, c’è un minimo comune denominatore in tutte: il popolo ama Erdoğan.
E il popolo è stanco.
Ogni dieci anni in Turchia quella forza grigia che è l’esercito tenta (e a volte riesce) di sovvertire l’ordine costituito, di rovesciare l’ordine di Stato.
La gente (mi riferisco allo strato istruito delle città, che spesso studia e si forma all’estero) sa che Erdoğan non è un santo. Sa che il suo governo non è trasparente. Sa che da questo colpo di Stato ne trarrà il massimo vantaggio. Sa che 2750 giudici e magistrati sono stati – temporaneamente – destituiti dall’incarico, e 9 giudici della Corte Suprema arrestati. Sa che il governo strumentalizzerà il golpe trasformandolo nell’opportunità di sovvertire la legge, i diritti fondamentali, i principi basilari dello Stato. E sa che nulla di tutto ciò può chiamarsi democrazia.
Ma sa anche che al momento Erdoğan è l’unico che può garantirgli un benessere, una stabilità – risicata – che comunque nessun’altra personalità nel Paese potrebbe dare. Non Demirtaş o la Yüksekdağ, non Kılıçdaroğlu, non Devlet o Bahceli.
Nessuno crede che sia stata tutta una manovra del regime stesso. Certo è che nel gioco delle parti, il governo ne esce vincitore. “Duecento persone sono state uccise senza pietà. Apparentemente, nessuno può dire che Erdoğan sia responsabile per quello.”
Perciò il capro espiatorio per i morti e la confusione politica è stato trovato nel vecchio Gülen. Gülen – imam e politologo a capo del movimento dell’Hizmet – era un tempo amico e collaboratore del Sultano, fino alla fine degli anni ’90, quando a seguito del crescente scontro tra le forze armate ed Erdoğan (all’epoca leader del Partito del Benessere assieme ad Erbakan, Primo Ministro destituito nel ’97 proprio dall’intervento militare) decise di auto-esiliarsi negli Stati Uniti.
Vi ricordo che all’epoca il signor Presidente fu incarcerato non per spaccio di caramelle, ma per incitamento all’odio religioso.
“Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati.. ”
Mentre il vecchio Gülen (benché alcune delle sue posizioni siano ancora troppo passatiste per l’Occidente) propone una nuova immagine di un Islam moderato, aperto al dialogo interreligioso e con la Turchia come avanguardia per l’esportazione nel MO di un archetipo di progresso e modernità, idee troppo progressiste per essere accettate dalla frangia conservatrice della popolazione, e troppo conservatrici per essere accettate dai pronipoti kemalisti.
E il movimento di Gülen si sarebbe quindi infiltrato tra la polizia, nell’istruzione, nella magistratura e nell’esercito, che vi ha aderito pesantemente soprattutto in ragione delle “purghe” già avvenute negli ultimi cinque anni dopo il fantomatico piano Ergenekon e in previsione di quelle che sarebbero state ri-ordinate alle prossime riunioni del Consiglio Militare entro il prossimo mese, per eliminare ogni baluardo gulenista e kemalista dai vertici. E proprio dei militari il movimento si sarebbe servito per rovesciare il governo. (Una nota fatta trapelare proprio da loro giustifica il golpe come gioco d’anticipo in previsione dell’instaurazione della sharia da parte del satrapo oppressore.)
Perciò mentre noi siamo stati una notte intera a sperare che il golpe riuscisse, pregando che i militari tenessero fede alle promesse di ripristino della laicità e della tutela dei diritti, pregando che il Paese rimanesse saldo (perché ricordiamolo, a noi serve che la Turchia rimanga forte), pregando che allo stato delle cose il conseguente temporaneo blocco – necessario – della democrazia fosse una medicina migliore per il popolo del fondamentalismo in pillole che prescrive Erdogan, il popolo turco scendeva per le strade a difendere quello che per noi è il bastardo dittatore.
Ma come fanno notare i signori che ho stressato per tutta la giornata di ieri (non pischelli, ma avvocati e giuristi del Paese), Erdoğan è legittimato nell’esercizio del potere. E la sua reazione all’attacco non è in alcun modo contestabile o biasimabile.
C’è addirittura chi è convinto che vi sarà un referendum per stabilire la costanza di validità del rapporto di fiducia tra Presidente e popolo (effettivamente, rafforzato come difensore della democrazia davanti al putsch, avrebbe così il modo di tornare ad avere la maggioranza persa alle ultime elezioni).
“I fatti stanno a zero. C’è stato un tentativo di usurpare il potere, il legittimo governo ha reagito.”
“C’è il sospetto fondato (ti parlo da avvocato, servono prove, ma sappiamo che è così) che dietro tutto ciò ci sia il movimento di Gülen.”
(Che, ricordiamo, possiede scuole in 110 paesi, delle quali oltre 100 nella stessa Turchia, ed ha le mani in pasta in moltissimi altri settori, tra i quali quello finanziario, con la gestione della Bank Asya.)
Gli faccio notare con tatto che la gestione-Erdoğan di perestrojka e glasnost’ ha ben poco, e che c’è la concreta possibilità che una volta estradato Gülen (cosa che non penso tuttavia accadrà) lui e il suo movimento saranno accusati in ogni caso, e nessuno potrà mai sapere se a ragione o meno. Ma tutti sono irremovibili:
I am a lawyer, this is a legal perspective. But politically it is obvious that Gülen is responsable for all this, and majority of Turks believe that.
Erdoğan è una figura forte, fortemente rappresentativa della loro “forte democrazia”, supportato dal 50-60% del popolo, popolo attaccato con le unghie e con i denti alla propria tradizione religiosa, e che combatte la secolarizzazione della politica con il nuovo modello proposto dall’Akp.
Erdoğan è stato eletto. Eletto tante volte, come sindaco di Istanbul (vero cuore del Paese), poi tre volte come Primo Ministro, poi come primo Presidente ad elezione diretta della storia turca.
“Don’t you call this democracy?”
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